Cass. civ. Sez. II, Sent., 20-06-2012, n. 10207 Immissioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto del 22-24/10/1987 i coniugi T.G. e P. F. convenivano in giudizio avanti al Tribunale di Messina C.A., premettendo di essere comproprietari di una casa per civile abitazione sita in contrada (OMISSIS), confinante con la costruzione ed il terreno del convenuto dove egli gestiva un laboratorio di falegnameria che determinava immissioni nocive (polvere, esalazioni e rumori), e chiedevano l’eliminazione degli inconvenienti lamentati e la condanna del convenuto al risarcimento dei danni.

Si costituiva il C., che contestava l’avversaria domanda sostenendo che dalla falegnameria non emanavano immissioni intollerabili, dicendosi comunque disposto ad adottare gli accorgimenti necessari per eliminarle ove fossero state accertate.

Previa istruzione della causa (mediante espletamento di una CTU tecnica e di una CTU medico-legale), l’adito tribunale di Messina, con sentenza n. 556/20C4 condannava il C. ad eseguire tutte le opere indicate nella relazione tecnica del consulente di parte al fine di eliminare le immissioni inquinanti e ad installare una cabina di verniciatura stagna a pelo d’acqua, e degli idonei aspiratori dotati di speciali filtri nonchè a corrispondere a ciascuno degli attori la somma di Euro 2.500,00 a titolo di risarcimento del danno biologico.

Proponeva appello il C. contestando la dichiarazione d’intollerabilità delle immissioni acustiche che a suo avviso non superavano i limiti stabiliti dalla legge. Resistevano gli appellati insistendo per il rigetto e formulando appello incidentale.

L’adita Corte d’Appello di Messina, con la sentenza n. 192/2008 depositata in data 15.05.2008 rigettava l’appello principale ed, in accoglimento di quello incidentale, condannava il C. al pagamento delle spese processuali, che compensava in parte. La Corte riteneva che il C. non avesse adottato nella propria attività gli accorgimenti tecnici necessari per eliminare le immissioni da polveri e da rumori che dunque persistevano; riteneva corretta anche la quantificazione del danno, liquidato in via equitativa, in quanto congruo e non particolarmente esoso.

C.A. ricorre per la cassazione della suddetta decisione sulla base di 5 censure; gli intimati non hanno svolto difese.

Motivi della decisione

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione di norme di legge (artt. 2697 c.c. 2727, 2729 c.c., artt. 116 e 228 c.p.c.), nonchè l’insufficiente motivazione. Deduce che il giudice dell’appello aveva erroneamente stabilito l’esistenza delle esalazioni e delle polveri dal semplice fatto che il C. non avesse predisposto nessuna attrezzatura idonea ad eliminare gli inconvenienti in questione. D’altra parte s’osserva che lo stesso CTU non aveva in concreto verificato l’effettiva esistenza di tali immissioni di polvere e vapori nel fondo dei T. nè aveva accertato il reale superamento della soglia della normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c.; infine, secondo il ricorrente, nel caso in esame non era consentito al giudice di fare ricorso alle "presunzioni" di cui all’art. 2727 c.c..

Con il 2 motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di legge (art. 844 c.c., L. 26. ottobre 1995, n. 447, art. 1 e art. 2 Regolamento Comune di Roccalumera n. 82/96) oltre il vizio di motivazione.

A suo avviso i rumori che scaturivano dal suo laboratorio dovevano ritenersi al di sotto della soglia consentita, almeno secondo il regolamento del Comune di Roccalumera sulle immissioni inquinanti, in relazione alla modesta entità delle lavorazioni svolte nell’opificio. Peraltro l’attività di contemperamento che l’art. 844 c.c. attribuisce la giudice al fine di valutare la tollerabilità delle immissioni provenienti da un’attività produttiva, non può prescindere dai principi generali posti dalla L. n. 447 del 1995 e dal regolamento comunale di rimando, in quanto entrambe le norme sono rivolte alle attività produttive ed alla tutela della salute "e che quindi di quei principi e di quei parametri debba tenersi conto in uno agli altri elementi di contemperamento".

Entrambi i motivi – congiuntamente esaminati in quanto connessi – non hanno pregio.

