Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 05-10-2011) 30-11-2011, n. 44596

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. Con sentenza pronunciata il 30 novembre 2010, ex art. 444 c.p.p., comma 2, il Tribunale di Traviso, in composizione monocratica, unificati i reati col vincolo della continuazione, ha applicato la pena di mesi otto e giorni venti di reclusione a B.S. I.R., per il delitto di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 quater, per non aver rispettato, essendo già destinatario di provvedimenti di espulsione del prefetto di Treviso e del prefetto di Milano, emessi, rispettivamente, il 22 febbraio 2005 e il 30 novembre 2005, il più recente ordine di allontanamento del Questore di Treviso, notificatogli il 17 marzo 2009, continuando a permanere illegalmente nel territorio dello Stato; e per la contravvenzione prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 6, comma 3, perchè, senza giustificato motivo, ometteva di esibire, a richiesta dei carabinieri della stazione di Spresiano, il permesso di soggiorno (mai rilasciatogli) nè alcun altro documento idoneo alla sua identificazione (fatti accertati, in (OMISSIS)).

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato personalmente per violazione ed erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione alla commisurazione della pena inflitta ex art. 133 c.p..

Motivi della decisione

3. Le fattispecie di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter e quater, che puniscono la condotta di ingiustificata inosservanza dell’ordine, rispettivamente, iniziale e reiterato di allontanamento del questore, posta in essere, nel caso in esame, prima della scadenza dei termini, entro il 24 dicembre 2010, per il recepimento della direttiva 2008/115/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, devono considerarsi non più applicabili nell’ordinamento interno, a seguito della pronuncia della Corte di giustizia U.E. 28/04/2011 (nell’ambito del processo El Dridi, C-61/11PPU), che ha affermato l’incompatibilità delle suddette norme incriminatrici con la normativa comunitaria, determinando effetti sostanzialmente assimilabili alla abolitio criminis, con la conseguente necessità di dichiarare, nei giudizi di cognizione, che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, e fare ricorso in sede di esecuzione – per via di interpretazione estensiva – alla previsione dell’art. 673 c.p.p. (c.f.r., in termini, Sez. 1^, 28/04/2011, n. 22105 e 29/04/2011, n. 20130).

Il recente D.L. 23 giugno 2011, n. 89, recante disposizioni urgenti per il completamento dell’attuazione della direttiva suindicata sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva sul rimpatrio dei cittadini di paesi terzi irregolari, di cui è pendente il termine di conversione in legge, ha novato la fattispecie (sostanzialmente confermando l’intervenuta abolitio criminis). La nuova formulazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter, introdotta con l’intervento legislativo suindicato, non realizza infatti una continuità normativa con la precedente disposizione, non soltanto per lo iato temporale intercorrente con l’effetto della direttiva, ma anche per la diversità strutturale dei presupposti e la differente tipologia della condotta necessaria ad integrare l’illecito delineato. Sul punto basterà ricordare che, oggi, alla intimazione di allontanamento si può pervenire solo all’esito infruttuoso dei meccanismi agevolatori della partenza volontaria ed allo spirare del periodo di trattenimento presso un centro a ciò deputato (CIE). Il d.l. citato ha istituito dunque una nuova incriminazione, applicabile solo ai fatti verificatisi dopo l’entrata in vigore della novella.

L’intervenuta abolitio criminis impone di risolvere il problema che si pone nella presente fattispecie, connotata dalla particolarità della inammissibilità del ricorso (avendosi riguardo a sentenza di applicazione della pena sull’accordo delle parti, con motivazione che, ancorchè succinta, sarebbe in astratto adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni anche in punto di congruità della pena irrogata), nel senso che l’abrogazione è destinata a prevalere anche sulla causa di inammissibilità del ricorso, in quanto alla impossibilità di rilevare cause di non punibilità in costanza di ricorso inammissibile, resistono le ipotesi di successione di leggi, riconducibili all’art. 2 c.p.. La nozione di condanna, ricavabile da tale norma in combinato con l’art. 673 c.p.p., non può essere difatti che ricondotta al giudicato formale e ciò comporta che, fin tanto che esso non si è formato, spetta al giudice della cognizione prendere atto, in particolare, della intervenuta abolitio criminis e annullare la condanna per fatto divenuto privo di rilievo penale (conformi: Sez. 5, n. 39767 del 27/09/2002, dep. 26/11/2002, Buscemi, Rv. 225702, relativa proprio ad una sentenza di applicazione della pena su richiesta; Sez. U, n. 25887 del 26/03/2003, dep. 16/06/2003, Giordano, Rv. 224606, con riguardo ad un più complesso caso di successione di leggi con effetto parzialmente abrogativo del reato oggetto di condanna).

Con riguardo, poi, alla pur ritenuta contravvenzione prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 6, comma 3, va rilevato che il reato di inottemperanza all’ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o dell’attestazione della regolare presenza nel territorio dello Stato (prescrizioni da intendersi cumulative e non alternative) è configurabile soltanto nei confronti degli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, e non anche degli stranieri in posizione irregolare, a seguito della modifica del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 6, comma 3, recata dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 1, comma 22, lett. h), che ha comportato una abolitio criminis, ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 2, della preesistente fattispecie per la parte relativa agli stranieri in posizione irregolare (Sez. U, n. 16453 del 24/02/2011 dep. 27/04/2011, Alacev, Rv. 249546), essendo inesigibile da quest’ultimi, proprio perchè presenti clandestinamente nel territorio dello Stato, la cumulativa esibizione del passaporto (o di altro documento di identificazione) e del permesso di soggiorno (o dell’attestazione di regolare presenza in Italia).

Poichè, nel caso in esame, l’imputato, cittadino peruviano, era irregolarmente presente nel territorio dello Stato, non è quindi configurabile a suo carico l’ipotesi criminosa contestata.

4. Segue l’annullamento senza rinvio della decisione impugnata perchè entrambi i fatti, oggetto della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, non sono previsti dalla legge come reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè i fatti non sono previsti dalla legge come reato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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