Cass. civ. Sez. V, Sent., 20-06-2012, n. 10173

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

RB Pubblicità s.r.l propose ricorso avverso avvisi di accertamento in rettifica emessi a titolo d’imposta comunale sulla pubblicità per l’anno 1998.

Mentre il Comune aveva liquidato gli importi dovuti in funzione della tariffa ordinaria su base annua (prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12, comma 1), la società contribuente riteneva congrue il versamento di 1/10 della tariffa (ai sensi del secondo comma dalla citata disposizione), atteso che la pubblicità prestata consisteva in messaggi di durata mai superiore ad un mese e che, per l’eventuale periodo residuo, l’impianto era ricoperto da manifesti bianchi.

L’adita commissione provinciale dichiarò estinto il giudizio per intervenuta cessazione della materia del contendere, essendo emerso che, con Delib. consiliare 27 gennaio 2001, n. 42 il Comune si era determinato a chiudere il contenzioso relativo all’applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, in via conciliativa.

La decisione fu, tuttavia, riformata dalla commissione regionale.

Escluso il perfezionamento della conciliazione, i giudici di appello – osservato che l’art. 12 disciplina fattispecie impositive del tutto distinte (giacchè, al comma 1, stabilisce le modalità di calcolo dell’imposta "per ogni metro quadrate di superficie e per anno solare"; al comma 2, prevede la riduzione di un decimo della tariffa applicabile, in relazione alla pubblicità ordinaria temporanea, di durata non superiore a tre mesi; e dispone infine, al comma 3, che "per la pubblicità effettuata mediante affissioni dirette, anche per conto altrui, di manifesti e simili su apposite strutture adibite alla esposizione di tali mezzi si applica l’imposta in base alla superficie complessiva degli impianti nella misura e con le modalità previste dal comma 1"), rivelarono, in primo luogo, che la società ricorrente non aveva mai fornito prova di utilizzazione temporanea, non superiore a tre mesi, degli impianti nel periodo d’imposta (atteso, peraltro, che la ricorrenza di pubblicità provvisoria e/o temporanea presuppone la necessaria sussistenza di un atto amministrativo che tale la definisca); riscontrarono inoltre – oltre che l’inamissibilità dell’impugnazione, in merito al computo dell’imposta, perchè generica – la sua infondatezza, essendo l’ammontare dell’imposta rapportato dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 7 non alle dimensioni ed al numero dei passaggi pubblicitari, ma alla superficie della minima figura piana geometrica, regolare o irregolare, in cui è possibile circoscrivere il mezzo pubblicitario utilizzato, al netto di ogni elemento accessorio e strutturale;

negarono, infine, la sussistenza di condizioni obiettive di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni enunciate, tale da giustificare la riduzione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8.

Avverso la decisione di appello, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione in cinque motivi.

Il Comune ha resistito con controricorso.

All’udienza di discussione, il difensore della società contribuente, allegando documentazione, ha invocato gli effetti di intervenuta procedura di definizione agevolata della lite.

Motivi della decisione

In mancanza di notificazione alla controparte ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 2, la documentazione allegata dalla società contribuente in sede di discussione, in quanto irritualmente prodotta, non può essere presa in considerazione ai fini della decisione, sicchè le deduzioni su di essa fondate vanno disattese.

Con il primo motivo di ricorso, la società contribuente – deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 50 e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11 – denuncia l’invalidità della costituzione in giudizio del Comune nei pregressi gradi del giudizio, in quanto avvenuta in persona del funzionario del Servizio Affissioni Pubbliche e non del sindaco e, dunque, l’inammissibilità del suo appello.

La doglianza è inammissibile, giacchè introduce una questione "nuova", almeno di prospettiva di autosufficienza, posto che, dalla sentenza impugnata, essa non risulta proposta e trattata davanti al giudice del merito e che, qualora una determinata questione giuridica, che implichi un accertamento di fatto, non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente, che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito e di indicare, altresì, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione di cui all’art. 366 c.p.c., in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, (cfr., tra le altre, Cass. 20518/08, 12088/06, 2270/06, 14741/05, 14599/05, 6542/04).

