Cass. civ. Sez. V, Sent., 20-06-2012, n. 10170 Avviso di accertamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La controversia concerne l’impugnazione di una serie di avvisi di accertamento ai fini IVA, IRPEG ed IRAP relativamente ad una attività di acquisto di autoveicoli di provenienza estera (cessioni intracomunitarie) da società intermediarie e successiva rivendita realizzando un meccanismo contabile di fatturazioni soggettivamente inesistenti nel quadro di una "frode carosello". La Commissione adita accoglieva il ricorso della società contribuente, ma la decisione era parzialmente riformata in appello, con la sentenza in epigrafe, avverso la quale la società contribuente propone ricorso per cassazione con sei motivi, illustrato anche con memoria (con la stessa producendo documentazione relativa al procedimento penale dell’amministratore delegato della società contribuente). Resiste l’amministrazione con controricorso proponendo con lo stesso atto ricorso incidentale con unico motivo, cui resiste la società contribuente con controricorso.

MOTIVAZIONE Deve essere preliminarmente esaminato, perchè l’eventuale accoglimento dello stesso potrebbe esser risolutivo della controversia, il quarto motivo del ricorso principale, con il quale la società ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa pronuncia sui motivi dell’appello incidentale, contestando che il giudice di merito non si sia pronunciato sull’eccezione di inammissibilità dell’atto di costituzione dell’Ufficio in primo grado.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza non essendo riportato nel ricorso il motivo d’appello cui la censura si riferisce, nè alcun elemento sulla dedotta mancata sottoscrizione dell’atto di costituzione.

Con i restanti motivi di ricorso, la società ricorrente artificialmente parcellizza una sostanzialmente unica censura che, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata in ordine all’accertamento della sussistenza nella specie di una ed, frode carosello, all’omesso rilievo del mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’amministrazione e l’inidoneità delle presunzioni utilizzate a dar conto della partecipazione della ricorrente all’operazione fraudolenta, nonchè in ordine alle conseguenze che da tanto sono state dedotte quanto alla affermata indetraibilità dell’IVA (con violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19) e alla ritenuta indeducibilità dei costi (con violazione della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis).

Per valutare la fondatezza o infondatezza del complesso delle censure articolate nel ricorso (molte delle quali si palesano inammissibili quali istanze per una mera revisione del giudizio di merito e per difetto di autosufficienza), va rilevato che la sentenza impugnata è congruamente motivata con un analitico esame delle condizioni per affermare nella specie la sussistenza di operazioni caratterizzanti la c.d. "frode carosello", con la specifica consapevolezza del carattere fraudolento delle operazioni da parte della società contribuente: la natura di "cartiere" delle società interposte, il mancato versamento dell’IVA da parte di quest’ultime, il pagamento anticipato dei veicoli (giustificato dal fatto che le società interposte operavano su diretto mandato dell’acquirente), le dichiarazioni del sig. R. (titolare della Fin.Car Srl, una delle società interposte) in sede di verifica circa la conoscenza del meccanismo da parte dei propri clienti; il vantaggio economico conseguito dalla società contribuente (prezzi di rivendita competitivi). Complessivamente la sentenza esprime adeguatamente l’iter logico seguito dal giudice di merito nella formazione del proprio convincimento, in modo da restare impedita qualsiasi nuova valutazione degli accertamenti di fatto da lui compiuti.

Inoltre La sentenza impugnata ha accertato in fatto l’esistenza di prezzi di rivendita competitivi dei veicoli ottenuti mediante l’operazione di intermediazione con le società "cartiere", e tiene conto delle considerazioni svolte da parte contribuente, evidenziando che gli esempi portati a difesa dalla società sono marginali in relazione al numero degli oggetti trattati e soprattutto per la mancata indicazione degli allestimenti optional che, vista la gamma dei veicoli, non sono indifferenti alla determinazione del valore effettivo dei medesimi.

Tanto premesso deve essere valutato separatamente, quanto alle conseguenze dell’accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito, il profilo relativo alla indetraibilità dell’IVA da quello relativo al profilo della indeducibilità dei costi.

