Cass. civ. Sez. II, Sent., 20-06-2012, n. 10187 Ordinanza ingiunzione di pagamento: opposizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Venezia, depositato il 15 luglio 2005, la STEBIN s.r.l. proponeva opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione n. 97/2005 del 17.6.2005, notificatale dal Comune di Marcon, conseguente all’accertamento di violazione amministrativa, per aver esercitato l’attività di estetista, consistente nell’esecuzione di saune e massaggi linfodrenanti ed igienici, anche se aventi carattere di complementarietà rispetto all’attività principale del centro, senza avere mai richiesto ed ottenuto la relativa autorizzazione comunale. L’opponente assumeva trattarsi di trattamenti privi di finalità estetica esclusiva o prevalente, essendo svolti all’interno del centro medico, con finalità specificamente ed esclusivamente terapeutica.

Il Tribunale di Venezia, nella resistenza del Comune, con sentenza del 20.3/11.4.2006, rigettava l’opposizione riconoscendo natura meramente estetica delle saune e dei massaggi praticati all’interno del centro medico, confermando l’ordinanza ingiunzione.

In virtù di rituale appello interposto dalla STEBIN, con il quale lamentava la erroneità della decisione del giudice di prime cure che aveva ricavato la natura dell’attività in concreto espletata dalla qualifica degli addetti alla sauna ed ai massaggi linfodrenanti, la Corte di appello di Venezia, nella resistenza del Comune appellato, respingeva il gravame.

A sostegno delle decisione la corte lacunare evidenziava che si trattava di attività complementari a quella medica, posto che le persone rinvenute nell’ambulatorio all’atto dell’ispezione avevano terminato le cure strettamente mediche ed il trattamento cui si erano sottoposte era praticato non da personale medico ma da estetiste, con l’ausilio di strumenti (sauna e apparecchi per massaggi) previsti proprio dalla legge n. 1/1990 regolante l’attività di estetista.

Avverso la predetta decisione ha proposto ricorso per cassazione la SEBIN s.r.l., affidato a tre motivi, cui ha resistito il Comune di MARCON con controricorso.

Il Comune ha anche depositato sentenza TAR Venezia notificata alla ricorrente ex art. 372 c.p.c., comma 2, nonchè memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Preliminarmente questa Corte deve rilevare che la produzione della sentenza TAR Veneto n. 1001/2011, seppure notificata alla ricorrente, comporta la violazione dell’art. 372 c.p.c.. Ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 1, nel giudizio di cassazione non è ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, tranne di quelli che riguardano fa nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso. Tale norma è coerente con la particolare struttura del procedimento di cassazione, che non consente alcuna forma di istruzione probatoria.

Deve, pertanto, ritenersi preclusa la produzione di documenti tendenti a dimostrare circostanze di fatto sopravvenute, con la conseguenza che non vale a far ritenere ricevibile un atto o un documento il semplice rilievo che esso è sopravvenuto alla proposizione del ricorso (cfr Cass. 3 marzo 1995 n. 2459; Cass. 6 novembre 1992 n. 1201 n. 12015; Cass. 26 settembre 1996 n. 8499;

Cass. 5 aprile 2004 n. 6656; Cass. 31 marzo 2011 n. 7515)- Può soltanto ammettersi, oltre alle ipotesi espressamente previste dalla citata norma, la produzione di documenti diretti a evidenziare la cessazione della materia del contendere per fatti sopravvenuti, tale da far venir meno l’interesse al ricorso (Cass. 22 novembre 1994 n. 9867; Cass. 4 ottobre 1988 n. 5355; Cass. 21 febbraio 1987 n. 1889).

Nel caso in esame il documento prodotto (copia della sentenza del TAR Veneto di rigetto del ricorso per l’annullamento dell’ordinanza ingiunzione in contesa) non rientra nel novero dei documenti acquisibili perchè espressamente sottratti a divieto di cui all’art. 372 c.p.c., comma 1, nè incide sull’interesse al ricorso, ma attiene piuttosto al merito della questione trattata. Esso, quindi, non è ricevibile in questa sede e non può tenersene conto ai fini della decisione.

