Cass. civ. Sez. I, Sent., 20-06-2012, n. 10179 Fideiussione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Con ricorso in data 9.12.1999 la s.p.a. Intesa Gestione Crediti richiese ed ottenne decreto ingiuntivo nei confronti della s.r.l.

Scarperia, in persona del legale rappresentante pro tempore, e dei fideiussori N.B., V.Q., P.F., T.A. e M.C. per complessive L. 149.920.280 per un credito maturato nei confronti della società in questione e portato da rapporto di conto corrente ordinario, da rapporto di conto corrente per anticipi su fatture e da rapporto di conto corrente per anticipazione di danaro.

Avverso detto decreto proposero opposizione i soli fideiussori T.A. e M.C., sostenendo l’insussistenza del credito vantato nei confronti degli stessi, avendo loro lasciato la s.r.l. Scarperia nel dicembre 1995, con cessione delle loro quote sociali a B.F. e P.F., e dopo che la stessa società aveva chiuso l’esercizio del 1994 in attivo, provvedendo ad estinguere, in vista di detta operazione, il conto corrente acceso presso la Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, con recesso dalle fideiussioni prestate, e stessa cosa era avvenuta per le fideiussioni prestate presso il Banco Ambrosiano Veneto. In definitiva gli stessi erano receduti dalla garanzie fideiussorie prestate ma, per ragioni attinenti alla solvibilità dei nuovi soci, l’istituto di credito aveva ritenuto di far rivivere le garanzie a suo tempo prestate e formalmente estinte, e come si chiedeva di provare con testi.

Chiesero, pertanto, la revoca del decreto ingiuntivo emesso.

Costituendosi in giudizio, la s.p.a. Intesa Gestione Crediti chiese il rigetto della domanda, trattandosi di prova testimoniale inammissibile perchè in contrasto con il disposto dell’art. 2722 c.c..

Con sentenza depositata il 12.9.2003 il Tribunale di Venezia rigettò l’opposizione proposta da T.A. e M.C. perchè il recesso dalla garanzia prestata a favore del Banco Ambrosiano Veneto S.p.a. non poteva essere dimostrato con la prova testimoniale, in quanto in contrasto con l’art. 2722 c.c., trattandosi di accordo tra le parti, posteriore alla conclusione dei contratti 4.5.1994 ed inteso a modificare le modalità di revoca dell’impegno fideiussorio, mentre il recesso doveva essere effettuato unicamente per iscritto, mediante raccomandata diretta alla filiale.

Avverso detta sentenza, proposero appello T.A. e M.C. sulla base di un solo motivo, volto a ritenere possibile la prova testimoniale dedotta e la Corte di appello, con sentenza del 14.4.2008, confermò la sentenza di primo grado.

Secondo la corte territoriale era fondata la doglianza degli appellanti quanto alla non operatività dell’art. 2722 c.c. perchè diversa dal contratto di fideiussione è la revoca della fideiussione, che è un atto unilaterale e per il quale non vale il divieto di cui all’art. 2722 c.c. Di qui la possibilità di provare per testi la intervenuta revoca della fideiussione possibilità però vanificata in concreto dalla irrilevanza dei capi 1 e 2 e come dedotti dalla parte (mentre erano irrilevanti i capi 3, 4, 5 e 6 ai fini del decidere), provando gli stessi, se ammessi, solo che i coniugi T. si erano recati in banca, mentre non era affatto dedotto se avessero proceduto o meno alla revoca della fideiussione.

2.- Contro la sentenza di appello i fideiussori opponenti hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, formulando altrettanti quesiti pertinenti ex art. 366 bis c.p.c..

Resiste con controricorso la banca intimata, la quale chiede, altresì, la correzione in diritto ex art. 384 c.p.c., della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto ammissibile la prova per testi della revoca della fideiussione.

I ricorrenti hanno notificato controricorso per eccepire l’inammissibilità di tale ultima richiesta perchè non formulata con ricorso incidentale.

