Cass. civ. Sez. I, Sent., 20-06-2012, n. 10183

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con convenzione 23.11.1989 l’esercente s.p.a. Ferrovie Calabro Lucane affidava alla concessionaria ATI, Cogefar-ICLA (alla quale come mandante ebbe a subentrare di lì a poco la s.p.a. Impresa Pizzarotti & c.), un complesso di lavori di progettazione, espropri, realizzazioni di strutture e fornitura di materiale rotabile necessario per l’ammodernamento della rete ferroviaria in Calabria e Lucania. La prima convenzione era quindi sottoposta ad una revisione a seguito della soppressione della originaria concedente e del subentro di due distinti soggetti, uno dei quali la soc. Ferrovie della Calabria: questa procedeva quindi con l’ATI concessionaria alla stipula di atto aggiuntivo 30.3.1992 ed alla stesura di un nuovo Piano di Avanzamento delle Prestazioni con previsione di sei distinti Interventi Funzionali per ciascuno dei quali erano determinati, con specifici atti integrativi, nuovi termini di ultimazione delle opere e nuove percentuali di maggiorazione del prezzo chiuso. Insorte controversie, la concessionaria ATI propose domanda di accesso arbitrale ed il giudizio si concluse con il lodo 30.4.2003 dichiarativo della cessazione della contesa, avendo le parti definito transattivamente la controversia previa il pagamento di Euro 8.005.082 al concessionario e con riguardo ad ogni pretesa afferente il periodo anteriore all’1.09.2000, sulla base delle previsioni dell’atto transattivo 16.12.2002.

Successivamente, avendo il concessionario iscritto numerose riserve con riguardo ai distinti Interventi Funzionali e non essendosi raggiunta la sperimentata intesa bonaria, il Concessionario con atto 8.9.2004 propose domanda arbitrale e venne ad articolare 27 quesiti (ai quali seguirono cinque quesiti aggiunti). Costituitosi il 27.9.2005 il Collegio arbitrale, disposta ed acquisita consulenza tecnica, con lodo sottoscritto il 19.9.2006 accolse i quesiti 1-3-5-8- 9-11-12-13-14-15-16-17-18-20-21-22-23-24-25-27 ed i quesiti aggiunti 1-3-4-5, quindi condannando la s.p.a. Ferrovie della Calabria a corrispondere alla concessionaria la somma di L. 9.587.000 oltre accessori e spese.

La società concessionaria con citazione del 24.1.2007 ha quindi impugnato il lodo innanzi alla Corte di Appello di Roma dispiegando nove motivi di censura afferenti l’accoglimento di alcune domande, proposte con i quesiti 8, 9, da 20 a 25, 27 ed i quesiti aggiunti 1 e 4 ed un motivo sul regime delle spese. Si è costituita la soc. Impresa Pizzarotti & c. e la Corte di Roma con sentenza depositata il 19.1.2009 ha rigettato tutte le censure e condannato la impugnante alla refusione delle spese.

Nella motivazione della sentenza la Corte di merito, dopo la completa riproduzione della vicenda di causa e delle ragioni dell’impugnante e dell’impugnata, ha articolato considerazioni alle pagine da 41 a 45 nei termini che appresso si sintetizzano:

A) con riguardo al primo motivo di impugnazione, attingente la decisione assunta dal lodo sul quesito 8 (relativo all’intervento funzionale 1, opere civili del deposito di Cosenza ed afferente alla protrazione dei tempi contrattuali ed ai maggiori oneri, per il quale il Collegio aveva riconosciuto la somma di Euro 2.295.098), primo motivo che la sentenza ha riportato alle pagine da 17 a 29 della decisione, la Corte ha osservato che l’impugnante contestava come assunta in violazione delle regole di ermeneutica contrattuale la lettura data dagli arbitri all’accordo transattivo 16.12.2002 in relazione all’atto aggiuntivo 26.07.2002. Era invero controversa l’interpretazione della clausola per la quale erano escluse dalla sistemazione transattiva le pretese e le riserve per fatti anteriori al 31.8.2000 ma con effetti continuativi o destinati alla ripetizione nel tempo. La decisione degli arbitri era quindi contestata per fraintendimento della reale portata e della effettiva direzione della clausola, la quale avrebbe dovuto portare oltre alla definizione della lite anche a dare nuovo e diverso assetto al rapporto convenzionale che continuava. Ad avviso della Corte di Roma l’impugnazione in realtà attingeva il "merito" della interpretazione data.

