Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 05-10-2011) 30-11-2011, n. 44601

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza pronunciata il 5 ottobre 2010, ex art. 444 c.p.p., il Tribunale di Milano, in composizione monocratica, ha applicato la pena di mesi otto di reclusione a L.R., imputato del delitto di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5 quater, perchè, senza giustificato motivo, si tratteneva nel territorio dello Stato in violazione degli ordini del Questore di Siracusa in data 27 maggio 2010 e dal Questore di Milano in data 17 giugno 2010, con i quali gli veniva intimato di lasciare il territorio nazionale entro cinque giorni dalle date suddette (fatto accertato, in (OMISSIS)).

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato personalmente, il quale denuncia, con un unico motivo, di avere un altro processo in corso per il medesimo reato davanti a diversa autorità giudiziaria, instaurato prima dell’attuale processo, e di essere stato già condannato tre volte per il medesimo fatto.

Il difensore dell’imputato ha depositato memoria con la quale insiste nella richiesta di accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

2. Le fattispecie di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5 ter e quater, che puniscono la condotta di ingiustificata inosservanza dell’ordine, rispettivamente, iniziale e reiterato di allontanamento del questore, posta in essere, nel caso in esame, prima della scadenza dei termini, entro il 24 dicembre 2010, per il recepimento della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, devono considerarsi non più applicabili nell’ordinamento interno, a seguito della pronuncia della Corte di giustizia U.E. 28/04/2011 (nell’ambito del processo El Dridi, C-61/11PPU), che ha affermato l’incompatibilità delle suddette norme incriminatrici con la normativa comunitaria, determinando effetti sostanzialmente assimilabili alla abolitio criminis, con la conseguente necessità di dichiarare, nei giudizi di cognizione, che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, e fare ricorso in sede di esecuzione – per via di interpretazione estensiva – alla previsione dell’art. 673 c.p.p. (c.f.r., in termini, Sez. 1, 28/04/2011, n. 22105 e 29/04/2011, n. 20130).

Il recente D.L. 23 giugno 2011, n. 89, convertito nella L. 2 agosto 2011, n. 129, recante disposizioni urgenti per il completamento dell’attuazione della direttiva suindicata sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva sul rimpatrio dei cittadini di paesi terzi irregolari, ha novato la fattispecie, sostanzialmente confermando l’intervenuta abolitio criminis.

La nuova formulazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, commi 5 ter e quater, introdotta con l’intervento legislativo suindicato, non realizza, infatti, una continuità normativa con la precedente disposizione, sia per lo iato temporale intercorrente con l’effetto della direttiva, sia per la diversità strutturale dei presupposti e la differente tipologia della condotta necessaria ad integrare l’illecito delineato. Sul punto è sufficiente ricordare che, oggi, alla intimazione di allontanamento si può pervenire solo all’esito infruttuoso dei meccanismi agevolatori, della partenza volontaria ed allo spirare del periodo di trattenimento presso un centro a ciò deputato (Centro di identificazione ed espulsione, abbreviato in CIE).

La più recente normativa ha, dunque, istituito nuove incriminazioni, applicabili solo ai fatti verificatisi dopo l’entrata in vigore della novella.

L’intervenuta abolitio criminis impone di risolvere il problema che si pone nella presente fattispecie, connotata dalla particolarità della inammissibilità del ricorso (avendosi riguardo a sentenza di applicazione della pena sull’accordo delle parti, censurata sulla base di una presunta violazione del principio ne bis in idem, non allegata in sede di patteggiamento e neppure confortata da alcuna documentazione), nel senso che l’abrogazione è destinata a prevalere anche sulla causa di inammissibilità dell’impugnazione, in quanto alla impossibilità di rilevare cause di non punibilità in costanza di ricorso inammissibile, resistono le ipotesi di successione di leggi riconducibili all’art. 2 c.p.. La nozione di condanna ricavabile da quest’ultima norma, in combinato con l’art. 673 c.p.p., deve essere, infatti, ricondotta al giudicato formale e ciò comporta che, fino a quando esso non si è formato, spetta al giudice della cognizione prendere atto, in particolare, della intervenuta abolitio criminis e annullare la condanna per fatto divenuto privo di rilievo penale (conformi: Sez. 5, n. 39767 del 27/09/2002, dep. 26/11/2002, Buscemi, Rv. 225702, relativa proprio ad una sentenza di applicazione della pena su richiesta; Sez. U, n. 25887 del 26/03/2003, dep. 16/06/2003, Giordano, Rv. 224606, con riguardo ad un più complesso caso di successione di leggi con effetto parzialmente abrogativo del reato oggetto di condanna).

Segue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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