Passando all’esame del ricorso, il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e della L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 12, per avere il giudice del merito erroneamente gravato dell’onere della prova l’opponente, anzichè la pubblica amministrazione, come pacificamente affermato dalla corte di cassazione in tema di sanzioni amministrative, con ciò incorrendo in evidente errore di diritto.

Il motivo è infondato in quanto muove dal presupposto, del tutto erroneo, per il quale sarebbe onere dell’Amministrazione provare che le pazienti rinvenute nel centro medico stessero usufruendo delle prestazioni, quali sauna, massaggi linfodrenanti ed igienici, per fini estetici e non già per fini terapeutici in funzione complementare ad una terapia di dimagrimento. Nel procedimento di opposizione ad ordinanza ingiunzione si applicano le regole ordinarie in tema di onere probatorio e pertanto mentre spetta all’autorità che ha emesso il provvedimento sanzionatorio provare gli elementi costitutivi della sua pretesa, spetta all’ingiunto dimostrare i fatti impeditivi o estintivi (in tal senso, Cass. 7 marzo 2007 n. 5277).

La L. 4 gennaio 1990 n. 1 (modificata dal D.Lgs. 26 marzo 2010 n. 59 di attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, ma applicabile nella originaria versione ratione temporis), che regola l’attività di estetista, all’art. 1, comma 1 e 2, prevede, che "L’attività di estetista comprende tutte le prestazioni ed i trattamenti eseguiti sulla superficie del corpo umano il cui scopo esclusivo o prevalente sia quello di mantenerlo in perfetto condizioni, di migliorarne e proteggerne l’aspetto estetico, modificandolo attraverso l’eliminazione o l’attenuazione degli inestetismi preesistenti. Tale attività può essere svolta con l’attuazione di tecniche manuali, con l’utilizzazione degli apparecchi elettromeccanici per uso estetico, di cui all’elenco allegato alla presente legge, e con l’applicazione di prodotti cosmetici definiti tali dalla L. 11 ottobre 1986, n. 713". La regola è, dunque, che tutte le attività estetiche vengano svolte da personale qualificato come estetiste, al di fuori di prescrizioni mediche.

Nel caso concreto il giudice ha preso atto che, come risultava dalla relazione del nucleo antisofisticazioni dei Carabinieri di Treviso, le persone rinvenute nell’ambulatorio all’atto dell’ispezione avevano terminato le cure strettamente mediche, relative al dimagrimento per obesità, ed il trattamento cui erano sottoposte era praticato da estetiste, con l’ausilio di strumenti (saune e apparecchi per massaggi) previsti proprio dalla L. n. 1 del 1990.

A fronte di detto accertamento, nessun elemento è stato addotto dall’opponente per provare che si trattava di trattamenti connessi alle cure mediche (in precedenza) praticate. Pertanto, nell’assenza di qualsiasi elemento che potesse integrare il collegamento delle terapie, mediche ed estetiche, e quindi il fatto impeditivo, il giudice ha respinto, con congrua motivazione, l’opposizione, attenendosi ai principi sopra esposti, sottraendosi la decisione resa alle critiche mosse.

Con il secondo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli arti 2727 e 2729 c.c. per avere ritenuto adempiuto l’onere della prova da parte della pubblica amministrazione sulla sola base di un apparato presuntivo senza che sia stata in motivazione esplicitata la sussistenza e l’applicabilità nel caso concreto dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c. che pure risulta in modo implicito dalla decisione impugnata, Anche il secondo motivo non può trovare ingresso.

La corte di merito, come sopra esposto, ha desunto la prova dei fatti costituenti la contestata violazione individuando gli elementi più rilevanti nelle valutazioni del nucleo antisofisticazioni dei Carabinieri di Treviso – trasfuse nel verbale di accertamento e non contraddette da significative risultanze – riguardo all’attività in concreto svolta nel centro gestito dalla STEBIN al momento della verifica.

Ha rilevato che tali valutazioni, apprezzate nel contesto delle emergenze probatorie in atti e in relazione al contenuto delle contestazioni dell’opponente, erano del tutto attendibili, trovando puntuale riscontro in due essenziali circostanze, la acclarata inesistenza di prescrizioni mediche dei trattamenti rilevati, e segnatamente alla circostanza che questi fossero postumi alla cura di dimagrimento per obesità; l’altrettanto inequivocabile esecuzione dei trattamenti da parte di estetiste. Nell’esercizio dei suoi poteri di valutazione del complesso delle risultanze istruttorie, il giudice a quo ha, infine, messo in luce che nessuna prova idonea a contrastare il portato inferenziale dei predetti riscontri probatori era stato in grado di produrre l’opponente. Ciò posto, nessuna violazione delle regole che presiedono alla ripartizione dell’onere della prova può attribuirsi al giudice di merito per avere valorizzato, quali prove – definitive dall’opponente presuntive – le rilevazioni contenute nel verbale di accertamento, che, anche nella parte in cui non fanno fede fino a querela di falso, devono considerarsi comunque attendibili, fino a quando non siano infirmati da una specifica prova contraria. Se è vero, infatti, che l’opposizione all’ordinanza irrogativa di una sanzione amministrativa introduce un ordinario giudizio di cognizione sul fondamento della pretesa dell’autorità amministrativa, cui spetta l’onere di dimostrarne gli elementi costitutivi, è altrettanto vero che detta autorità può avvalersi di presunzioni che trasferiscono a carico dell’intimato l’onere della prova contraria, purchè i fatti sui quali essa si fonda siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come una conseguenza del fatto noto, alla stregua di canoni di ragionevole probabilità e secondo regole di esperienza, restando il relativo giudizio insindacabile in sede di legittimità se convenientemente motivato alla stregua di detti criteri (cfr Cass. 4 febbraio 2005 n. 6323). Nella specie, l’apprezzamento operato dal giudice di merito circa la rilevanza degli elementi probatori, ovverosia circa la loro idoneità a consentire conclusioni desuntive secondo il principio dell’id quod plerumque accidit, si sottrae al controllo in questa sede di legittimità in quanto sorretto da motivazione assolutamente adeguata e logica. Quanto alle lamentate pretermissioni di elementi probatori addotti per contrastare la pretesa sanzionatoria, è appena il caso di ricordare – in conformità a costante giurisprudenza di questa corte – che il vizio di omessa od insufficiente motivazione, denunciabile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se, nel ragionamento del giudice del merito risultante dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia; non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto i profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’indagine e le valutazioni compiute dal giudice del merito. A quest’ultimo soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare la prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvi i casi tassativamente previsti dalla legge. In particolare, la valutazione circa la scelta, fra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della decisione una fonte di prova con esclusione di altra, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare gli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti, o tutte le deduzioni difensive. Consegue che il controllo di legittimità da parte della corte di cassazione non può riguardare il convincimento del giudice di merito sulla rilevanza probatoria degli elementi considerati, ma solo la sua congruenza dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova (cfr. Cass. 3 marzo 2000 n. 2404; di recente, Cass. 21 luglio 2010 n. 17097). Alla stregua dei cennati principi, nessun vizio può rinvenirsi nella motivazione della sentenza, tenuto conto che, facendo uso dei poteri discrezionali di individuazione e apprezzamento della prova riservatigli dalla legge, la corte distrettuale – da tali elementi probatori – ha tratto il convincimento, con apprezzamento di fatto non censurabile nel merito in questa sede, della abusività dell’attività di estetica esercitata dalla ricorrente, vale a dire, in ultima analisi, della sussistenza dell’illecito contestato.

Con il terzo ed ultimo mezzo la ricorrente lamenta la omessa e/o insufficiente motivazione sulla circostanza, emergente dalla lettura del verbale dei NAS dell’8.6.2005, laddove viene evidenziato che le tre pazienti rinvenute in sede di accesso stavano effettuando veri e propri trattamenti dimagranti.

Il motivo è assorbito da quanto sopra esposto.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con regolazione delle spese processuali secondo il principio della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 29 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *