Cass. civ. Sez. II, Sent., 20-06-2012, n. 10188

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.C., in proprio e quale genitrice esercente la potestà sul figlio minore, Cr.Lu., agiva in simulazione e revocatoria ordinaria, ex art. 2901 c.c., di due atti di vendita – l’uno avente ad oggetto una quota di un bene immobile, l’altro una quota di partecipazione societaria – nei confronti del coniuge separato, Cr.Re., venditore, e di G. V., acquirente, a tutela del credito da mantenimento fissato dal giudice della separazione, credito che il Cr. aveva smesso di onorare alle scadenze stabilite.

I convenuti resistevano alla domanda assumendo la genuinità di tali atti, posti in essere per consentire alla V., amica di famiglia, di collaborare con la madre del Cr. nell’attività commerciale svolta da lei nel medesimo immobile e mediante la stessa società cui si riferivano gli atti in questione.

Interveniva in causa la Banca di Roma s.p.a., creditrice del Cr., che aderiva alla domanda.

Quest’ultima era accolta dal Tribunale di Roma, che dichiarava l’inefficacia ex art. 2901 c.c. degli atti impugnati.

Gravata da V.G., tale sentenza era riformata dalla Corte d’appello di Roma, che rigettava la domanda, compensando integralmente le spese del doppio grado di giudizio.

Riteneva la Corte capitolina che, contrariamente a quanto stabilito dal Tribunale, i beni oggetto degli atti revocandi, ossia una quota di un sesto di un bene immobile e una quota societaria pari al 34,951%, non potessero ritenersi per comune conoscenza privi di appetibilità commerciale, giudizio, questo, non formulabile in un ambito di valutazioni economico-commerciali che esigevano conoscenze tecniche specifiche. Quanto al requisito della scientia fraudis da parte del terzo acquirente a titolo oneroso, premesso che dalla consulenza tecnica espletata era emerso che il prezzo d’acquisto della quota di immobile e di quella societaria era corrispondente ai valori di mercato, osservava che ai fini della revocabilità era necessaria la piena consapevolezza del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore, ossia la consapevolezza dell’insufficienza della garanzia patrimoniale di quest’ultimo. Nello specifico, concludeva la Corte romana, non vi era alcun dato certo che consentisse di argomentare che la V. fosse a conoscenza della complessa posizione patrimoniale del Cr. e che questi, a causa degli atti di alienazione, potesse trovarsi in condizioni tali da non poter far fronte ai propri debiti verso la moglie e il figlio. Peraltro, aggiungeva la Corte, il Cr. risultava essere all’epoca amministratore della A.C.R.O. s.r.l. e titolare di beni e crediti di cospicua consistenza economica, pignorati, dalla C., che inducevano ragionevolmente quest’ultima a credere che il Cr. disponesse dì mezzi economici idonei a adempiere il debito di mantenimento.

Per la cassazione di detta sentenza ricorre C.C., formulando sei mezzi d’annullamento.

Resiste con controricorso V.G..

Le altre parti intimate – C.R. e Capitalia s.p.a. (già Banca di Roma) – non hanno svolto attività difensiva.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. – Col primo motivo parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, costituito dall’eventus damni, non avendo la Corte territoriale considerato che il convenuto non ha assolto l’onere di provare la capienza del patrimonio residuo.

Per quanto attiene alla scientia damni, a fronte del principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui ai fini dell’azione revocatoria ordinaria la consapevolezza da parte del terzo del danno arrecato con l’atto dispositivo consiste nella generica conoscenza del pregiudizio arrecato alla garanzia patrimoniale, la Corte territoriale non ha effettuato alcuna compiuta analisi del rapporto, ma ha atomizzato gli elementi di giudizio e non ha considerato che la condizione soggettiva del debitore e quella del terzo può essere valutata in base allo strumento della presunzione.