B) con riguardo al secondo motivo di impugnazione, relativo alla decisione del lodo su quesito 9 (per lo stesso I.F. ed afferente maggiori oneri per slittamento della ultimazione lavori, riconosciuti dal lodo in Euro 187.031), la Corte ha preso atto della formulazione di censure di violazione degli artt. 1362-1363-1366 c.c. nel secondo motivo riportato alle pagg. 29 e 30 e lo ha disatteso richiamando le medesime argomentazioni svolte per il primo motivo.

C) in relazione ai motivo terzo e quarto di impugnazione, entrambi afferenti l’I.F. n. 1 ma i quesiti aggiunti nn. 1 e 4, che erano stati parzialmente accolti da lodo con condanna della esercente a pagare rate di saldo di Euro 44.817 e di Euro 4.536 previa disapplicazione della penale, la Corte ha riferito (pagg. 30 e 31) che l’impugnazione censurava la acritica adesione degli arbitri alle risultanze di CTU ed ha concluso per la inammissibilità della censu- ra di contraddittorietà non essendo consentita in sede di impugnazione una censura di siffatta natura avverso una motivazione del lodo arbitrale comunque chiara e comprensibile.

D) con riguardo al quinto motivo – afferente l’I.F.5 ed al quesito 20 che censurava la decisione arbitrale di riconoscere compensi per indebita protrazione dei tempi contrattuali per l’importo di Euro 1.243.457 – la Corte ha riferito alle pagine da 31 a 36 come le censure riguardassero l’interpretazione data dagli arbitri all’ambito preclusivo della transazione 16.12.2002 erroneamente ritenuto escludente la indiscutibilità di tutte le penali e non solo di quella relativa all’I.F. 6: anche per tal ragione di impugnazione la Corte ne ha ravvisato la inammissibilità essendo in realtà proposta solo una censura di merito.

E) in relazione al sesto motivo, afferente l’I.F. 6 ed i quesiti 21 e 22, la Corte ha riferito alle pagg. 36 e 37 che il lodo aveva riconosciuto spettare quanto dedotto nelle riserve e condannato a pagare Euro 179.079 ed ha ritenuto che le censure di malgoverno ermeneutico fossero in realtà anch’esse di merito.

F) con riguardo al settimo motivo, la Corte alle pagine 37 e 38 ha riferito come il Collegio, sulla domanda di pagamento maggiori oneri e danni per ritardato collaudo delle opere di cui all’I.F. 3 (impianti sicurezza nella tratta Cosenza – Pedace), avesse riconosciuto spettare Euro 1.314.757 ed ha aggiunto che le censure dell’impugnante delineavano sia la abnormità dei risultati cui si era pervenuti, non detraendo i 242 giorni di ritardo imputabili al concessionario, sia la errata lettura della convenzione con riguardo alla previsione del termine di collaudo sia ancora la violazione dei canoni sull’onere della prova e sulla liquidazione dei danni: ad avviso della Corte anche esse erano solo censure di merito. G) in relazione ai motivi ottavo e nono – afferenti gli interventi 4 e 5 ed i quesiti 24 e 25 – la Corte ha riferito (pagg. 39 e 40) come in base alle richieste di maggiori oneri e danni da ritardato collaudo il lodo avesse condannato l’esercente a pagare al concessionario rispettivamente Euro 721.102 ed Euro 1.731.381 e che Se ragioni di impugnazione, afferenti la apodittica condivisione delle ragioni della CTU e la abnormità della liquidazione di danni da ritardo in percentuale superiore al 50% dell’importo dei relativi lavori, erano da disattendere perchè di merito, esattamente come fatto con le precedenti.

