Cass. civ. Sez. I, Sent., 20-06-2012, n. 10182 Vendita di immobili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Messina, con sentenza del 23 aprile 2009 ha confermato quella in data 20 marzo 2003 del Tribunale, che aveva condannato il Consiglio Nazionale delle ricerche (CNR) ed il comune di Messina in solido al risarcimento del danno liquidato in Euro 465.988,73 per l’abusiva occupazione ed irreversibile trasformazione nel febbraio 1989, in mancanza di procedimento ablativo perchè carente della dichiarazione di p.u., di un terreno di proprietà di L. e R.M.C., nonchè di S., A. ed Is.Al. ubicato nel locale villaggio (OMISSIS) (in catasto al fg.152, part. 90), rilevando (per quanto qui ancora interessa): a) che il risarcimento era stato liquidato con riferimento alla data di occupazione del terreno; ragion per cui alle proprietarie non spettavano somme più elevate del suo valore venale non avendo le stesse provato di avere subito un danno maggiore nè per l’iniziale apprensione dell’immobile, nè per il fallimento delle trattative in ordine alla sua cessione; b) che il valore venale di L. 120.000 mq. era stato accertato dal ct. in primo grado e confermato dalle parti nelle trattative intercorse prima del giudizio.

Per la cassazione della sentenza, il CNR ha proposto ricorso per due motivi; il comune ha depositato controricorso con cui ha aderito al ricorso principale. Hanno presentato altresì controricorso sia R.L. che gli altri comproprietari, i quali ultimi hanno formulato ricorso incidentale per tre motivi.

Motivi della decisione

Il Collegio deve preliminarmente rilevare che il comune di Messina, malgrado nel proprio controricorso abbia insistito sulla propria estraneità all’occupazione abusiva del fondo R., si è poi limitato ad aderire ai motivi di ricorso del CNR, non ha formulato i quesiti di diritto a sostegno della censura, e nelle conclusioni ha chiesto soltanto "l’accoglimento del ricorso principale" del Consiglio nazionale delle Ricerche; per cui nessuna statuizione va emessa sulla doglianza in tal modo formulata.

Con il primo motivo del ricorso principale, il CNR, deducendo difetti di motivazione censura la sentenza impugnata per avere acriticamente recepito la valutazione del fondo compiuta dal c.t.u. che lo aveva sopravvalutato, senza prendere in esame le critiche rivolte a dimostrare che per la diversa morfologia dell’immobile, il valore risultava sensibilmente inferiore a quelli viciniori.

Con il secondo motivo estende la censura al mancato rinnovo della c.t.u., più volte richiesta nel giudizio di merito, sulla quale nessuna risposta aveva dato la sentenza impugnata, disattendendo il principio giurisprudenziale che, allorquando si formulano rilievi tecnici alla sentenza dì primo grado e si chiedano approfondimenti tecnici, il giudice di appello è tenuto a motivare la sua scelta negativa.

Per converso R.M.C. e gli I., con il primo motivo del ricorso incidentale, deducendo violazione degli artt. 1223, 2043 e 2056 cod. civ. si dolgono che non sia stato recepito il più elevato valore di L. 140.000 mq. attribuito dalla stessa Corte di appello ad altra porzione del terreno in base a due distinte consulenze : richiamando i valori attribuiti dalle parti ad un tentativo di accordo che proprio per la sua natura non poteva essere preso in considerazione anche perchè si riferiva all’anno 1986.

Le censure sono in parte inammissibili, in parte infondate.

La giurisprudenza di legittimità è assolutamente consolidata sul principio che in tema di ricorso per Cassazione per vizio di motivazione la parte che si duole di carenze o lacune nella decisione del giudice di merito che abbia sostanzialmente basato il proprio convincimento sull’accertamento tecnico eseguito in primo grado, non può limitarsi a censure apodittiche d’erroneità e/o inadeguatezza della motivazione od anche di omesso approfondimento di determinati temi di indagine, prendendo in considerazione emergenze istruttorie asseritamente suscettibili di diversa valutazione e traendone conclusioni difformi da quelle alle quali è pervenuto il giudice "a quo"; ma, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, ed il carattere limitato di tale mezzo dì impugnazione, è tenuta ad indicare le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità ed adeguatezza al fine di consentire l’apprezzamento causale del difetto di motivazione, richiamando le difese svolte al riguardo e disattese dal giudice, riportando per esteso le pertinenti parti della consulenza tecnica ritenute insufficientemente od erroneamente valutate, e svolgendo concrete e puntuali crìtiche alla contestata valutazione. Laddove nel caso il CNR si è limitato al generico addebito alla c.t.u. (ed alla sentenza impugnata) di non aver tenuto conto della morfologia del terreno occupato, che a suo dire ne avrebbe ridotto il valore del 50% senz’altra indicazione; e senza specificare neppure da quali accertamenti dell’ausiliario aveva tratto la conclusione che dette condizioni morfologiche non erano state tenute in alcuna considerazione: anche perchè i ricorrenti incidentali hanno trascritto parte della relazione nella quale il consulente ha ritenuto di discostarsi dalla valutazione compiuta da una precedente decisione della Corte di appello, proprio a causa "della superficie più o meno estesa, dell’ubicazione, della configurazione, della natura fisica, nonchè della giacitura (terreno in declivio).." del fondo occupato e del raffronto con quello precedente stimato invece in L. 140.000 mq.

