Cass. civ. Sez. I, Sent., 20-06-2012, n. 10178 Ingiunzione fiscale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ingiunzione notificata il 9 maggio 1996 ai sensi del R.D. n. 639 del 1910, il Ministero dell’Industria intimò alla società Dukron Italiana la restituzione della somma di lire 477.221.000 avendo l’Amministrazione revocato il contributo in conto capitale – concesso da Agensud, ai sensi del D.P.R. n. 218 del 1978, art. 69 e D.P.R. n. 1523 del 1967, art. 102, per l’ampliamento di uno stabilimento industriale – sul rilievo della mancata documentazione delle spese sostenute per l’opera finanziata. La società propose opposizione innanzi al Tribunale di Roma, formulando anche domanda riconvenzionale per il risarcimento del danno e, costituitosi il Ministero, il Tribunale con sentenza 4 settembre 1998 respinse l’opposizione.

2. La pronunzia fu quindi impugnata dalla soc. Dukron Italiana, che insisteva nella richiesta di revoca dell’opposta ingiunzione e in quella di condanna al risarcimento dei danni. La Corte d’Appello di Roma, con sentenza 2 ottobre 2000, in parziale accoglimento dell’appello revocò l’ingiunzione ma rigettò la riconvenzionale della soc. Dukron Italiana. La domanda risarcitoria – che la società aveva indicato nella differenza tra contributo erogato e acconto ricevuto – andava respinta in quanto concernente questione che esulava dal tema sottoposto, potendosi chiedere nel giudizio in corso soltanto il ristoro del danno derivante dall’illegittima revoca.

3. Con la sentenza 16 aprile 2004 n. 7241, la Corte suprema di Cassazione cassò questa sentenza, accogliendo il ricorso della società. La corte premise che correttamente il giudice d’appello aveva conosciuto non già dell’atto di revoca in sè, bensì del rapporto nascente dalla revoca in discorso, e costituito dalla pretesa dell’Amministrazione – scaturita dalla cancellazione dell’atto di concessione – di ripetere, come indebito, quanto a suo tempo erogato; pretesa alla quale era contrapposto il diritto soggettivo del beneficiario, tanto all’erogazione del contributo deliberato quanto al mantenimento di quello fatto segno a revoca. In tal modo era sottoposta alla cognizione piena del Giudice ordinario la sola sussistenza del preteso, e negato, inadempimento alle condizioni di attribuzione poste dal concedente. La prescrizione (in tesi inadempiuta) afferiva all’inoltro della documentazione di spesa nei ventiquattro mesi dalla concessione e tale prescrizione era stata adempiuta. Quanto alla riconvenzionale, l’opponente all’ingiunzione fiscale ben poteva introdurre proprie domande anche se dipendenti da un titolo diverso da quello posto a fondamento della domanda principale, sempre che sussista un collegamento obiettivo delle pretese che, secondo la discrezionale valutazione del giudice, consigli il simultaneus processus. Per l’esame di tale domanda, nel merito, la corte rinviò la causa al giudice a quo.

4. Riassunto il giudizio, la Corte d’appello di Roma con sentenza 25 gennaio 2007 n. 380, ha condannato il ministero al pagamento di Euro 105.626,96, pari alla differenza tra l’importo del finanziamento dovuto in conto capitale e quello effettivamente erogato, disconoscendo quello dovuto in conto interessi, perchè e-straneo alla domanda iniziale. La corte ha qualificato la domanda accolta come domanda di esatto adempimento, e quindi come debito di valuta, e, non essendo stata dimostrata l’esistenza di un maggior danno ex art. 1224 c.c., ha condannato il ministero al pagamento aggiuntivo dei soli interessi legali sul capitale, con decorrenza dalla domanda, in mancanza di precedenti atti di costituzione in mora. La corte ha posto le spese dei diversi gradi del giudizio a carico dell’amministrazione, e li ha liquidati.

5. Per la cassazione di questa sentenza, non notificata, ricorre la società con atto notificato in data 29 maggio 2007, affidato a quattro motivi.

