Cass. civ. Sez. I, Sent., 20-06-2012, n. 10181 Onorari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con provvedimento depositato il 16/3/2009 il Tribunale di Civitavecchia ha respinto il reclamo proposto da M.F. avverso il provvedimento del Giudice delegato del Fallimento National Jet Italia s.p.a. di liquidazione del compenso, per l’attività resa dal M. come consulente tecnico di parte del giudizio civile tra il Fallimento e la British Airways, determinato in Euro 15300,00, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 50 e ss. e del D.M. 30 maggio 2002, art. 2 con l’aumento del 50% ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 52.

Il Tribunale, premessa la correttezza della tesi del ricorrente, di riconoscimento del compenso secondo la tariffa professionale di appartenenza, ha evidenziato l’infondatezza del richiamo alla inderogabilità dei minimi tariffar, ormai superata alla stregua del D.L. n. 223 del 2006, convertito nella L. n. 248 del 2006, art. 2 e che il Giudice delegato aveva tenuto conto innanzi tutto dell’opera effettivamente prestata dal consulente di parte e della conclusione anticipata del procedimento, pervenendo essenzialmente ad una liquidazione che corrispondesse al giusto compenso per l’attività svolta. Ricorre per cassazione il M. sulla base di un unico motivo. Si difende il Fallimento con controricorso.

Il M. ha depositato memoria, ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1.1.- Con l’unico motivo di ricorso, il M. si duole della violazione e falsa applicazione del D.L. n. 223 del 2006, art. 2 convertito nella L. n. 248 del 2006, in relazione al D.P.R. n. 645 del 1994, art. 31, comma 1, lett. c) e della contraddittorietà della motivazione su fatto controverso e decisivo.

Il ricorrente evidenzia che non sono state abrogate le tariffe, ma l’obbligatorietà delle tariffe fisse o minime, ma nel caso in esame non vi è stato alcun accordo con gli organi del Fallimento per la determinazione del compenso in misura inferiore ai minimi; che la motivazione del decreto è contraddittoria, in quanto sembra ritenere l’attività resa dal M. non particolarmente complessa, ma poi da atto della maggiorazione operata dal Giudice delegato, in relazione alla qualità e quantità del lavoro svolto.

2.1.- Il ricorso è inammissibile, in relazione ad ambedue le censure fatte valere.

Quanto al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, va rilevato che il quesito di diritto, articolato in chiusura del motivo ex art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis (il provvedimento impugnato è stato infatti depositato dopo la data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006), è inammissibile, in quanto inconferente rispetto alla ratio decidendi adottata dal Tribunale.

Il Giudice del merito, infatti, ha accertato che il compenso andava liquidato secondo la tariffa professionale del M., in relazione all’attività resa, e che il Giudice delegato aveva valutato l’entità dell’opera effettivamente prestata, avuto riguardo alla definizione anticipata del giudizio (le operazioni peritali erano state sospese prima del deposito della C.T.U. e la controversia era stata transatta), così pervenendo ad una liquidazione corrispondente al giusto compenso per l’attività resa.

E’ pertanto palese come il provvedimento impugnato non sia affatto basato sulla derogabilità dei minimi tariffar, bensì sulla ritenuta determinazione del giusto compenso in relazione all’opera professionale in concreto svolta.

Ne consegue l’inammissibilità del motivo, sotto il profilo della violazione di legge, essendo l’inconferenza del quesito alla carenza dello stesso (così la pronuncia, resa a sezioni unite, 14385/07, ed a sezione semplice, 22640/07).

Quanto al dedotto vizio di motivazione, va rilevato che il ricorrente ha omesso di indicare il momento di sintesi, necessario ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., in relazione al vizio di motivazione.

Come affermato infatti nella pronuncia 1747/2011, questa Corte regolatrice – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis c.p.c. – è fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, allorchè, cioè, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione: ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

Al riguardo, ancora, è incontroverso che non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata. Conclusivamente, non può dubitarsi che i allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (in termini, ad esempio, Cass. 7 aprile 2008, n. 8897, nonchè cfr. Cass. 10 aprile 2010, n. 8555; Cass. 10 marzo 2010, n. 5794).

3.1.- Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 3000,00, di cui Euro 200,00 per spese; oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2012

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