Conclusivamente a tale disamina la Corte ha quindi escluso la sindacabilità di vizi di motivazione che non fossero – come nella specie non erano – appuntati su motivazioni incomprensibili o con argomenti tra loro inconciliabili. Di nuovo la Corte di Roma ha LW preso in esame i motivi (sentenza pagg. 44 e 45) osservando che i motivi 6,7,8,9 esponevano critiche alle ragioni compiutamente espresse dagli arbitri, che il motivo 1 lamentava una contradditorietà, tra rigetto della domanda sub quesito 6 ed accoglimento di quella di cui al quesito 8, che non esisteva affatto posto che al primo si deduceva il rimborso dei maggiori oneri cagionati dall’anomalo sviluppo dell’intera concessione mentre al secondo si chiedevano i danni per i protratti tempi afferenti l’I.F. 1, che del pari la censura di contraddizione posta ai motivi 3 e 4 tra accoglimento dei quesiti 8 e 9 ed accoglimento dei quesiti aggiunti 1 e 4 (i primi comportanti accertamento di ultimazione in ritardo dei lavori ed i secondi afferenti la disapplicazione della penale per il rispetto dei termini) non sussisteva, visto che nel primo caso la protrazione era imputabile al concedente ed afferiva a tempo anteriore all’1.9.2000 nel mentre nel secondo caso la tempestività accedeva ai nuovi termini di cui all’atto aggiuntivo 20.7.2002, che analogamente andava rilevato con riguardo al motivo 5 per la cui confutazione bastava richiamare quanto argomentato in relazione ai motivi 3 e 4, che le doglianze espresse in termini di violazione delle regole di ermeneutica contrattuale erano inconsistenti avendo gli arbitri argomentato in modo compiuto e dette censure essendo mera contestazione del loro risultato di merito e che le decisioni assunte sulle spese erano infondate per l’uso dei poteri di legge da parte del Collegio.

Per la cassazione di tale sentenza la s.p.a. Società ferrovie della Calabria ha proposto ricorso con quattro motivi il 22.10.2009 al quale ha resistito la s.p.a. Impresa Pizzarotti con controricorso del 2.12.2009. Entrambe le parti hanno depositato memorie finali ed i loro difensori hanno discusso oralmente.

Motivi della decisione

Ritiene il Collegio che il complesso ricorso della s.r.l. Società ferrovie della Calabria, affidato a motivi in parte inammissibili ed in parte infondati, debba essere rigettato.

Giova preliminarmente precisare, alla stregua delle osservazioni poste in controricorso, che la fattispecie sottoposta veda la necessaria applicazione del "quesito di diritto" per la validità del ricorso. Che tal requisito sia applicabile, con riguardo alla impugnata sentenza 19.01.2009 e pur in sede di decisione di legittimità da assumere dopo l’abrogazione della menzionata disposizione, è dato indiscutibile alla luce del principio posto dalle recenti pronunzie di questa Corte (Cass. n. 13975 del 2011, 7119 e n. 20323 del 2010), al quale il Collegio ritiene di dare continuità. Si esaminano dunque separatamente i quattro motivi sia alla luce delle eccezioni di inammissibilità poste in controricorso sia con riguardo alle censure poste da Ferrovie della Calabria sul merito della decisione della Corte di Roma.

Primo motivo: esso lamenta la violazione di legge commessa nell’aver supposto che l’impugnante articolasse censure di vizio della motivazione del lodo nel mentre erano state proposte, e quindi ignorate, censure di violazione delle regole di diritto (artt. 1362- 1363-1366-1369 c.c.) per avere gli arbitri fatto affermazioni tra loro incompatibili ed alcune di esse corrette e non impugnate e pertanto, come tali, passate in giudicato; ad avviso della ricorrente l’avere l’impugnante formulato motivi per violazione delle regole di diritto presupponeva la piena accettazione della esistenza di una motivazione e la concentrazione dell’intento impugnatorio sulla violazione di una regula juris, sì che era di quella questione che la Corte si sarebbe dovuta occupare.

La controricorrente rileva ed eccepisce l’esistenza di un motivo privo di autosufficienza e con quesito totalmente generico:

effettivamente se si fosse inteso imputare alla Corte un travisamento della reale portata della impugnazione, che non sarebbe stata ret- tamente compresa quale era e cioè diretta a far valere violazione delle regole ermeneutiche contrattuali violate dal lodo, si sarebbero dovuti riportare nel quesito, come più volte ricordato da questa Corte (S.U. 3201 e 1630 del 2010) i due termini della censura, e cioè sia il passaggio affetto da travisamento sia la reale e travisata censura proposta. Ed in tal senso il Collegio non può non condividere il rilievo della controricorrente per la quale il quesito appare affetto da astrattezza.

