Cass. civ. Sez. II, Sent., 20-06-2012, n. 10186 Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 1 febbraio 1991 Gi.

M. e S.V. evocavano, dinanzi al Tribunale di Trani, i coniugi M.F. ed D.R.A. chiedendo ex art. 2932 c.c. il trasferimento della proprietà del fondo promesso in vendita dal MA. con preliminare del 27.1.1990 al prezzo di L. 240.000.000, di cui L. 40.000.000 versati al momento della conclusione del contratto e L. 100.000.000 all’immissione nel possesso del bene, avvenuta il 17.5.1990 – trattandosi di contratto per persona da nominare, indicato in citazione dal MA. lo S. quale acquirente del fondo – stante l’inadempimento dei promittenti venditori che avevano rifiutato la stipula del contratto definitivo.

Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza dei coniugi M. – D.B. i quali eccepivano la irreversibile trasformazione del fondo promesso in vendita da parte del promissario acquirente con attività edilizia realizzata in forza di concessione edilizia rilasciata allo S., non titolare di alcun diritto reale sul terreno, spiegata riconvenzionale per ottenere dichiarazione di nullità del preliminare ovvero la risoluzione dello stesso per grave inadempimento degli attori, il Tribunale adito, espletata istruttoria, accoglieva la domanda attorea, subordinato il trasferimento della proprietà del suolo al pagamento del residuo prezzo, rigettata integralmente la riconvenzionale spiegata.

In virtù di rituale appello interposto dai M. – D.R., con il quale lamentavano che il giudice di prime cure non avesse tenuto conto ai fini della esecuzione in forma specifica del contratto preliminare della irreversibile trasformazione del fondo, sicchè era venuta meno l’identità del bene promesso in vendita, essendo stato lo stesso oggetto di una attività edificatoria abusiva avvenuta in forza di concessione edilizia illegittimamente rilasciata a soggetto, lo S., privo di diritti reali sul bene, che vi realizzava opere edilizie in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti, non avendo l’immissione in possesso del bene attribuito al promissario acquirente la facoltà di trasformarlo radicalmente, in via subordinata, formulando richiesta per la corresponsione degli interessi su saldo del prezzo, la Corte di appello di Bari, nella resistenza degli appellati, in parziale accoglimento dell’appello e in parziale riforma della decisione impugnata, condannava gli appellati alla dazione degli interessi legali sul residuo prezzo della compravendita a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza, confermata per il resto la decisione del giudice di prime cure.

A sostegno della decisione impugnata la corte distrettuale evidenziava che, pacifico il rifiuto dei promittenti venditori di concludere il contratto definitivo, pur non risultando che il promissario acquirente, MA.Gi. (beneficiario dell’electio amici S.V., trattandosi di contratto per persona da nominare), fosse venuto meno ai suoi obblighi di pagare gran parte del prezzo al momento dell’anticipato trasferimento della detenzione del fondo, il quale per almeno i 2/3 della sua estensione aveva vocazione edificatoria, finalità per la quale il promissario acquirente si era determinato all’acquisto, doveva perciò ritenersi che i promittenti venditori consentissero al promissario acquirente di potere utilizzare il bene per l’uso cui si era obbligato all’acquisto, ingiustificati i pretesti addotti dagli appellanti.

Infatti l’attività edilizia compiuta non aveva determinato la trasformazione irreversibile del bene, posto che, se davvero si fossero verificati i presupposti per la risoluzione per inadempimento del promissario acquirente, il promittente alienante avrebbe avuto il diritto ad ottenere il ripristino dello status quo ante ed il risarcimento dei danni, in altre parole, lo stesso suolo con destinazione edilizia per 2/3 ed agricola per 1/3, inconferenti le censure sollevate quanto all’illegittimità della concessione rilasciata ovvero all’attività edificatoria svolta.

Aggiungeva che quanto alla domanda subordinata di corresponsione degli interessi sui prezzo, non spettavano ai venditori gli interessi compensativi ex art. 1499 c.c., nel caso di consegna immediata della cosa promessa in vendita, ritenendosi il vantaggio dell’acquirente previsto e considerato nella determinazione dei prezzo; di converso, il diritto agli interessi anzidetti spettava per il periodo successivo alla data prevista per la stipulazione del contratto definitivo di vendita, stante la natura degli stessi. Nella specie essendosi la vicenda del trasferimento perfezionata ex art. 2932 c.c., la corresponsione degli interessi compensativi sul saldo del prezzo sarebbero spettati dal momento del passaggio in giudicato della sentenza.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Bari hanno proposto ricorso per cassazione il M. e la D.B., che risulta articolato su cinque motivi, al quale hanno resistito il MA. e lo S. con controricorso.

Entrambe le parti hanno presentato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Preliminarmente deve questa Corte rilevare – circa l’eccezione di inammissibilità del deposito di nuovi documenti, ex art. 372 c.p.c., nei termini prospettati dalla ricorrente principale con riferimento al documento costituito dalla concessione in sanatoria – che sussiste la violazione della citata norma.

Ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 1, nel giudizio di cassazione non è ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, tranne di quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso. Tale norma è coerente con la particolare struttura del procedimento di cassazione, che non consente alcuna forma di istruzione probatoria.

Deve, pertanto, ritenersi preclusa la produzione di documenti tendenti a dimostrare sia circostanze di fatto sopravvenute sia la fondatezza dei motivi di ricorso, con la conseguenza che non vale a far ritenere ricevibile un atto o un documento il semplice rilievo che esso è sopravvenuto alla proposizione del ricorso (cfr Cass. 3 marzo 1995 n. 2459; Cass. 6 novembre 1992 n. 1201 n, 12015; Cass. 26 settembre 1996 n. 8499; Cass. 5 aprile 2004 n. 6656; Cass. 31 marzo 2011 n. 7515).

Può soltanto ammettersi, oltre alle ipotesi espressamente previste dalla citata norma, la produzione di documenti diretti a evidenziare la cessazione della materia del contendere per fatti sopravvenuti, tale da far venir meno l’interesse al ricorso (Cass. 22 novembre 1994 n. 9867;

Cass. 4 ottobre 1988 n. 5355; Cass. 21 febbraio 1987 n. 1889).

Nel caso in esame il documento prodotto (copia della concessione edilizia in sanatoria) non rientra nel novero dei documenti acquisibili perchè espressamente sottratti al divieto di cui all’art. 372 c.p.c., comma 1, nè incide sull’interesse al ricorso, ma attiene piuttosto al merito della questione trattata.

Esso, quindi, non è ricevibile in questa sede e non può tenersene conto ai fini della decisione.

Passando all’esame del ricorso, il primo motivo denuncia la nullità della sentenza nella parte in cui dispone il trasferimento del diritto di proprietà di opere realizzate in violazione delle norme urbanistiche ed edilizie; il secondo mezzo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 934 e 2932 c.c., oltre alla L. n. 47 del 1985, art. 17, come sostituito dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, anche per omessa motivazione. Il giudice del gravame avrebbe erroneamente affermato che la vendita del suolo era giuridicamente possibile nonostante si delineasse una ipotesi di accessione prevista dall’art. 934 c.c. che rendeva sotto ulteriore profilo ineseguibile la promessa di vendita, in quanto la illiceità delle costruzioni poste in essere abusivamente dai promissari acquirenti attraeva in un unico regime il suolo che aveva perso la originaria connotazione divenendo organicamente parte degli edifici.

Con il terzo motivo viene lamentata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1804 c.c., nonchè dei canoni legali di interpretazione dei contratti, con particolare riferimento agli artt. 1362 e 1363 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per avere il giudice del merito illegittimamente ritenuto che in virtù del preliminare il promissario acquirente avesse acquistato il possesso del fondo promesso in vendita legittimandolo all’utilizzazione edilizia. Infatti configurandosi una situazione di detenzione, in considerazione della natura del bene promesso in vendita, avente destinazione in parte agricola in parte industriale, non avrebbe potuto, diversamente da quanto ritenuto, consentire la realizzazione di un complesso residenziale. In altri termini, la disciplina concernente l’utilizzazione del bene promesso in vendita da parte del promissario acquirente è riconducibile a quella prevista per il contratto di comodato, per cui trova applicazione l’art. 1804 c.c., dovendosi attenere il promissario acquirente a quanto stabilito in contratto o, in assenza di espressa determinazione, deve usare la cosa in accordo con la natura di essa, attraverso un impiego normale, e comunque mantenerla intatta per poterla restituire, anche perchè con la radicale trasformazione del bene non può più affermarsi che vi sia identità tra il bene promesso in vendita e quello oggetto del definitivo.

Le censure – che vanno esaminate unitariamente perchè attengono all’accertamento ed alla valutazione della identica questione della incidenza sull’accordo de quo della abusiva edificazione sul fondo promesso in vendita – sono complessivamente fondate.

Occorre, innanzitutto, valutare le vicende che hanno riguardato il fondo per cui è controversia.

I giudici del merito hanno accertato, in linea di fatto, che le parti avevano pattuito la consegna anticipata del bene e che a seguito della disponibilità del terreno conseguita dal promissario acquirente, questi, unitamente a S.V. (poi indicato quale contraente ai sensi dell’art. 1402 c.c., stante la possibilità per il contraente di designare il terzo "alla stipula dell’atto pubblico di trasferimento della proprietà"), aveva proceduto alla edificazione del fondo, oggetto del preliminare di vendita, anche in violazione delle disposizioni in materia di edilizia, realizzando edifici abusivi, così immutando il bene.

Accertato in fatto che la convenzione con la quale il MA. aveva ricevuto dal M. il godimento dell’immobile si sostanziava in un contratto ad effetti obbligatorio, osserva il collegio che nel contratto preliminare ad effetti anticipati (con il quale le parti, nell’assumere l’obbligo di stipulare il contratto definitivo, convengono l’anticipata esecuzione di alcune delle obbligazioni nascenti da questo, quale la consegna immediata della cosa al promissario acquirente, con o senza corrispettivo) la disponibilità del bene conseguita dal promissario acquirente ha luogo con la piena consapevolezza dei contraenti che l’effetto traslativo non si è ancora verificato, risultando, piuttosto, dal titolo l’altruità della cosa. Ne consegue che deve ritenersi che la relazione che il promissario acquirente ha con la cosa va qualificata come semplice detenzione (in tal senso v. Cass. 27 febbraio 1996, n. 1533; Cass. 14 giugno 1996 n. 5500; Cass. 28 giugno 2000 n. 8796).