E tale raffronto recepito dalla sentenza impugnata ne ha esaurito l’obbligo di motivazione circa la ragione per cui non è stato condiviso quest’ultimo valore, che d’altra parte, a giudizio della Corte ha trovato ulteriori riscontri sia nel parere reso dalla Commissione di congruità del CNR, sia nelle valutazioni prospettate dalle stesse parti, non pervenute ad un accordo proprio perchè i R. con nota del 23 febbraio 1990 ne avevano indicato il prezzo di mercato in L. 120.000 mq., poi effettivamente accolto da entrambi i giudici di merito.

Nelle loro censure, con le quali contraddittoriamente si limitano ad invocare la precedente decisione della Corte di appello di Messina, senza neppure indicare alcuna illogicità nel raffronto compiuto dal consulente con il terreno oggetto di quest’ultima stima, non è riscontrabile, quindi, neppure la mancanza od insufficienza di motivazione dagli stessi lamentata, mentre le diverse valutazioni in fatto prospettate con la doglianza non possono trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità, nel quale le valutazioni operate dal giudice del inerito dei fatti e delle risultanze probatorie non sono censurabili, ove il convincimento dello stesso giudice sia – come nel caso di specie – sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici. Analoghe considerazioni valgono per il secondo motivo del ricorso incidentale, con cui essi si dolgono che nessun indennizzo sia stato loro attribuito per la detenzione del fondo anteriore o successiva al provvedimento di occupazione, una volta che quest’ultimo è stato (anche su loro richiesta) disapplicato dai giudici di merito, perchè mancante della dichiarazione di p.u.

dell’opera che doveva costituirne il necessario presupposto; e che essi non hanno chiesto la restituzione del bene, come pure era loro consentito dall’art. 2058 cod. civ., ma hanno optato per il suo controvalore determinato alla data della sua irreversibile trasformazione che la Corte di appello ha fatto coincidere proprio con la data di apprensione del terreno da parte del CNR:perciò più non potendo pretendere in aggiunta all’equivalente del bene anche i frutti perduti per il successivo godimento dello stesso. Infondato è infine anche l’ultimo motivo, con cui i ricorrenti, deducendo violazione degli art.1337 e 2697 cod. civ., insistono nella richiesta risarcitoria disattesa anche dalla sentenza impugnata, per l’illegittima interruzione delle trattative da parte del CNR che non aveva voluto adeguare il prezzo del terreno all’importo di L. 120.000 mq. e poi concludere il contratto di cessione, pur essendosi in malafede immesso nel possesso dell’immobile.

Non è anzitutto esatto che le trattative tra le parti per la vendita dell’immobile si siano interrotte per l’illegittimo comportamento del CNR, avendo la Corte di appello accertato che erano state proprio le R. a pretendere da ultimo (nota del 23 febbraio 1990) una somma più elevata (L. 120.000 mq.) di quella (di L.110 mq.) sulla quale era stato raggiunto l’accordo per la cessione; e non potendo considerarsi "ingiustificato" il rifiuto del promissario compratore di accettare in una libera compravendita, attuata al di fuori di un procedimento ablativo, tale maggior prezzo richiesto dalle promissarie venditrici.

D’altra parte, proprio per effetto ed in conseguenza della rottura le ricorrenti hanno conseguito quel guadagno -avendo i giudici del merito stimato l’immobile in L. 120.000 mq. quale richiesto dai venditori- che le stesse intendevano ottenere dalla futura cessione (ove fosse andata a buon fine); sicchè è corretta anche le considerazione della sentenza impugnata che intanto il CNR poteva essere condannato al risarcimento di un danno più elevato di quello liquidato dal Tribunale, in quanto le ricorrenti avessero dapprima allegato e poi documentato che l’interruzione aveva loro arrecato un danno maggiore di quello compensato attribuendo all’immobile il valore venale di L. 120.000 mq. da esse richiesto con la ricordata nota del 23 febbraio 1990. Essendo stati respinti tutti i ricorsi, il Collegio ritiene conforme a giustizia dichiarare interamente compensate tra tutte le parti le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi e li rigetta; dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2012

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