L’amministrazione resiste con controricorso spedito il 21 marzo 2011.

Motivi della decisione

6. Con il primo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 183 e 189 c.p.c.. Il giudice di merito avrebbe dato una lettura distorta e parziale della domanda proposta dalla società nell’atto di opposizione all’ingiunzione fiscale, escludendo il contributo per quota interessi. La società aveva formulato la richiesta dell’integrale contributo deliberato, con espressa menzione della causa petendi, mentre il riferimento alla sola quota capitale non potrebbe essere interpretato come domanda volutamente parziale, e l’entità della richiesta era stata precisata nelle conclusioni formulate nell’apposita udienza di primo grado. Richiamando la giurisprudenza di legittimità in tema di variazioni quantitative del petitum si formula il que-sito, se costituisca domanda nuova la specificazione in sede di precisazione delle conclusioni unicamente del quantum sulla base di una causa petendi correttamente enunciata nell’atto introduttivo del giudizio.

7. Il motivo è inammissibile. Nell’atto di opposizione all’ingiunzione fiscale la società aveva riferito che era stato concesso un contributo in conto capitale pari alla somma di L. 568.120.000 oltre ad una maggiorazione per settore di ulteriori L. 113.614.000, e così un importo totale di L. 681.744.000. Nessun cenno a un ulteriore contributo in conto interessi, per una somma oggi corrispondente a L. 175.585,35, si rinviene in quell’atto, nè il ricorso riproduce testualmente le conclusioni precisate in primo grado, le quali – si assume – avrebbero apportato una precisazione quantitativa. Ora, nonostante la lacuna, che viola il principio dell’autosufficienza del ricorso, è agevole rilevare che nella specie non si trattava di precisare nel quantum un credito in precedenza indicato solo nel titolo, bensì di allegare un titolo distinto e ulteriore di finanziamento, e dunque una circostanza di fatto nuova, a fondamento di una domanda ulteriore. Il rilievo è tanto più consistente, avendo il giudice del rinvio precisato che questo nuovo finanziamento sarebbe stato concedibile – secondo il provvedimento prodotto in atti – in sede di rimborso rateale del contributo: il che introduce, sulla fondatezza della domanda, un tema d’indagine del tutto nuovo, sul quale sarebbe mancato il contraddittorio. Il quesito è inammissibile perchè muove da presupposti di fatto non corrispondenti puntualmente alla fattispecie di causa.

8. Con il secondo motivo si denuncia cumulativamente il vizio di motivazione su un atto decisivo e la violazione e falsa applicazione degli artt. 1219 e 1703-1704 c.c. Si censura l’affermazione che non vi sarebbe stata messa in mora anteriore alla domanda giudiziale. Si deduce che la messa in mora sarebbe contenuta nella lettera di EFIBANCA – ente istruttore per conto della Casmez ma al tempo stesso istituto creditizio al quale la Dukron si era rivolta per la richiesta del finanziamento, e agente anche su suo mandato – spedita alla Casmez in data 1 aprile 1982 con la richiesta del saldo; e in via subordinata la raccomandata contenente la messa in mora, inviata dal legale della Dukron a EFIBANCA il 9 ottobre 1984, e dalla Dukron per conoscenza anche alla Casmez il 19 novembre 1984. Sul punto la parte a-veva richiamato l’attenzione del giudice di rinvio nella comparsa conclusionale.

Si formula il quesito se la messa in mora effettuata dalla mandataria curatrice degli interessi della mandante costituisca atto valido ai sensi dell’art. 1219 c.c..

9. Il quesito di diritto è inammissibile perchè non si ricollega ad alcun punto della sentenza in cui si tratti della questione. Il vizio di motivazione, erroneamente prospettato insieme a quello di violazione di legge, con il quale è logicamente incompatibile (perchè mette in discussione la ricostruzione del fatto operata dal giudice di merito, rispetto alla quale, esclusivamente, può farsi questione di violazione o di falsa applicazione di norme di diritto) è a sua volta inammissibile, non solo perchè sprovvisto della sintesi richiesta dall’art. 366 bis c.p.c., ma perchè basato su documenti non riprodotti, dei quali la corte non può conoscere il contenuto.