Ma vi è un assorbente rilievo che evidenzia la inidoneità della intera censura a raggiungere la soglia dell’ammissibile e che assorbe la eccepita inidoneità del quesito. Le censure ex art. 829 c.p.c., comma 2, afferenti la ascritta violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale devono essere articolate in sede di impugnazione e, se disattese od ignorate, devono essere richiamate nel ricorso per cassazione, per lo specifico ed autonomo contenuto precettivo delle varie regole codicistiche violate e con riguardo alla loro disapplicazione-falsa applicazione nel concreto operata dal collegio arbitrale. Ebbene nel motivo in disamina da un canto si propone una censura di violazione "per sommatoria" (vd. a pag. 41 la e-lencazione degli articoli 1362, 1363, 1366 e 1369 c.c.) e dall’altro canto ci si riserva di addivenire alla analitica disamina di tali errori di diritto al motivo di ricorso 7.3 (vd. pag. 42), con un rinvio del tutto incomprensibile (posto che tal motivo è inesistente), e poi, ed al contempo, si richiamano complessivamente le censure di cui al par. 5 del ricorso (indicato come par. 4, alle pagine da 30 a 35) senza correlarle ad uno specifico decisum della sentenza della Corte romana (tra quelli che, sinteticamente ma chiaramente, la sentenza ha articolato nelle pagine conclusive della motivazione). Nel motivo in disamina, pertanto, anche perchè presumibilmente costruito come mera cornice di una generale censura di un fraintendimento della reale portata delle impugnazioni del lodo, difetta la specificità e concludenza espositiva dei termini della violazione che si denunzia in sede di legittimità, termini necessariamente legati da una sequenza logica unitaria che appare opportuno sinteticamente esporre : 1) la questione sottoposta alla decisione arbitrale, 2) il canone normativo violato dagli arbitri, 3) la specifica impugnazione proposta, esplicitante le ragioni della violazione sub 2, 4) il passaggio argomentativo della sentenza di merito che tale impugnazione avrebbe ignorato o frainteso. Il motivo pertanto, in difetto di tali requisiti di coerenza e specificità, e nella sua costruzione generale o "per sommatoria", non è ammissibile.

Secondo motivo: esso si duole del fraintendimento e comunque dell’errore di diritto inficiante la ipotesi di contraddizione argomentativa seguita dalla Corte di merito. Il giudice del merito, infatti, ad avviso della ricorrente, aveva mostrato di condividere il principio posto dalla Suprema Corte per il quale siffatta contraddizione era sanzionabile solo ove la motivazione avesse evidenziato una insanabile incomprensibilità idonea a sfociare nella ineseguibilità del lodo; tale tesi non sarebbe condivisibile perchè il vizio di contraddizione ben può ravvisarsi tra singole parti della decisione arbitrale, l’una in insanabile contrasto con l’altra, come avvenuto con il rigetto del quesito 6 e l’accoglimento dei quesiti 8 e 9 e dei quesiti aggiunti 1 e 4, le cui questioni erano poi precluse dalla transazione. Altrettanto contraddittorio sarebbe stato poi, sempre a criterio della società ricorrente, procedere al rigetto del quesito 19 ed all’accoglimento dei quesiti 20 e 21 vieppiù trattandosi di questioni coperte dalla transazione del 16.12.2002.

Osserva il Collegio che nel corpo del motivo sussiste una descrizione autosufficiente di alcune ipotesi nelle quali la sentenza a-vrebbe – a dire della ricorrente – erroneamente rifiutato di dar corso al sindacato sulla contraddizione interna al lodo tra statuizioni e presupposti, avendo all’uopo richiamato un non condivisibile indirizzo che tal sindacato consente solo in casi di incomprensibilità assoluta del decisum.

Il motivo in sostanza intende affermare che la contraddizione sindacabile in sede di impugnazione del lodo arbitrale sia anche quella meramente logica tra premesse e conclusioni della decisione e non ignora che questa Corte ha sempre affermato che nel lodo la contraddizione rilevante è quella che assume tale consistenza da cagionare il crollo della tenuta logica dell’intero decisum. Da tale indirizzo il ricorso invero dissente e tenta (pagg. 46 e 47) di indurre un ripensamento.

La decisione della Corte di merito, e che nel motivo è esaminata e criticata, appare ad avviso del Collegio indiscutibilmente esatta, alla stregua del costante orientamento di questa Corte sui limiti del sindacato impugnatorio sulla interpretazione arbitrale del contratto (da ultimo in Cass. 22333 ed 8049 del 2011, ed ante in Cass. 13511 del 2007 e 6423 del 2003) orientamento al quale il Collegio intende dare continuità.