2. – Il secondo motivo denuncia l’error in procedendo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 329 e 346 c.p.c., nonchè la violazione degli artt. 2901 e 2727 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 in quanto la Corte territoriale si è limitata a circoscrivere la propria analisi alla mera verifica della congruità della motivazione della sentenza di primo grado, senza procedere ad un rinnovato esame della vicenda e senza apprezzare gli elementi indiziari proposti in primo grado e riproposti in appello dalla C., relativamente alla scarsa credibilità circa il reale interesse del terzo acquirente dei beni oggetto di disposizione in frode ai creditori, all’inattendibilità delle argomentazioni addotte dalla V. quali motivazioni all’acquisto, il rapporto conclamato di amicizia tra quest’ultima e il Cr. e le rispettive famiglie, e, infine, il contrasto fra tale rapporto e la finalità commerciale addotta dalla V. per giustificare l’intera operazione.

3. – Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e ss. e art. 2901 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 nonchè l’omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità la prova della sdientia fraudis, che incombe sull’attore, può essere fornita mediante presunzioni. Ciò, sostiene parte ricorrente, discende non tanto e solo dalla disciplina generale in tema di prove, ma anche e soprattutto dalla natura del fatto da provare, che attiene alla sfera psicologica del terzo. Ciò posto, appare come una pseudo motivazione, basata su di una sostanziale petizione di principio, l’affermazione della Corte territoriale secondo cui non vi sarebbe alcun dato certo che consente di argomentare che la V. fosse a conoscenza della complessiva posizione patrimoniale del Co.

e del fatto che questi, a causa delle due vendite, si venisse a trovare in condizioni tali da non essere in grado di adempiere il proprio obbligo di mantenere la moglie e il figlio.

4. – Con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2901 e 2727 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Parte ricorrente lamenta, in particolare, l’insufficienza motivazionale della svalutazione del rapporto di amicizia tra il Cr. e la V., sintomo, invece, di comunanza d’interessi e di sicura conoscenza del debito e delle condizioni personali del Co. stesso. Del tutto fuorviante, prosegue parte ricorrente, è l’assunto per cui gli acquisti oggetto dell’esercitata azione revocatoria non sarebbero certamente privi di per sè di convenienza economica, nè sarebbero insignificanti dal punto di vista commerciale, poichè il problema non è quello della pur minima convenienza economica dell’acquisto o del suo modesto significato commerciale, ma quello dell’abnormità o quanto meno della non usualità rispetto ai normali traffici commerciali dell’operazione economica di cui si tratta.

Del pari inadeguata è la motivazione della sentenza impugnata lì dove è detto, a proposito della scarsa appetibilità delle operazioni economiche compiute, che la comune conoscenza non può essere invocata se non in una complessa valutazione economico- commerciale che esige conoscenze tecniche specifiche. Così motivando, la Corte capitolina ha sostanzialmente affermato che la vendita delle quote è lecita e che non rientra nei suoi compiti accertarne la abnormità o quanto meno la non usualità, senza tuttavia chiarire a chi spettano e come si dimostrano le conoscenze tecniche specifiche. E’ evidente che in tal modo il giudice d’appello si è sottratto al giudizio, astenendosi dall’applicare le ordinarie regole di esperienza di cui poteva disporre direttamente o tramite opportuni accertamenti tecnici.

5. – Anche con il quinto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2901 e 2727 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omessa motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Sostiene parte ricorrente che la decisione d’appello si basa su considerazioni di carattere apodittico che prescindono dai criteri di cui agli artt. 2901 e 2727 c.c., e su di una valutazione degli elementi valorizzati dai Tribunale atomistica e avulsa dal contesto storico, senza esaminare altri elementi, non considerati dal giudice di primo grado solo perchè ritenuti assorbiti, quali, l’irrisorietà del prezzo dichiarato rispetto a quello di mercato, l’inusuale modalità del relativo pagamento, l’anomalo esonero in favore della parte venditrice dell’onere di provare la piena proprietà e disponibilità di quanto venduto, la singolare sollecitudine con la quale l’atto di vendita è stato trascritto (di sabato), e le incertezze delle dichiarazioni rese dalle parti convenute in sede di interrogatorio formale, con riguardo ai modi e ai contenuti dell’operazione.