La censura è, d’altro canto, infondata, alla luce di quanto puntualizzato da questa Corte, con la sentenza n. 14637/07.

Con il secondo motivo di ricorso, la società contribuente – deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 23, e 57 – denunzia l’inammissibilità dell’appello del Comune, sul presupposto della novità delle relative deduzioni, in quanto (sembrerebbe) riproducenti difese non proposte nell’atto di costituzione in primo grado, depositato ai sensi e nei termini di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23 ma solo successivamente.

Il mezzo è inammissibile, in quanto assolutamente carente sul piano dell’autosufficienza, posto che manca, in ricorso, la benchè minima descrizione dei motivi di appello di cui si assume l’inammissibilità, nonchè dell’atto di costituzione in primo grado e delle deduzioni successivamente svolte. Ciò senza contare che il divieto dei "nova" concerne le domande ed eccezioni in senso stretto e non le mere difese (v. Cass. 18962/05, 7329/03).

Con il terzo motivo di ricorso, la società contribuente – deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12 anche in relazione al medesimo D.Lgs., artt. 1, 5, 7, 8, 9, 14, e 16 e artt. 3 e 53 Cost. – censura la decisione impugnata nella parte in cui non ha ritenuto errato il criterio di determinazione dell’imposta utilizzato ai fini dell’accertamento.

La censura si rivela carente sul piano dell’autosufficienza, laddove non contrasta l’affermazione del giudice a quo in merito alla mancata prova della ricorrenza dei presupposti per l’applicazione del comma 2, anzichè del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12, comma 3.

La doglianza è, peraltro, infondata alla luce dei principi affermati da questa Corte (Cass. 4783/11, 1915/07, 552/07), secondo cui, in tema di imposta comunale sulla pubblicità, l’oggetto del tributo è costituito, in base al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, artt. 1, 3, 4 e 5 dai comportamenti pubblicitari, visivi o acustici, realizzati per il tramite di affissione su appositi impianti o di altri mezzi e va riferito non all’attività di diffusione del messaggio ma al mezzo pubblicitario disponibile ed alla relativa potenzialità di uso. Nel caso di pubblicità per affissione diretta effettuata da società su impianti di proprietà e per conto terzi, deve escludersi, ai sensi del terzo comma dell’art. 12 del citato decreto, che, sino all’entrata in vigore (1 gennaio 2001) della modifica apportata a tale disposizione dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 145, comma 56, privo di efficacia retroattiva, possa essere applicata la tariffa ridotta contemplata dal comma secondo del medesimo art. 12, commisurata alla durata non superiore a tre mesi del messaggio pubblicitario.

Con il quarto motivo di ricorso la società contribuente lamenta l’erroneo computo della superficie dell’impianto oggetto d’imposta.

La doglianza è inammissibile, giacchè, oltre che carente sul piano dell’autosufficienza si risolve, in un sindacato di fatto inammissibile in sede di legittimità.

Con il quinto motivo di ricorso la società contribuente – deducendo violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8 – afferma la ricorrenza delle condizioni di obbiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni idonee a giustificare l’inapplicabilità delle sanzioni.

La doglianza è inammissibile, giacchè del tutto genericamente denunziante l’equivocità della disciplina applicabile, senza neppure indicare la specifica norma di incerta applicazione ed i motivi della lamentata incertezza. Ciò senza contare che la fattispecie non rivela la ricorrenza dei presupposti di applicabilità della previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8 come individuati dalla giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. 4683/12, 2192/12).

Alla stregua delle considerazioni che precedono, s’impone il rigetto del ricorso.

Per la natura della controversia e tutte le peculiarità della fattispecie, si ravvisano le condizioni per disporre l’integrale compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte: rigetta il ricorso; compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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