10. Con il terzo motivo si denunciano violazione di norme di diritto in punto di decorrenza degli interessi, inesistenza della motivazione e violazione o falsa applicazione dell’art. 1453 c.c. nonchè degli artt. 1218 ss. c.c.. Si censura la qualificazione della domanda, nell’impugnata sentenza, come domanda non risarcitoria ma di esatto adempimento, con la conseguenza che il debito sarebbe di valuta e non di valore. L’esaurimento del rapporto contrattuale dopo che la Dukron aveva adempiuto tutti gli obblighi contrattuali senza aver ricevuto il finanziamento non lasciava spazio se non a una domanda risarcitoria. Conseguentemente gli interessi erano dovuti dall’inadempimento, e il debito era di valore. Si formula il quesito se, terminati ed esauriti in via definitiva gli effetti del contratto a prestazioni corrispettive, sia concepibile richiedere l’adempimento, e se la parte adempiente possa comunque scegliere ex art. 1453 c.c. quale azione coltivare; se il risarcimento danni conseguente all’inadempimento sia obbligazione di valuta o di valore.

11. Il quesito multiplo non ammette risposta univoca. Occorre in ogni caso considerare i seguenti punti decisivi. Il risarcimento del danno derivante dall’inadempimento di un’obbligazione contrattuale è regolato diversamente, nell’ordinamento vigente, a seconda della natura dell’obbligazione inadempiuta. Esso è debito di valore laddove la prestazione inadempiuta fosse di fa-cere o di dare una cosa diversa da una somma di danaro, con la conseguenza che esso deve essere liquidato in moneta al valore corrente al tempo della decisione. Il principio di diritto applicabile nel caso di specie, è, invece che il risarcimento del danno da inadempimento di un’obbligazione pecuniaria costituisce un debito di valuta, soggetto alla regola dettata dall’art. 1224 c.c., con la conseguenza che esso è soddisfatto con il pagamento degli interessi di mora (al tasso legale se non sia stato convenuto un tasso maggiore) sull’ammontare della somma dovuta a titolo di capitale calcolati annualmente. E’ però fatto salvo il caso che il creditore dimostri di aver subito un maggior danno, rispetto a quello coperto dagli interessi legali, sempre che non sia stata convenuta la misura degli interessi moratori (art. 1224 cpv. c.c). Il motivo di ricorso, supponendo che l’inadempimento di un’obbligazione pecuniaria e-scluda l’applicabilità del principio nominalìstico, deve essere pertanto respinto.

12. Con il quarto motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., della L. n. 1051 del 1957, art. unico del R.D. 27 novembre 1933, n. 1578 e L. 13 giugno 1942, n. 794, D.M. 8 aprile 2004, n. 127 e dei precedenti d.m. relativi al tariffario forense, L. n. 488 del 1999 e "inesistente motivazione".

Si censura la liquidazione delle spese nell’impugnata sentenza, perchè essa, in relazione al precedente giudizio di cassazione, non ha riconosciuto diritti di procuratore, e ha liquidato onorari inferiori al minimo tariffario forense, in luogo di quelli indicate nella nota depositata; e perchè, inoltre, in relazione alle spese del giudizio di rinvio, non ha tenuto conto della nota depositata.

13. Il motivo è infondato in ogni sua parte. Per il giudizio di cassazione non sono dovuti diritti di procuratore, dovendo il relativo compenso ritenersi conglobato negli onorari: cfr., per tutte, Cass. 20 aprile 1995 n. 4425. Per nessuna delle due note depositate, relative ai giudizi di cassazione e rinvio, è soddisfatto il requisito dell’indicazione della sede in cui i documenti sarebbero rinvenibili, prescritto a pena d’inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., comma 6.

14. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2012

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