E pertanto le specifiche ipotesi di contraddizione enunciate alle pagine 48, 49 e 50 del ricorso, quand’anche evidenziassero una contraddizione tra premesse di una decisione in altra sede del lodo assunta e conseguenze tratte per diversa questione, e quand’ anche non fossero invece rapportabili ad una pura e semplice valutazione del merito delle questioni sottoposte, non inficerebbero affatto la comprensibilità della decisione (che infatti l’impugnante aveva compreso benissimo e che fermamente censurava per incoerenza interna) e resterebbero pertanto irrilevanti proprio perchè, contrariamente alla opinione della ricorrente (pag. 50), non si verte in tema di controllo del "…percorso logico e della ricostruzione di fatto e giuridica seguita dal Giudice" ma soltanto in tema di limitato sindacato della motivazione della decisione di un collegio arbitrale.

Terzo motivo: con esso si censura la risposta elusiva data dalla Corte di Roma alla questione interpretativa posta, in dissenso dal lodo, dall’impugnante con riguardo alla previsione sub 2.2. della transazione tra le parti: l’impugnante infatti aveva denunziato come assunta in violazione delle norme sulla interpretazione letterale e teleologia del contratto la decisione arbitrale di ritenere non convenzionalmente prorogato il termine di completamento delle opere di cui all’I.F. 1 (anche contraddicendosi con l’accoglimento dei quesiti aggiunti 1 e 4); analogamente era stata denunziata l’errata interpretazione dell’art. 2, comma 5, ult. cpv. con l’accoglimento dei quesiti 20, 21, 22 di cui all’I.F.6: ebbene la Corte di Appello – sostiene in ricorso Ferrovie della Calabria – aveva limitato la sua decisione alla generica confutazione dei motivi perchè sollecitanti una critica "di merito" e quindi aveva eluso con la tautologica formula adottata la risposta alle ragioni di impugnazione.

La censura, in primo luogo, non appare dotata dei necessari caratteri di specificità e pertinenza. La Corte di Roma alle pagine 41, 42 e 44 della sentenza in disamina si è fatta carico delle censure – riportate alle pagine da 17 a 26 – poste sulla fondamentale questione della interpretazione data dal collegio arbitrale quanto alla portata de futuro della intesa del 16.12.2002 e le ha disattese come proposte di rivalutazione nel merito: ma, a questo punto, la censura per essere ammissibile in questa sede avrebbe dovuto prospettare quali passaggi della decisione arbitrale erano stati assunti in violazione della corretta applicazione delle regole sub artt. 1362-1363-1366 e quali specifici motivi erano stati rivolti a contestazione, quindi riproducendo la sequenza logica dei punti 1-2-3-4 indicati alla conclusione della disamina del primo motivo e si sarebbe dovuta concludere con il pertinente quesito di diritto.

Nondimeno, quand’anche si potesse ritenere esaustiva la censura in disamina "integrandola" con la accurata esposizione fatta alle pagine da 68 a 71 del controricorso, e quindi se si procedesse ad esaminare le censure riportate solo in sintesi nel motivo in disamina si evidenzierebbe che esse esprimono nulla più che un generico dissenso dalla scelta del collegio arbitrale di non ritenere assorbente la previsione del punto 2.2. dell’intesa per la quale "… la convenzione debba ritenersi definitivamente conclusa" e di ritenere invece decisiva la previsione di cui al punto 2.8 dell’intesa stessa, che faceva salva la efficacia delle riserve indennitarie iscritte aventi valenza continuativa e ripetuta limitatamente al periodo post 31.8.2000.

In sostanza tra le due letture delle complessive clausole nella parte di rilievo, quella per la quale la statuizione di conclusione avrebbe avuto efficacia "tombale" e quella per la quale la transazione avrebbe coinvolto solo le questioni afferenti danni ed extracosti maturati sino ad una certa data, il collegio arbitrale ha optato per tale seconda lettura e l’impugnante se ne è lagnato da un canto ignorando il punto 2.8 e dall’altro canto pretendendo costituisse vulnus all’art. 1362 c.c. la lettura data, che avrebbe obliterato il punto 2.2.

Bene dunque la Corte di Roma ha sinteticamente quanto chiaramente affermato la irricevibilità di quella ragione di impugnazione come mero tentativo di rimettere in discussione la plausibilità di una interpretazione che era comunque fondata sul testo e che non era incompatibile con una volontà transattiva "parziale" e quindi, logicamente, "possibile".