Quanto al primo profilo, non può esservi dubbio, sulla scorta del costante orientamento di questa Corte, che quanto affermato dalla sentenza impugnata in tema di sussistenza nella fattispecie di operazioni soggettivamente inesistenti, non può costituire una violazione della sesta direttiva CEE relativamente alla indetraibilità dell’imposta. In tema di IVA ha stabilito questa Corte, nelle c.d. "frodi carosello" – fondate sul mancato versamento dell’imposta incassata da società "cartiere" a seguito di acquisti intracomunitari, o altrimenti esenti, e successive rivendite anche attraverso l’interposizione di una o più società filtro (buffers) – il meccanismo dell’operazione e gli scopi che la stessa si propone (acquisizione di materiali a prezzi più contenuti al fine di praticare prezzi di vendita più bassi, con alterazione a proprio favore del libero mercato), fanno presumere la piena conoscenza della frode e la consapevole partecipazione all’accordo simulatorio del beneficiario finale, con la conseguenza che, in applicazione del relativo principio sancito dall’art. 17 della direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, l’IVA assolta dal medesimo beneficiario nelle operazioni commerciali con la società filtro non è detraibile ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19 anche se le predette operazioni siano state effettivamente compiute e le relative fatture, al pari dell’intera documentazione contabile, sembrino perfettamente regolari (Cass. n. 867 del 2010). Nel caso di specie, come si è già rilevato, il giudice di merito, con congrua motivazione, ha accertato che nel giudizio non è stata conseguita la prova della "buona fede" della società contribuente, anzi che vi sono convincenti indizi della consapevolezza del carattere delle operazioni da parte di detta società.

Quanto al secondo profilo, quello relativo alla indeducibilità dei costi rispetto al quale viene dedotta la violazione della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, occorre tener conto della modifica apportata alla predetta disposizione con il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 9, comma 1. Detta norma prevede che la L. n. 537 del 1993, art. 8, comma 1 sia sostituito dal seguente: Nella determinazione dei redditi di cui all’art. 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi. A norma del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 3: Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in luogo di quanto disposto dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4 bis previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al comma 4- bis previgente non si siano resi definitivi; resta ferma l’applicabilità delle previsioni di cui al periodo precedente ed ai commi 1 e 2 anche per la determinazione del valore della produzione netta ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive. La relazione al disegno di legge di conversione del decreto all’esame del Parlamento spiega lo scopo della norma con la volontà del legislatore di inibire in modo inequivoco la deducibilità dei componenti negativi di reddito direttamente connessi al compimento delle fattispecie di reato più gravi, evitando che tale indeducibilità possa essere letta come una sanzione impropria, venendo invece la stessa inquadrata come regola generale nell’ambito della determinazione del reddito imponibile. Venendo a quel che più interessa la fattispecie che si discute nella presente controversia, la ricordata relazione al disegno di legge di conversione, afferma:

Per effetto di questa disposizione, l’indeducibilità non trova applicazione per i costi e le spese esposti in fatture o altri documenti aventi analogo rilievo probatorio che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi, ferme restando le regole generali in materia di detrazione della relativa imposta sul valore aggiunto di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e in tema di deduzione previste dal testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917; pertanto, ove del caso, l’indeducibilità dei costi rappresentati in documenti emessi da soggetti che in tutto o in parte non hanno effettivamente posto in essere l’operazione, sarà, comunque, rilevabile per effetto delle altre disposizioni normative eventualmente applicabili e connesse ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità dei componenti negativi.

Ciò significa che ai soggetti terzi – alla cui categoria appartiene la società contribuente nel caso di spese – coinvolti nelle frodi carosello non è più contestabile, alla luce della nuova norma, la deducibilità dei costi, in quanto i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, venduti. Sicchè non è più sufficiente il coinvolgimento (anche consapevole) dell’acquirente in operazioni che siano fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore perchè non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costi relative alle predette operazioni. Resta comunque aperto il problema della concreta deducibilità dei costi in relazione ai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità: ma di un siffatto accertamento non vi è traccia nel giudizio. Pertanto sotto questo profilo il ricorso è da accogliere con la conseguente cassazione della sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito perchè esamini nuovamente la questione concernente la deducibilità dei costi alla luce del seguente principio di diritto: In tema di imposte sui redditi, a norma della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, nella formulazione introdotta con D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, sono deducibili per l’acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, per il solo fatto che essi sono sostenuti nel quadro di una c.d. "frode carosello", anche per l’ipotesi che l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che a norma del TUIR siano in contrasto con i principi effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità.

Con l’univo motivo del ricorso incidentale l’amministrazione contesta, sotto il profilo del difetto di motivazione, la diminuzione dell’IVA indebitamente detratta sulla base della convinzione che il recupero riguardasse anche autovetture acquistate da altri soggetti e non solo dalle società "cartiere". Il motivo è fondato. Dalla riproduzione degli atti accertativi relativi ai punti oggetto dell’impugnazione emerge che l’IVA recuperata è esclusivamente quella relativa agli acquisti di autovetture dalle società cartiere, sicchè si palesa inidonea la motivazione dell’esclusione di una parte dell’imposta recuperata.

Pertanto, devono essere accolti nei limiti di cui in motivazione sia il ricorso principale che il ricorso incidentale. La sentenza impugnata deve essere cassata e la causa deve essere rinviata ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte. Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese della presente fase del procedimento.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso principale e il ricorso incidentale nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 marzo – 25 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *