Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 17-11-2011) 01-12-2011, n. 44618

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con la sentenza in epigrafe la Corte di Appello di Venezia ha confermato la condanna in primo grado di S.A., Z. D. e M.F. per il reato di rapina e altro.

Avverso la pronunzia della Corte di Appello ricorrono gli imputati (ma la posizione del M. è stralciata con separata ordinanza avendo il difensore di fiducia aderito all’astensione deliberata dalla giunta dell’unione delle Camere Penali).

Il S. solleva due motivi: lamentando, in primo luogo, l’inosservanza dell’art. 81 c.p., comma 4, per avere il giudice di primo grado errato nel computo della pena (avendo applicato l’aumento di legge di un terzo della pena stabilita per il reato più grave con riferimento a ciascun aumento successivo al primo e non con riguardo alla pena complessivamente stabilita); lamentando, in secondo luogo, inosservanza dell’art. 133 c.p. e carenza e illogicità della motivazione nella determinazione del trattamento sanzionatorio, non avendo i giudici del merito adeguatamente considerato la condizione di totale indigenza dell’imputato.

L’imputato Z. solleva un unico motivo, inerente alla inosservanza dell’art. 133 c.p. e carenza e illogicità della motivazione nella determinazione del trattamento sanzionatorio, non avendo i giudici del merito adeguatamente considerato il comportamento processuale dell’imputato.

2. – I ricorsi sono infondati e devono essere rigettati.

Circa il primo motivo sollevato dal S., correttamente la Corte di appello ha rilevato che, se il giudice di primo grado è effettivamente incorso nell’errore segnalato dall’imputato, tuttavia questi ne ha tratto giovamento in concreto, potendo la pena in ogni caso essere aumentata ben oltre la misura stabilita dal giudice, e astrattamente fino al triplo (peraltro giungendosi nel caso concreto – secondo la corte territoriale – comunque a una pena adeguata e giustificata).

Circa i restanti motivi, sollevati da entrambi gli imputati, tutti volti a contestare sotto plurimi profili la decisione sul trattamento sanzionatorio, comunque ritenuto eccessivo, deve rilevarsi che il giudice d’appello, con motivazione congrua ed esaustiva, anche previo specifico esame degli argomenti difensivi attualmente riproposti (si veda in particolare per il S. il richiamo alla condizione di pressante necessità di procurarsi denaro per l’acquisto di sostanza stupefacente e al comportamento preprocessuale e processuale dell’imputato), è giunto a una valutazioni di merito come tale insindacabile nel giudizio di legittimità, quando – come nel caso di specie – il metodo di valutazione delle prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici (Cass. pen. sez. un., 24 novembre 1999, Spina, 214794).

Così, per il S. sono stati adeguatamente valutati la condizione di necessità determinata dallo stato di tossicodipendenza e l’impegno diretto al risarcimento del danno, rilevando che mentre la prima non può comunque indurre a un trattamento di eccessiva mitezza considerate anche le concrete modalità del fatto e la non con divisibilità del fine perseguito dall’imputato (procurarsi sostanze per l’acquisto di sostanza stupefacente), l’impegno al risarcimento è stato oggetto di positiva valutazione dal giudice di primo grado, che ha comunque determinato la pena anche in considerazione dei plurimi precedenti penali, soprattutto specifici, dell’imputato. Per lo Z., la corte territoriale ha valutato in particolare i numerosissimi precedenti penali, anche specifici, dell’imputato, giungendo a una totale condivisione del trattamento sanzionatorio stabilito in primo grado. Attesa la completezza e la esaustività della motivazione della sentenza sotto i profili oggetto di censura, circa i rilievi difensivi su specifici profili di impugnazione in merito non esplicitamente considerati dalla corte territoriale, è sufficiente rilevare che per giurisprudenza consolidata di questa Corte, nella motivazione della sentenza, il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, (in questo senso v. Cass. Sez. 4 sent. n. 1149 del 24.10.2005 dep. 13.1.2006 rv 233187).

Del resto questa Corte ha chiarito che in sede di legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata. Pertanto, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Sicchè, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione. (Cass. Sez. 2 sent. n. 29434 del 19.5.2004 dep. 6.7.2004 rv 229220). Per questi rilievi, deve concludersi che la determinazione in concreto della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicchè l’obbligo della motivazione da parte del giudice dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 cod. pen. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello. (Cass. Sez. 6, sent. n. 10273 del 20.5.1989 dep. 12.7.1989 rv 181825. Conf. mass. N. 155508; n. 148766; n. 117242).

In ogni caso, nella sentenza impugnata vi è diffuso richiamo alla motivazione della sentenza di primo grado e – secondo la giurisprudenza di questa Corte – "nella determinazione dell’entità della pena, il giudice d’appello non è tenuto a reiterare l’indicazione degli elementi di cui all’art. 133 c.p., dovendosi presumere che detta determinazione sia stata effettuata o riesaminata anche con riguardo ad ogni elemento che risulti già acquisito agli atti o altrimenti indicato in sentenza". (Cass. pen., sez. 6^, 5 maggio 1988).

3. – Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, rigetta i ricorsi di S.A. e Z.D. che condanna al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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