Questa Corte, infatti, componendo a sezioni unite il contrasto insorto tra le sezioni semplici, ha enunciato il principio che nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull’esistenza di un contratto di comodato, funzionalmente collegato al contratto preliminare e produttivo di effetti meramente obbligatori, e che, pertanto, la relazione del promissario acquirente con il bene è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata (cfr.: Cass. civ., sez. un., sent. 27 marzo 2008, n. 7930; cfr. succ: Cass. civ 25 gennaio 2010 n. 1296; Cass. civ. 26 aprile 2010 n. 9896; Cass. 22 luglio 2010 n. 17245).

In conclusione, anche in presenza del cd. preliminare ad effetti anticipati è pur sempre il contratto definitivo, espressione di autonomia negoziale e non mero atto dovuto solvendi causa, a produrre l’effetto traslativo reale: restando esclusa la scissione tra titulus e modus adquirendi (eventualmente, anche mediante atto non negoziale), che era propria del diritto romano ed è tuttora vigente in taluni ordinamenti moderni, come quello tedesco (così Cass. sez. un. n. 7930/2008, cit).

Entro questa cornice concettuale, la consegna della cosa e l’anticipato pagamento del prezzo non sono incompatibili, in ultima analisi, con la figura del preliminare, nè indice della natura definitiva della compravendita; quale che ne sia la giustificazione causale, se per clausola atipica, introduttiva di un’obbligazione aggiuntiva, o per collegamento negoziale (preliminare di compravendita, comodato e mutuo gratuito: in questo senso, Cass. sez. un. n. 7930/2008, cit.). In applicazione dei predetti principi, appare dunque erronea la decisione della Corte d’appello di Bari nella parte in cui ha ritenuto ininfluente ai fini della dichiarazione di risoluzione del preliminare la condotta del promissario acquirente di realizzazione di una attività edificatoria sul fondo, oggetto del contratto, sebbene la stessa avesse comportato la trasformazione irreversibile del bene, e ciò in assenza di un accertamento volto alla verifica di una specifica autorizzazione in tal senso dei proprietari.

In altri termini, tale intervento, comportando la costruzione di organismo edilizio nuovo, posto in essere di esclusiva iniziativa del detentore, senza il consenso, quanto meno tacito, dei proprietari, i soli legittimati al compimento di attività edificatorie sul fondo, quand’anche consegnato anticipatamente al promissario acquirente per espresso accordo (giova ribadirlo, titolo abilitante a soli interventi connessi allo collegamento negoziale: preliminare di compravendita, comodato e mutuo gratuito), si risolverebbe infatti nell’inequivoca e palese esternazione di pretese dominicali sul bene, trascendenti i limiti della detenzione, sia pur qualificata, ed incompatibili con i diritti vantati dal titolare della proprietà sul medesimo predio, come tali idonei ad integrare gli estremi di una condotta inadempiente ai sensi ed agli effetti di cui all’art. 1453 e ss. c.c.. In tali limiti e con le suddette precisazioni, dunque, la sentenza impugnata va cassata.

Il quarto motivo del ricorso, con il quale viene denunciata la violazione dell’art. 2932 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 1362 e 1363 c.c., nonchè l’omessa motivazione (per essere illegittima l’affermazione del giudice di secondo grado secondo cui non vi sarebbe stata "compromissione dell’identità fra quanto promesso in vendita e quanto oggetto della domanda ex art. 2932 c.c.", puntualizzando che avrebbe dovuto essere esclusa l’esecuzione in forma specifica in presenza di una qualsiasi modificazione dell’oggetto del contratto, giacchè la sostanziale identità del bene oggetto del trasferimento costituisce elemento indispensabile di collegamento tra contratto preliminare e contratto definitivo), ed il quinto, con cui viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1499 c.c., per avere fatto decorrere degli interessi dal passaggio in giudicato della decisione anzichè dalla data di immissione del promissario acquirente nel godimento del bene (in difetto di un puntuale accertato che la pattuizione del prezzo fosse avvenuta tenendo conto del vantaggio), restano assorbiti.

In conclusione, vanno accolti i motivi primo, secondo e terzo del ricorso, dichiarati assorbiti il quarto ed il quinto; in relazione alle censure accolte la sentenza va cassata, con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Bari, cui si demanda anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, affinchè detto giudice provveda a statuire sulla controversia facendo applicazione dei principi sopra enunciati.

P.Q.M.

La Corte, accoglie i motivi uno, due e tre del ricorso, assorbiti il quarto ed il quinto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di appello di Bari, che provvedere anche sulle spese processuali di questo grado di giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 29 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2012

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