Nei termini di cui all’art. 378 c.p.c. le parti hanno depositato memorie.

3.- Con i motivi di ricorso (come sintetizzati a pagg. 26-27) i ricorrenti denunciano:

1) ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione degli artt. 184, 244, 245 e 253 c.p.c. e degli artt. 1362, 1363 e 1369 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 5, per insufficiente ed illogica motivazione su un fatto decisivo in relazione alla mancata assunzione di prova testimoniale decisiva (capp. 1, 2) in quanto il Giudice di secondo grado ha attribuito al capitolato di prova dedotto dai sig.ri T.- M. un significato incompatibile con il senso proprio delle espressioni usate, quale che emerge dall’interpretazione letterale, avuto riguardo al contenuto delle deduzioni e delle allegazioni contenute negli atti di causa e delle finalità perseguite con la deduzione istruttoria, tenuto conto anche della facoltà del giudice di chiedere precisazioni ed integrazioni ai testi, così violando i canoni ermeneutici che presiedono alla ricostruzione del significato degli atti di parte nonchè i principi che presiedono all’ammissione delle prove, sotto il profilo del giudizio di rilevanza;

2) ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione dell’art. 115 c.p.c. e degli artt. 2727 e 2729 c.c. ex art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa motivazione su un fatto decisivo in relazione alla mancata disamina delle prove documentali acquisite (docc. 4, 5, 7, 8, 9) ed alla mancata assunzione di prove testimoniali decisive (capp. 3, 4, 5, 6) in quanto il Giudice di secondo grado ha omesso di spiegare perchè la prova di fatti che determinavano il venir meno di ogni coinvolgimento dei sig.ri T.- M. nella società La Scarperia s.r.l. e di ogni interesse economico nella sua attività nonchè la contestuale estinzione di ogni rapporto di garanzia anche presso altri istituti non costituivano presunzioni precise, serie e concordanti dell’intervenuta revoca anche delle garanzie personali concesse a favore della Intesa Gestione Crediti spa;

3) ex art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa motivazione su un fatto decisivo in relazione alla mancata ammissione dell’ordine di esibizione in quanto il Giudice di secondo grado ha omesso di spiegare perchè l’acquisizione mediante esibizione della documentazione comprovante la revoca delle fideiussioni operata dai sig.ri T. e M. nonchè degli estratti conto relativi al periodo 1994/1995 non fosse ammissibile e/o rilevante, consentendo la prima di provare per tabulas l’inesistenza nell’an (mediante la prova del fatto estintivo della revoca) e gli altri l’inesistenza (o in subordine il minore importo) nel quantum del credito ingiunto (perchè formatosi successivamente all’estinzione per revoca del rapporto fideiussorio).

4.- I ricorrenti hanno chiesto l’escussione dei testi sulle circostanze di prova che di seguito si trascrivono: "1. vero che, verso la metà del mese di dicembre il Sig. T.A. e la Sig.ra V.A. si recavano presso il Banco Ambrosiano Veneto, filiale di (OMISSIS), l’uno per recedere dalla fideiussione prestata in data 4.5.94, l’altra recedere dal contratto di pegno sottoscritto in data 4.5.94;

2. vero che, il giorno seguente si recavano presso la medesima banca i Sig.ri M.C. e T.L., l’una per recedere dalla fideiussione prestata il 4.5.94 e l’altro dal pegno sottoscritto in pari data".

5.- L’eccezione formulata dai ricorrenti, i quali sostengono che la banca resistente avrebbe dovuto proporre ricorso incidentale, è infondata perchè la controricorrente si è limitata a sollecitare l’esercizio, da parte della Corte, del potere ufficioso di correggere la motivazione in diritto della sentenza impugnata, corretta quanto al dispositivo.