Questa Corte ha invero precisato che "in materia di immissioni, mentre è senz’altro illecito il superamento dei livelli di accettabilità stabiliti dalle leggi e dai regolamenti che disciplinando le attività produttive, fissano nell’interesse della collettività le modalità di rilevamento dei rumori e i limiti massimi di tollerabilità, l’eventuale rispetto degli stessi non può far considerare senz’altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi alla stregua dei principi di cui all’art. 844 c.c., tenendo presente, fra l’altro, la vicinanza dei luoghi e i possibili effetti dannosi per la salute delle immissioni(Cass. Sez. 2, n. 939 del 17/01/2011; Cass. n. 1418 del 25.01.2006).

Non v’è dubbio che la corte territoriale nello stabilire l’intollerabilità delle immissioni in parola si sia conformata a tali principi. Infatti la corte ha fatto opportuno riferimento alla consulenza tecnica espletata che, (a differenza delle generiche e incongrue critiche sollevate sul punto del ricorrente) ha ritenuto "particolarmente motivata e sviluppata sulla base di attente rilevazioni della soglia del rumore consentito, che hanno riguardato tutte le possibili condizioni (diurne, notturne ad infissi aperti e chiusi) di godimento dell’immobile vicino al laboratorio". Pertanto ha confermato la pronuncia del primo giudice che ha dichiarato l’illiceità delle immissioni ed ordinato l’adozione di misure idonee ad abbatterle secondo i suggerimenti del perito.

La Corte siciliana ha pure opportunamente evidenziato che …." anche il perito di parte Ar. i cui suggerimenti sono stati fatti propri dal primo giudice, esiste una problematica di immissioni intollerabili che va risolta".

Passando all’esame del 3 motivo con esso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di norme degli artt. 40 e 41 c.p. applicabili alla responsabilità per fatto illecito extracontrattuale ed agli artt. 2043 e 2697 c.c., oltre all’insufficiente motivazione.

Con il 4 motivo, si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2056 e 1226 c.c. e il vizio di motivazione. Ad avviso del ricorrente, ai fini della liquidazione del danno biologico, anche quando viene determinato in via equitativa, è sempre necessaria "l’individuazione della quantificazione della percentuale assoluta sulla quale la causa della lesione abbia inciso. Muovendo da tale esigenza il giudice avrebbe dovuto valutare "l’incidenza che possa avere sulla capacità di lavoro generica la qualifica di pensionato del soggetto danneggiato, sulla vita futura, la ipoacusia bilaterale grave provocata per il 70% dell’invecchiamento dell’organo e per il 30% da fattori esogeni ambientali".

Le due doglianze possono essere congiuntamente esaminate in quanto connesse e sono entrambe giuridicamente infondate.

La 3A censura riguarda, in specie,il nesso di causalità in relazione alle preesistenti malattie (ipoacusia, sordità) degli attuali, anziani convenuti e la presenza dei rumori scaturenti dall’attiguo laboratorio, e tutto ciò in relazione all’affermazione del giudice secondo il quale sarebbe sufficiente anche "una prova non rigorosa "per riconoscere la sussistenza de rapporto eziologico.

La doglianza non ha pregio, perchè è improprio parlare di "prova rigorosa del nesso di causalità", in considerazione della peculiarità della problematica riguardante proprio il nesso eziologico, che nell’ambito civilistico si pone in modo diverso e peculiare rispetto al settore penale; in quello civile è infatti prevalente la tesi del più probabile che non di cui alla nota pronuncia delle S.U. n. 581 dell’11.1.2008. Quanto al concorso di cause si è così espressa questa Corte: "In virtù del principio di regolarità causale, tutti gli antecedenti in mancanza dei quali un determinato evento dannoso non si sarebbe verificato debbono ritenersi causa del medesimo, salvo che non si accerti, ai sensi dell’art. 41 c.p., comma 2, applicabile anche nel giudizio civile, che la causa prossima sia stata da sola idonea a produrla; accertato il concorso delle cause nella produzione dell’evento, la graduazione delle responsabilità ai fini del risarcimento dei danni deve essere effettuata avendo esclusivamente riguardo al loro grado di incidenza eziologia ed alla gravità della colpa di ciascuno dei concorrenti" (Cass. Sez. 3, n. 484 del 15/01/2003; n. 12103 del 13/09/2000).

Il giudice a quo ha invero deciso in conformità e correttamente, sulla base di una consulenza medico-legale, che non è stata oggetto di censure specifiche. Si tratta peraltro di una quaestio facti la cui proposizione è inammissibile in sede di legittimità, stante la più che esauriente e congrua motivazione del giudice.

Deve infine ritenersi assorbito il 5 motivo (la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c.) che presupponeva l’accoglimento delle precedenti doglianze. Il ricorso dev’essere dunque rigettato;

nulla per le spese processuali.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2012

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