Cass. civ. Sez. I, Sent., 20-06-2012, n. 10177 Pensione di riversibilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 24-4-2008, B.L. moglie divorziata di D.R., (successivamente coniugato con F.P. e deceduto), e titolare di assegno divorzile, chiedeva l’attribuzione di una quota della pensione di reversibilità nonchè dell’assegno vitalizio spettante al D., quale ex parlamentare.

Si costituiva la F., che non contestava il diritto alla quota della B. nella misura del 70%, negando analogo diritto al riconoscimento di assegno vitalizio, che, a suo dire, non aveva natura previdenziale. Si costituiva pure l’INPDAP, ente erogatore della pensione, nonchè la Camera dei Deputati, la quale specificava che il trattamento del D. non aveva natura previdenziale.

Il Tribunale di Trieste, con sentenza in data 13-8-2009, attribuiva alla B. la quota del 70% del trattamento di reversibilità e alla F. la residua quota del 30%; ripartiva tra le stesse parti, ma in percentuale inversa, l’assegno vitalizio.

Avverso la predetta decisione la B. proponeva appello.

Costituitasi, la /Fasolaro/ ne richiedeva il rigetto e proponeva appello incidentale. L’INPDAP e la Camera dei Deputati si costituivano, rimettendosi alla decisione del giudice.

La Corte d’Appello di Trieste, con sentenza in data 21-7 – 28-8-2010, attribuiva l’80% del trattamento di reversibilità alla B. e il residuo 20% alla F.; rigettava la domanda dell’appellante principale circa la corresponsione di quota parte dell’assegno vitalizio del D., quale ex parlamentare.

Ricorre per cassazione la B.. Resiste, con controricorso, la F..

Motivi della decisione

Con il primo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 3 circa il riparto della pensione di reversibilità tra essa e la /Fasolato/. Il motivo va rigettato, in quanto infondato.

Correttamente la Corte di merito precisa, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 419 del 1999) e di questa Corte (per tutte, Cass. n. 10669/2007) che la ripartizione del trattamento di reversibilità tra il coniuge divorziato, titolare di assegno divorzile, e quello superstite, va fatto, oltre che sulla base del criterio della durata dei rispettivi matrimoni, coincidente con la durata legale di essi, anche considerando ulteriori elementi in vario modo collegati alle finalità solidaristiche proprio del trattamento di reversibilità: entità dell’assegno divorzile, condizioni economiche delle parti, durata delle rispettive convivenze. Va ancora precisato che non tutti gli elementi predetti devono necessariamente concorrere ed essere valutati in egual misura, rientrando nell’ambito dell’apprezzamento del giudice di merito la determinazione concreta della loro rilevanza (per tutte, Cass. n. 18463 del 2004).

Con motivazione congrua e non illogica, il giudice a quo considera il criterio preminente della durata legale del matrimonio, ma pure delle rispettive convivenze, sempre a vantaggio della B., anche se tale vantaggio si attenua, considerando le convivenze (prematrimoniali e, durante il matrimonio, fino alla separazione).

Ancora, la sentenza impugnata considera la posizione reddituale della F., ben più elevata, stante il suo collocamento lavorativo nell’ambito del personale dirigente della Provincia di Trieste. La B. – continua la sentenza – non era in grado di provvedere al proprio mantenimento, e tale sua condizione giustificava un assegno divorzile alquanto consistente (Euro 4000,00 poi ridotto a 3000,00).

Se tutti gli elementi riferiti alle parti fossero stati paritari, la pensione sarebbe stata attribuita al 50% per ciascuna: il giudice a quo ha esaminato vari profili che richiedevano un’attribuzione maggiore alla B.; considerate tali risultanze, la sentenza impugnata ha elevato l’attribuzione ad essa fino alla quota dell’80% (il primo giudice aveva determinato il 70%), superiore ai 2/3 dell’intero ammontare, secondo una valutazione di merito, insuscettibile il controllo in questa sede.

Con il secondo motivo, la ricorrente censura l’errata e/o falsa interpretazione della natura dell’assegno vitalizio erogato all’ex coniuge defunto dalla Camera dei Deputati, avendo esso natura previdenziale e dovendo essere dunque assoggettato alla disciplina del riparto della pensione di reversibilità.

Con il terzo, lamenta errata e/o falsa interpretazione dell’art. 9 del regolamento parlamentare, indicante il soggetto beneficiario della quota dell’assegno vitalizio in caso di decesso del parlamentare.

La giurisprudenza della Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 289 del 1994) e di questa Corte (da ultimo, Cass. n. 20538 del 2010) così come la dottrina in materia, hanno evidenziato la natura complessa e articolata dell’assegno vitalizio spettante ai parlamentari cessati dal mandato, che presenta profili in parte riconducibili al modello previdenziale pensionistico e in parte al regime delle assicurazioni private, rappresentando dunque un unicum, specifico e particolare.

Trovando la sua origine in una forma di mutualità (Cass. di Previdenza per Deputati e Senatori), tale trattamento si è gradualmente trasformato in una forma di previdenza obbligatoria, che prevede contributi dei titolari (ma pure integrazione da parte dello Stato), suscettibile di detrazione dalla base imponibile rappresentata dagli importi dell’indennità di carica. Si tratta di un regime speciale che trova la sua fonte e la sua disciplina nei regolamenti parlamentari interni (nella specie, della Camera dei Deputati). E, del resto, l’assegno vitalizio, a differenza della pensione ordinaria, viene a ricollegarsi ad un indennità di carica goduta in virtù di un mandato pubblico, con caratteri, criteri e finalità ben diverse da quelle proprie della retribuzione connessa ad un rapporto di lavoro.

Se l’assegno vitalizio già presenta caratteri non riconducibili automaticamente al trattamento pensionistico, ancor più problematica risulterebbe un’assimilazione del beneficiario post mortem al titolare di una pensione di reversibilità. Va precisato infatti che il trasferimento dell’assegno post mortem ad un terzo, e subordinato al pagamento di una quota aggiuntiva da parte del parlamentare, e il beneficiario viene designato, a scelta di questo, nella persona del coniuge o dei figli. Qui l’analogia con il premio assicurativo (a favore dei terzi) si configura, ancor più palesemente, e la lontananza del sistema previdenziale è del tutto evidente.

E’ appena il caso di precisare che il D., indicando la persona del coniuge quale beneficiario del vitalizio, non poteva che riferirsi al coniuge superstite, tale al momento del suo decesso.

Vanno rigettati, in quanto infondati, i motivi secondo e terzo.

Conclusivamente, va rigettato il ricorso.

La natura della causa e la posizione delle parti richiedono la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; dichiara compensate le spese di giudizio tra le parti.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 19 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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