Invero, "affinchè la Corte di Cassazione possa procedere alla correzione della motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2, è necessario che il dispositivo sia conforme a diritto, che la sostituzione della motivazione sia solo in diritto e non comporti indagini o valutazioni di fatto, e, infine, che la sostituzione della motivazione non importi violazione del principio dispositivo, ossia non pronunci su eccezioni non sollevate dalle parti e non rilevabili d’ufficio" (v., per tutte, Sez. 3, Sentenza n. 5954 del 18/03/2005; Sez. 6-3, Ordinanza n. 10841 del 17/05/2011).

L’opposizione al decreto ingiuntivo proposta dai ricorrenti è stata correttamente rigettata dal tribunale per essere mancata la prova della revoca della fideiussione.

La Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado e il dispositivo emesso in sede di gravame è conforme a diritto. Occorre, nondimeno, correggerne le motivazioni giuridiche.

La prova per testi – e, conseguentemente, quella per presunzioni (secondo motivo) – correttamente non è stata ammessa benchè le ragioni ostative risiedessero non tanto nella irrilevanza delle circostanze dedotte (questione da esaminarsi dopo il vaglio di ammissibilità del mezzo istruttorio) bensì nella inammissibilità della prova orale.

Il tribunale ha rigettato l’opposizione proposta da T.A. e M.C. perchè – come risulta dalla stessa sentenza della corte territoriale e dal ricorso – il recesso dalla garanzia prestata a favore del Banco Ambrosiano Veneto S.p.a. non poteva essere dimostrato con la prova testimoniale, in quanto in contrasto con l’art. 2722 c.c., trattandosi di accordo tra le parti, posteriore alla conclusione dei contratti 4.5.1994 ed inteso a modificare le modalità di revoca dell’impegno fideiussorio, mentre il recesso doveva essere effettuato unicamente per iscritto, mediante raccomandata diretta alla filiale.

Gli stessi ricorrenti hanno trascritto nel ricorso (pag. 7), la clausola (n. 5) del contratto di fideiussione secondo la quale "il fideiussore può recedere dalla garanzia dandone comunicazione al Banco esclusivamente con lettera raccomandata diretta alla filiale …". Ciò posto, va ricordato l’insegnamento per il quale "il principio stabilito dall’art. 1352 cod. civ., secondo cui la forma convenuta dalle partì per la futura conclusione di un contratto si presume voluta per la validità di esso ("ad substantiam"), è estensibile agli atti unilaterali, in virtù del richiamo operato dall’art. 1324 cod. civ. ed agli atti che seguono alla conclusione di un contratto ed è pertanto applicabile anche al recesso dal contratto di fidejussione" (Sez. 1, Sentenza n. 9719 del 20/08/1992).

E’ evidente che il tribunale aveva correttamente accolto l’eccezione formulata dalla banca la quale aveva dedotto che le parti stesse avevano pattuito la forma scritta e le modalità di comunicazione della revoca. Sì che solo la prova (scritta – o orale ma alle condizioni previste dall’art. 2723 c.c.) della modifica di tali forme convenzionalmente pattuite avrebbe consentito la prova orale (ovvero l’ammissibilità della prova per presunzioni: v. secondo motivo) della revoca della fideiussione. Modifica che neppure risulta dedotta. Quanto al terzo motivo, la richiesta di esibizione come trascritta in ricorso (pag. 20-21, ove si fa riferimento soltanto al pegno) è priva di decisività essendo stata formulata senza specifica indicazione della effettiva esistenza del documento contenente la revoca della fideiussione.

Invero, l’esibizione di documenti non può essere chiesta, ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ., a fini meramente esplorativi, allorquando neppure la parte istante deduca elementi sulla effettiva esistenza del documento e sul suo contenuto per verificarne la rilevanza in giudizio (v., per tutte, Cass., Sentenza n. 26943 del 20/12/2007).

Nel resto le censure sono inammissibili perchè versate in fatto.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità – nella misura determinata in dispositivo – vanno poste a carico solidale dei ricorrenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità determinate in Euro 4,200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2012

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