T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., 05-01-2012, n. 128 Carriera inquadramento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso in esame, la ricorrente – dipendente della ASL Roma A), provenente dall’ex INAM, dove alla data del 20 dicembre 1979 risultava in servizio di ruolo con la qualifica di Collaboratore Coordinatore da oltre cinque anni e con l’incarico di Capo Settore Territoriale di Monterotondo – impugna i seguenti atti;

-delibera della ASL RM/A n. 1389 del 30 maggio 1996;

-nota n. 4636 del 13 marzo 1996;

-contratto di ottemperanza della sentenza del Consiglio di Stato sez. IV, n. 274/92, sottoscritto il 4 luglio 1995;

-D.P.C.M. 18 maggio 1995;

-nota Regione Lazio n. 6351 datata 8 agosto 1995;

-nota settore contenzioso legale della ASL Roma A) n. 540 del 28 maggio 1996.

L’interessata sostiene che illegittimamente l’intimata amministrazione sanitaria – in pretesa esecuzione del contratto sottoscritto il 4 luglio 1995 dall’ARAN e dalle OO.SS. in sede di ottemperanza al giudicato di annullamento dell’art. 117 D.P.R. n. 270 del 1987 – ha disposto, in uno con il recupero delle maggiori somme corrisposte dal "12 luglio 1987 ad oggi", l’annullamento dell’inquadramento nel decimo livello – posizione funzionale "direttore amministrativo" -; livello nel quale ella era stata collocata con determinazione della USL n. 1688 del 17 dicembre 1987 in applicazione delle regole fissate dall’art. 117 del D.P.R. n. 270 del 1987 nella sua originaria formulazione (prima, cioè, che questo fosse annullato dal giudice amministrativo con sentenza C.d.S. sez. IV, 12 marzo 1992, n. 274). Detto articolato prevedeva, infatti, nel suo testo originario, che, ai fini dell’inquadramento del personale transitato nel S.S.N. da altri Enti (come nel caso della ricorrente proveniente dall’INAM), il dipendente avesse soltanto una anzianità nella qualifica da almeno 5 anni: anzianità che la ricorrente dichiara di possedere, in quanto inquadrata presso l’Ente di provenienza con la qualifica di Collaboratore Coordinatore, unitamente all”altro requisito costituito dall’incarico di Capo Sezione Territoriale.

L’interessata censura anche il contratto di ottemperanza sottoscritto il 4 luglio 1995 sostenendo che, allorquando si procedé alla stipula del contratto in applicazione della suddetta sentenza, le parti intesero modificare radicalmente il requisito della anzianità quinquennale indicata nella lettera b) dell’art. 117 riferendolo all’incarico e non più alla qualifica rivestita.

Questi i motivi di ricorso:

1)violazione della L. n. 70 del 1975, del D.P.R. n. 761 del 1979, della L. n. 241 del 1990, del giudicato derivante dalla decisione della IV Sezione del Consiglio di Stato n. 274/1992 e delle decisioni del Tar Lazio, sez. I bis dalla stessa confermate, della sentenza Tar Lazio, sez. I bis, n. 1032/1994 e dei principi generali in materia di annullamento di atti amministrativi e di ripetizione dell’indebito nonché eccesso di potere sotto vari profili, difetto di motivazione e disparità di trattamento:

1.1)l’accordo stipulato in data 4 luglio 1995 ha stabilito,per la parte di interesse, criteri che esulano e differiscono rispetto alle statuizioni del giudicato di cui alla decisone del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 274 del 12 marzo 1992;

1.2)detto accordo, pur dichiarando di volersi attenere ai limiti del giudicato, ha introdotto elementi limitativi assolutamente non giustificati, che hanno portato all’esclusione della ricorrente dal beneficio dell’inquadramento nel X livello; segnatamente, esso ha previsto, in difformità dell’originario art. 117, lett. b, che l’anzianità quinquennale non fosse più riferita alla qualifica di Collaboratore Coordinatore, bensì, agli incarichi particolari previsti dalla stessa norma: in tal modo, è stata attuata non già l’ottemperanza del giudicato ma un formulazione completamente autonoma e diversa, contrastante con quella originaria;