6. – Con il sesto e ultimo motivo, infine, parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 191 e ss. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omessa e/o insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto la Corte territoriale ha omesso di procedere ad una corretta valutazione della consulenza tecnica d’ufficio e dei risultati cui questa è pervenuta, avuto riguardo alle contestazioni mosse dalla parte oggi ricorrente, la quale aveva lamentato che il c.t.u. non aveva indicato, seppur richiesto, il valore catastale dell’immobile, da cui sarebbe risultato che la vendita era avvenuta ad un prezzo inferiore ad esso, oltre che inferiore al prezzo di mercato; che l’abbattimento del 30% per l’occupazione del bene non si giustificava essendo l’acquirente anche partecipe della società utilizzatrice dell’immobile; che l’ulteriore e rilevante abbattimento del valore, sul presupposto che la vendita era relativa ad una quota del cespite, neppure trovava giustificazione; che pure ingiustificata era la drastica decurtazione del 50% del valore del retro del negozio, senza considerare che la parte retrostante di un esercizio di oreficeria è utilizzata e necessaria come e quanto la zona vendita.

Al riguardo la Corte territoriale si è limitata ad affermare che dall’espletata consulenza tecnica era emerso che il prezzo di acquisto della quota dell’immobile e della partecipazione societaria era quello di mercato, così prescindendo integralmente dall’ampio di battito processuale risultante dalle contestazioni sollevate dalla ricorrente. Non solo, ma gli accertamenti tecnici svolti in primo grado hanno riguardato solo il valore del cespite immobiliare e non il prezzo della cessione delle quote, per cui l’erroneità di tale elemento già di per sè appare sufficiente a rendere illegittima la sentenza impugnata, svelando la superficialità dell’accertamento compiuto.

7. – In via preliminare parte controricorrente deduce l’inammissibilità del ricorso in quanto la sentenza impugnata non sarebbe stata impugnata anche con riguardo alla seconda, autonoma ratto deciderteli, con la quale la Corte d’appello ha escluso l’insufficienza della garanzia patrimoniale del debitore (eventus damni), per essere egli titolare di altri beni e crediti di cospicua consistenza economica.

7.1. – L’eccezione – che si richiama alla nota giurisprudenza di questa Corte, secondo cui ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (v.

per tutte e da ultimo, Cass. n. 22753/11) – è infondata.

In realtà, e a ben vedere, la sentenza della Corte capitolina si basa su di una sola ratio decidendi chiaramente percepibile, relativa alla scientia fraudis.

Il periodo finale (pagg. 3 e 4) della parte propriamente motiva della pronuncia, che si conclude con l’affermazione per cui il Cr.

risultava amministratore di una s.r.l. e titolare di beni e crediti cospicui pignorati dalla stessa creditrice, "che inducevano ragionevolmente la C. a credere che lo stesso disponesse di mezzi idonei ad adempiere al debito alimentare", non affronta il diverso tema dell’eventus damni in maniera univoca ed assertiva, ma attraverso una contorsione logica non meno che sintattica (in cui sono i beni a indurre un’opinione nel soggetto) attribuisce rilievo non alla residua garanzia generica concretamente e oggettivamente apprezzata, ma all’opinione soggettiva che la stessa creditrice avrebbe dovuto ragionevolmente formarsi al riguardo. Siffatto oscuro ragionamento della Corte romana, in cui dati oggettivi (i cospicui beni e crediti) e soggettivi (la ragionevole opinione della creditrice sulla relativa garanzia) sono collegati tra loro da una connessione (l’avvenuto pignoramento degli stessi cespiti) non intelligibile, perchè non autorizza l’illazione operata (il già avvenuto pignoramento dei beni residui lascia intendere, semmai, che questi ultimi non possano essere esitati in modo da soddisfare anche i crediti non ancora maturati), per la sua sostanziale incomprensibilità non assurge al livello di un’autonoma ratio decidendi sull’insussistenza dell’eventus damni, elemento che non risulta chiaramente apprezzato dai giudici d’appello, ma costituisce un’aggiunta di nessun peso alle precedenti argomentazioni svolte nella sentenza impugnata.

8. – I primi cinque motivi, da esaminare in maniera congiunta in quanto tutti variamente intesi a censurare la tecnica argomentativa della sentenza impugnata e la sufficienza e logicità della relativa trama, sono fondati nei termini che seguono.