Rileva infine – in chiara coincidenza con la genericità del motivo – la assoluta astrattezza del quesito a pagg. 56 e 57 del ricorso che ben pone il problema astratto ma che non è funzionale alla esigenza di sintesi concreta e specifica di cui all’art 366 bis c.p.c. (secondo l’intendimento del legislatore del 2006). Quarto motivo: si duole della violazione dell’art. 1218 c.c. commessa dalla Corte di Roma che, nel registrare (pag. 43) la censura dell’impugnante di scorretta interpretazione dell’art. 32 della convenzione e relativa alla conseguente mancata detrazione dei 242 giorni di ritardo ascrivibili al comportamento del concessionario, avrebbe liquidato la questione come realmente devolvente una critica sulla valutazione di fatto sul concreto assolvimento dell’onere della prova. Ad avviso della ricorrente l’impugnazione era assai chiara nel denunziare la totale disattenzione per la riconducibilità all’art. 1218 c.c. dell’errore progettuale imputabile al concessionario e della identificazione in esso della causa non imputabile del ritardo dell’esercente. La censura non è accoglibile. La Corte di Appello (pag. 37-38-43) ha dato una sua interpretazione del motivo di impugnazione afferente la mancata detrazione de qua e ciò ha fatto qualificando il richiamo all’art. 1218 c.c. come "apparente" e dissimulante nella sostanza una questione di fatto. Il motivo qui in disamina dissente ed afferma anche nel quesito (qui da ritenersi pertinente) che il motivo di impugnazione lamentava, come si afferma essere esposto alle pagg. 85-86 dell’atto di impugnazione, che la inclusione delle giornate di ritardo in discorso avesse violato l’art. 1218 c.c. essendo tal ritardo "imputabile" al conclamato errore del concessionario. Orbene, a fronte di una lettura asseritamente riduttiva dell’impugnazione, sfociante nella errata degradazione del motivo di diritto a questione di fatto, sarebbe stato onere dell’odierna ricorrente riprodurre il contenuto di quelle pagine 85 ed 86 e non solo limitarsi ad un richiamo, inidoneo a far accertare se la Corte di merito abbia travisato la reale portata della domanda dell’impugnante.

Va peraltro ricordato che con un recentissimo pronunziato le S.U. di questa Corte (8077 dell’8.5.2012) hanno risolto il contrasto sulla possibilità, affermata, di diretta lettura degli atti del processo le volte in cui si sia contestata la interpretazione data dal giudice del merito sulla specificità o non genericità dell’atto introduttivo del giudizio: il principio di diritto affermato è quello per il quale "quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità dei procedimento o della sentenza impugnata, ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366, comma 1, n. 6, e art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4)" Sol che tale innovativa affermazione di diretta verificazione riguarda, comunque, la sola ipotesi della contestata nullità dell’atto processuale – del quale si predichi ed ex adverso si neghi la idoneità ad instaurare il giudizio – e non coinvolge certamente la controversia, quale quella in disamina, sulla corretta interpretazione dell’ambito di un atto introduttivo incontestabilmente valido. Sì che non è dato a questa Corte – in difetto della riproduzione d’obbligo della censura – valutare se sia stato commesso il contestato travisamento della domanda. Ma quand’anche, ancora una volta, si ritenesse completabile la insufficienza del ricorso con la disamina della analitica riproduzione operata alle pagine da 84 in poi del controricorso, emergerebbe che il collegio arbitrale aveva in realtà formulato una valutazione di assorbimento del ritardo a-scrivibile alla Impresa (otto mesi) in quello addebitabile all’Esercente (nove anni circa), sì che non appare essere estraneo all’ambito valutativo aperto dalla denunzia di violazione dell’art. 1218 c.c. – e quindi non integrante alcun fraintendimento – la decisione della Corte di merito di considerare sul punto non sindacabile "per eccessività" la decisione arbitrale di quantificare equitativamente il danno (pag. 43 della sentenza). La reiezione del ricorso comporta la condanna della ricorrente alla refusione delle spese di giudizio della controricorrente (secondo il valore in ricorso dichiarato come superiore ad Euro 520.000).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente a corrispondere alla società controricorrente per spese di giudizio la somma di Euro 15.200 (di cui Euro 200 per esborsi) oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2012

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