1.3)l’anzianità quinquennale nel particolare incarico ricoperto, richiesta dalla nuova formulazione della norma, non trova riscontro in alcun dato normativo ed è, pertanto, il frutto dell’arbitraria ed ingiustificata volontà delle parti contraenti di limitare, a posteriori, l’ambito di applicabilità del beneficio in danno, addirittura, degli originari destinatari tra i quali la ricorrente;

1.4)modificando a posteriori la disposizione dell’art. 117, lett. b) del citato decreto, ricollegando l’anzianità quinquennale al particolare incarico, significa stravolgerla, violando le situazioni consolidate ed il principio dell’affidamento senza alcuna motivazione;

1.5)la nuova limitazione è immotivata mentre era necessaria una congrua e specifica motivazione sulle ragioni che imponevano una cos’ì radicale modifica a distanza di otto anni dalla applicazione ella norma;

1.6)mentre per il conferimento del X livello la lett. b) richiede una anzianità di 5 anni nell’incarico, per il conferimento del IX e XI livello le lett. a) e c) non richiedono alcuna anzianità bensì unicamente lo svolgimento delle funzioni alla data del 20/12/1979;

1.7)illegittimamente l’accordo, in violazione dei criteri di cui alla decisione n. 284/1994, ha fatto discendere la previsione dell’anzianità di 5 anni, richiesta alla data del 20 dicembre 1979, negli incarichi anziché dal servizio svolto come Collaboratore Coordinatore;

1.8)la ASL doveva limitarsi ad effettuare mere proposte alla Regione Lazio, alla quale spettava adottare gli atti deliberativi in ordine all’applicazione del nuovo criterio di inquadramento di cui all’art. 117, lett. b): invece, il direttore generale della ASL ha esso stesso adottato il provvedimento annullando l’inquadramento della ricorrente;

1.9)l’annullamento o revoca degli atti amministrativi richiede anche concrete ragioni di pubblico interesse, diverse dal mero ripristino della legalità, che devono essere adeguatamente esternate, ancor più se l’autotutela viene esercitata a notevole distanza di tempo riformando in pieus il trattamento economico;

1.9)la ricorrente ha percepito in buona fede gli emolumenti corrispostile, corrispondenti alle funzioni del X livello;

1.10)alla ricorrente non è stata data comunicazione di avvio del procedimento inteso ad annullare al Delib. n. 1688 del 1987;

1.11)l’amministrazione sanitaria ha operato in spregio al principio di non disparità di trattamento.

Si sono costituiti in giudizio la Azienda USL RM/A, la Regione Lazio e la Presidenza del Consiglio dei Ministri (le ultime due per mezzo dell’Avvocatura di Stato).

Con ordinanza n. 2578/1996 il Tar Lazio, sez. I, ha accolto la domanda di sospensione dei provvedimenti e atti impugnati.

Con ordinanza n. 309/1997, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello proposto dalla presidenza del Consiglio dei Ministri.

Con memoria depositata il 15 aprile 2011, la ricorrente insiste per l’accoglimento del gravame.

All’udienza del 2 novembre 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso è fondato.

Nell’impugnare gli atti in epigrafe, la ricorrente sostiene che illegittimamente l’intimata amministrazione sanitaria – in pretesa esecuzione del contratto sottoscritto il 4 luglio 1995 dall’ARAN e dalle OO.SS. in sede di ottemperanza al giudicato di annullamento dell’art. 117 D.P.R. n. 270 del 1987 – ha rinnovato, con delibera n. 1389 del 30 maggio 1996, l’annullamento del proprio inquadramento nel decimo livello – posizione funzionale "direttore amministrativo" -; livello nel quale l’interessata era stata collocata con determinazione della USL n. 1688 del 17 dicembre 1987, in applicazione delle regole fissate dall’art. 117 del D.P.R. n. 270 del 1987 nella sua originaria formulazione (prima, cioè, che questo fosse annullato dal giudice amministrativo con sentenza C.d.S. sez. IV, 12 marzo 1992, n. 274).

Va premesso, che la Delib. n. 1688 del 1987 era stata già annullata in precedenza dal direttore generale della ASL con Det. n. 481 del 7 marzo 1996.

Sennonché, a seguito di ricorso giurisdizionale della ricorrente avverso la suddetta Delib. n. 481 del 1996, l’amministrazione sanitaria si è rideterminata ex novo sulla questione reiterando – previa modifica dell’intero impianto motivazionale che supportava il precedente atto – il medesimo annullamento con il Provv. n. 1389 del 1996.

Nel fare ciò, la ASL ha riconsiderato la posizione lavorativa della ricorrente, riesaminato il suo inquadramento ed esplicitato, infine, le ragioni pubblico interesse sottese all’esercizio del potere di autotutela.

Contestualmente, essa ha anche deciso di non procedere al recupero delle somme corrisposte alla dipendente, dando mandato per la denuncia dei fatti al Procuratore Generale della Corte dei Conti.

Appare evidente come il contenuto della deliberazione n. 1389/1996 non sia meramente confermativo della precedente Det. n. 488 del 1996, costituendo piuttosto lo sbocco di un rinnovato procedimento amministrativo in cui sono stati riesaminati, da parte dell’amministrazione procedente, tutti i presupposti di fatto e di diritto inerenti la posizione professionale della ricorrente mediante verifica ed accertamento dei requisiti soggettivi richiesti dalla disciplina di settore e ritenuti utili per il corretto inquadramento. Atto di conferma, dunque, e non meramente confermativo, che la ricorrente ha opportunamente e tempestivamente impugnato per non incorrere in decadenze.

Premesso quanto sopra, e venendo al caso di specie, il Collegio osserva che la ricorrente venne inquadrata, nel 1987, secondo quanto allora stabilito dall’art 117 del D.P.R. n. 270 del 1987, nel decimo profilo professionale, ai sensi della lettera b) di tale articolo che così recitava: "dalla data di entrata in vigore del presente decreto le sottoindicate figure professionali, tali in posizione di ruolo e con l’incarico formalmente attribuito delle funzioni a fianco di ciascuna figura indicate alla data del 20 dicembre 1979, vengono così inquadrate: b) collaboratori coordinatori titolari di ufficio della sede provinciale o con la titolarità di una sezione territoriale dell’Istituto nazionale delle assicurazioni di malattia, ovvero, titolari o reggenti di una sede o cassa mutua provinciale – 10 livello".

Il Consiglio di Stato con sentenza n. 274 del 1992 annullò il decreto, ritenendolo illegittimo, in quanto in maniera irrazionale si riferiva solo ad alcune categorie (i titolari e reggenti degli uffici provinciali).

Dall’annullamento in sede giurisdizionale, secondo quanto affermato dal Tar Lazio, nella sentenza n. 1032 del 1994, resa in sede di ottemperanza, non poteva che sorgere – trattandosi di annullamento di un regolamento che dava efficacia alla contrattazione collettiva – l’obbligo della esecuzione del giudicato in capo alle parti sociali, per una nuova contrattazione.

Ed invero, le decisioni del giudice amministrativo che annullano disposizioni regolamentari, non possono avere altro effetto che quello di rimuovere la disposizione riconosciuta viziata, restituendo al governo ed alle parti sociali, nel caso di atto di recepimento di accordo di lavoro, il potere già invalidamente esercitato.

Sia la sentenza n. 274 del 1992 sia la successiva sentenza resa in sede di ottemperanza dal Tar Lazio n. 1032 del 1994 annullarono i criteri previsti dalla lettera b) del D.P.R. n. 270 del 1987, affidando quindi la successiva attività amministrativa all’ulteriore riesercizio del potere che, in questo caso, trattandosi di decreto di attuazione della contrattazione collettiva, doveva passare per una successiva attività di contrattazione.

Il nuovo contratto venne sottoscritto il 4 luglio 1995.

Con esso, espressamente soprannominato "in ottemperanza" alle decisioni del Consiglio di Stato e del Tar Lazio, fu riformulata la norma della lettera b) dell’art 117 estendendosi l’inquadramento al decimo livello anche ai dirigenti di uffici centrali degli ex enti disciolti, confermandosi, però, la circostanza per cui l’anzianità di cinque anni dovesse essere nella titolarità dell’ufficio; furono disciplinati, altresì, gli effetti del nuovo inquadramento dal luglio 1995, salvo per coloro che avevano proposto ricorso avverso tale decreto.

Nella premessa del contratto venne fatto espresso riferimento non solo agli effetti della sentenza e alla necessità di adeguarsi al giudicato, ma anche agli effetti sui rapporti in corso: "Considerato che il Consiglio di Stato con la citata sentenza, nel riconoscere la fondatezza dell’impugnativa, ha affermato che l’annullamento delle lettere a), b) e c) dell’art. 117 – valido erga omnes – non persegue come risultato ultimo la restituzione dei beneficiari allo statu quo ma, essendo la norma di provenienza pattizia, determina la riapertura del negoziato sulle clausole controverse e le ulteriori decisioni cui le parti potranno pervenire, possono "consistere, eventualmente, nel ripristinare in tutto o in parte la concessione dei benefici", nel rispetto: a) delle compatibilità finanziarie; b) della coerenza logica del contratto; c) dell’attualità delle mansioni; d) dell’equilibrio di rapporti con le altre categorie, evitando la disparità di trattamento giuridica irrazionale ed illegittima".

La premessa del contratto diede atto, altresì, che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione I-bis, del 28 giugno 1994, n. 1032, con la quale il giudice amministrativo, nel confermare l’obbligo di ottemperanza alla decisione n. 274/1992 del Consiglio di Stato, aveva richiamato il dovere di procedere alla rivalutazione della norma caducata attraverso una riapertura del negoziato, il cui risultato finale fu rimesso alla discrezionalità dei soggetti contraenti con il solo vincolo, nascente dal giudicato, dell’eliminazione della irrazionalità della norma, individuata nella circostanza che essa, prendendo in esame le sole funzioni periferiche, aveva preteso di incidere, a distanza di quasi un decennio, su di un assetto posto in sede di prima organizzazione dei nuovi servizi sanitari, quando ormai il personale del ruolo unico dirigenziale era addetto a funzioni unitarie ed aveva pari qualifica e dignità professionale per effetto degli inquadramenti disposti dal D.P.R. n. 761 del 1979, tabella allegato 2.

In tale contesto, la delibera della ASL che annulla, a distanza di più di otto anni, il precedente inquadramento, disposto in base ad una interpretazione estensiva di una normativa allora vigente, in mancanza di qualsiasi motivazione, deve ritenersi illegittima.

Infatti, per quanto fosse intervenuto l’annullamento in via giurisdizionale della norma regolamentare, peraltro nel 1992, il provvedimento di revoca dell’inquadramento è pur sempre un provvedimento di autotutela che resta soggetto ai principi generali elaborati dalla giurisprudenza per la legittimità dell’esercizio del potere di autotutela.

Presupposti dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio con effetti ex tunc sono l’illegittimità originaria del provvedimento, l’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione diverso dal mero ripristino della legalità, l’assenza di posizioni consolidate in capo ai destinatari (Consiglio Stato, sez. IV, 27 novembre 2010 , n. 8291).

Inoltre, si deve tener conto, altresì, che il provvedimento è stato adottato nel 1996, quindi, successivamente alla stipula del nuovo accordo che ha previsto, comunque, tale inquadramento al decimo livello per collaboratori coordinatori titolari di ufficio (aggiungendovi i direttivi e dirigenti operanti nelle sedi centrali degli enti disciolti), così come si deve ritenere per la ricorrente, solo che tale inquadramento le era stato concesso in forza di una interpretazione estensiva della ASL già sotto la vigenza del vecchio testo dell’art 117 che lo limitava ai dirigenti delle sedi territoriali.

Quindi, se astrattamente la decorrenza dell’inquadramento avrebbe dovuto essere posticipata al 1995, come previsto dal nuovo contratto, peraltro la ricorrente aveva svolto le funzioni di decimo livello dal 1987 al 1996, in forza di una interpretazione estensiva data allora nel 1987 dalla ASL , ma ritenuta sostanzialmente legittima dal Consiglio di Stato, anche se rimandando alla contrattazione collettiva.

La posizione specifica dell’interessata, che aveva avuto il più favorevole inquadramento previsto dalla norma, non poteva non essere oggetto di specifica valutazione da parte dell’Amministrazione , tenendo conto, inoltre, che comunque per il passato ella avrebbe avuto diritto alle maggiori somme percepite avendo esercitato le relative mansioni.

A sostegno di tale interpretazione resta anche il fatto che l’accordo prevede espressamente la decorrenza giuridica al 12 luglio 1987, con il che esprime un principio generale che se non può tornare a vantaggio di chi non abbia proposto ricorso ( per i quali era prevista la decorrenza al 4 luglio 1995) neppure può danneggiare chi non lo ha proposto, non avendovi interesse, avendo già ottenuto (come la ricorrente) l’inquadramento al decimo livello, per una interpretazione estensiva da parte della propria amministrazione, seppure errata.

Se la giurisprudenza in materia di inquadramento ritiene che, in caso di annullamento d’ufficio di un illegittimo provvedimento di inquadramento, il quale abbia determinato ingiustificati oneri per l’Erario, non occorre una specifica motivazione sull’interesse pubblico all’intervento in autotutela, in quanto tale interesse è in re ipsa, ed è quello a risparmiare e ad evitare spese non giustificate in base alla normativa, il che significa che per procedere all’annullamento d’ufficio di un inquadramento illegittimo è sufficiente l’esigenza di ripristinare la legalità (Consiglio Stato , sez. VI, 16 marzo 2009 , n. 1550), tali affermazioni non si attagliano al caso di specie in cui gli emolumenti erogati in relazione alle funzioni corrispondenti al livello di inquadramento, oltre al fatto di essere stati percepiti in perfetta buona fede, sono da considerare quali controprestazioni delle mansioni effettivamente svolte legittimamente; tali emolumenti, pertanto, sarebbero spettati comunque fino all’annullamento dell’inquadramento (Consiglio Stato , sez. V, 13 novembre 2002 , n. 6283).

Se quindi, in generale, si afferma che l’interesse pubblico all’annullamento d’ufficio dell’illegittimo inquadramento di un pubblico dipendente è in re ipsa e non richiede specifica motivazione, in quanto l’atto oggetto di autotutela produce un danno per l’Amministrazione consistente nell’esborso di denaro pubblico senza titolo, con vantaggio ingiustificato per il dipendente, né in tali casi rileva il tempo trascorso dalla emanazione del provvedimento di recupero dell’indebito (Consiglio Stato , sez. V, 22 marzo 2010 , n. 1672), nel caso specifico la illegittimità era derivante da una norma annullata successivamente dal giudice amministrativo, ma oggetto di un ulteriore contrattazione sindacale.

Il provvedimento avrebbe necessitato, dunque, una specifica valutazione dell’interesse pubblico attuale e concreto all’annullamento dell’atto, tenendo conto in particolare che la ricorrente aveva già esercitato le funzioni del decimo livello per quasi sette anni (dal 1987 al 1996); che poteva avere comunque in forza della norma vigente diritto all’inquadramento e che la contrattazione del 1995 non comportava in maniera automatica l’annullamento dei precedenti inquadramenti (cfr CDS Sez. IV, sent. n. 5206 del 07-09-2006, per cui con il nuovo testo dell’art. 117 del D.P.R. n. 270 del 1987 si è stabilita la conferma dei criteri di cui alle lettere a), b) e c) dell’art. 117 medesimo, salvo alcune integrazioni, nonché la conferma dei provvedimenti di inquadramento emanati sulla base del precedente testo di accordo ovvero, ancora, la riadozione dei provvedimenti d’inquadramento che nel frattempo fossero stati, a far data dal 12 luglio 1987, revocati).

Il ricorso è, quindi, fondato nei sensi di cui sopra e deve essere accolto con annullamento della delibera n. 1387 del 230 maggio 1996.

In considerazione della peculiarità delle questioni, sussistono giusti ed eccezionali motivi per la compensazione delle spese di lite tra le parti costituite.

Nulla si dispone, invece, nei confronti della controinteressata CGIL siccome non costituitasi..

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto annulla la delibera del Direttore generale della ASL, Roma A), n. 1389 del 30 maggio 1996.

Spese compensate tra le parti costituite.

Nulla spese nei confronti della controinteressata.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 novembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Giancarlo Luttazi, Presidente FF

Franco Angelo Maria De Bernardi, Consigliere

Giuseppe Rotondo, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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