In materia di actio pauliana la giurisprudenza di questa Corte è nel senso che la consapevolezza dell’evento dannoso da parte del terzo contraente, prevista quale condizione dell’azione dall’art. 2901 c.c., comma 1, n. 2, prima ipotesi, consiste nella conoscenza generica del pregiudizio che l’atto di disposizione posto in essere dal debitore, diminuendo la garanzia patrimoniale, può arrecare alle ragioni dei creditori, e che la relativa prova può essere fornita anche a mezzo di presunzioni (Cass. nn. 3676/11, 13404/08 e 7507/07).

E allorquando la prova addotta sia costituita da presunzioni – le quali anche da sole possono formare il convincimento del giudice del merito – rientra nei compiti di quest’ultimo il giudizio circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune dal vizi logici o giuridici e, in particolare, ispirato al principio secondo il quale i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti a una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi, pur senza omettere un apprezzamento così frazionato, al fine di vagliare preventivamente la rilevanza dei vari indizi e di individuare quelli ritenuti significativi e da ricomprendere nel suddetto contesto articolato e globale (Cass. nn. 26022/11,16831/03, 15399/02 e 6850/82).

Per contro, un apprezzamento parcellizzato degli elementi di tipo indiziario emersi contraddice la stessa logica inferenziale, sostituendo al requisito di forza quello di validità proprio, invece, della logica deduttiva.

8.1. – Nella fattispecie, la Corte territoriale ha disatteso le direttive ricavabili dall’art. 2729 c.c., perchè (i) ha ritenuto che le presunzioni dovessero costituire dati "certi e inoppugnabili" (pag. 3, rigo 17 della sentenza impugnata), mostrando, così, di confondere la certezza del fatto storico assunto come indizio con la sua idoneità a fondare la presunzione; (ii) ha frazionato il giudizio di gravità e precisione degli indizi esaminati; e (iii) ne ha (s)valutato la forza arrestandosi di fronte a considerazioni, peraltro generiche, volte a renderne meramente possibile una lettura opposta a quella operata dal giudice di prime cure.

In particolare, la Corte capitolina ha affermato, in maniera sostanzialmente apodittica, che l’acquisto di quote, neppure maggioritarie (1/6 e 34,951%), di un immobile ad uso commerciale e di una società di capitali non potesse ritenersi investimento di scarsa appetibilità, limitandosi a concludere che un tale giudizio sarebbe stato lecito solo nell’ambito di una "complessa valutazione economico- commerciale che esige conoscenze tecniche specifiche".

Inoltre, partendo dall’erroneo presupposto che il requisito della scientia frandis da parte del terzo acquirente a titolo oneroso esiga la "piena consapevolezza dell’insufficienza dei beni del debitore- venditore ad offrire la garanzia patrimoniale" (così a pag. 3 della sentenza), lì dove, invece, per i principi sopra richiamati sull’interpretazione dell’art. 2901 c.c., è sufficiente una conoscenza generica del pregiudizio arrecato al creditore, i giudici d’appello si sono limitati ad osservare che non vi era alcun dato certo che consentisse di ritenere che la V. sapesse dell’impossibilità del Cr. di far fronte alla propria obbligazione di mantenimento della moglie e del figlio minore. E ciò essi hanno ritenuto accettando implicitamente senza, tuttavia, valutare il dato indiziario in questione, ossia la consolidata amicizia tra la V. e il Cr. riconosciuta negli stessi motivi d’appello, dato, questo, non paralizzarle dalla ritenuta corrispondenza del prezzo di vendita con quello di mercato, la quale attiene semmai all’effettività del trasferimento, non più oggetto di contesa essendo stata accolta dal Tribunale la domanda revocatoria e non quella di simulazione.

8.2. – Deve, pertanto, ritenersi integrata sia la violazione degli artt. 2729 e 2901 c.c., nei sensi di cui sopra, sia l’insufficienza della motivazione in punto di scientia frandis.

9. – L’accoglimento dei primi cinque motivi assorbe l’esame del sesto, inerente alla valutazione della c.t.u.

10. – Sulla base delle considerazioni svolte, la sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi cinque motivi di ricorso, assorbito il sesto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2012

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