Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 08-11-2011) 01-12-2011, n. 44662 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

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Svolgimento del processo

Il G.U.P. del Tribunale di Verona, con sentenza del 25.11.2009, dichiarava G.B. e G.M. colpevoli in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti unificati dal vincolo della continuazione e condannava G.B. alla pena di anni dodici di reclusione ed Euro 80.000,00 di multa, G.M. alla pena di anni sedici di reclusione ed Euro 120.000,00 di multa oltre al pagamento delle spese processuali e di mantenimento in carcere per ognuno. A G.B. e a G.M. era stato contestato il reato di cui all’art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 e art. 80, comma 2, contrassegnato con la lett. a) per avere, in concorso con C.G., introdotto nel territorio dello Stato e detenuto Kg. 16,754 di cocaina; il reato previsto dagli stessi artt. di legge di cui sopra, contrassegnato con la lett. b) per avere, in concorso con P.R., acquistato e trattato l’acquisto di rilevanti quantitativi di cocaina, non inferiori a 170 Kg., provenienti dallo Stato di Capo Verde e compiuto atti idonei, diretti in modo non equivoco ad introdurre lo stupefacente nel territorio nazionale, distribuendosi i vari ruoli, con l’aggravante dell’ingente quantità. A G.B. era stato inoltre contestato il reato contrassegnato con la lett. c), previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 per avere, in concorso con V.L. e Ga.Br., acquistato e ceduto a terzi quantitativi imprecisati di cocaina. A G.M. era infine contestato il reato contrassegnato con la lett. d) previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 per avere, in concorso con Z.L.A., acquistato e ceduto a terzi quantitativi imprecisati di cocaina e quello contrassegnato con la lett. e) avente ad oggetto il tentativo di importazione nel territorio nazionale di grammi 580 di cocaina.

Avverso la sopra indicata sentenza proponevano appello gli imputati.

La Corte di appello di Venezia, con sentenza datata 25.11.2010, oggetto del presente ricorso, in parziale riforma della sentenza emessa nel giudizio di primo grado, esclusa l’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, in relazione al reato contrassegnato con la lett. b), riduceva e rideterminava la pena come segue:

G.B. – anni 11, mesi 4 di reclusione ed Euro 76.666 di multa;

G.M. – anni 15, mesi 4 di reclusione ed Euro 110.000 di multa; confermava nel resto nei confronti dei sopra indicati imputati.

Avverso tale sentenza proponevano distinti ricorsi per cassazione G.B. e G.M., a mezzo dei loro difensori, e concludevano chiedendone l’annullamento con ogni conseguenza di legge.

G.B. e G.M. hanno censurato la sentenza impugnata per inosservanza di legge e vizio di motivazione in relazione ai criteri di valutazione della chiamata di correo, alla erronea interpretazione della frazionabilità della chiamata di correo, riferita a differenti versioni sul medesimo fatto. Osservavano sul punto i predetti ricorrenti che erroneamente la sentenza impugnata aveva fatto riferimento alla utilizzazione frazionata della chiamata di correo effettuata da C.G. nei loro confronti per superare le incongruenze nelle dichiarazioni del predetto, che pure venivano riconosciute dalla predetta sentenza, quale quella relativa al luogo di consegna della droga. Rilevavano infatti le difese dei ricorrenti che, perchè si possa ritenere legittima la valutazione "frazionata" delle dichiarazioni accusatorie di un chiamante in correità, è necessario che dette dichiarazioni riguardino diverse parti di un racconto e non la medesima, mentre, nella fattispecie che ci occupa, le contraddizioni evidenziate dalla stessa Corte territoriale sarebbero riferibili alle medesime circostanze, ragion per cui i giudici di merito avrebbero dovuto operare una valutazione congiunta delle contraddizioni in cui il C. è incorso, al fine di verificare e stabilire l’effettiva veridicità delle sue dichiarazioni. Nè a tal fine potevano supplire i riscontri ravvisati nelle intercettazioni richiamate nella motivazione della sentenza impugnata. Sul punto sosteneva infatti la difesa di G.B. che era pacifico il suo coinvolgimento nel trasporto dello stupefacente di cui al capo a) della rubrica, mentre era in discussione il ruolo avuto dallo stesso, se cioè avesse agito quale mero corriere, ovvero fosse risultata riscontrata la versione offerta da C.. La Corte di appello, invece, avrebbe preteso di affidare l’esatta ricostruzione degli avvenimenti, e quindi il ruolo avuto da G. B., ai risultati delle intercettazioni ambientali e telefoniche, finendo per attribuire alle stesse il rango di piena prova della ricostruzione della condotta tenuta da G.B.. Secondo la difesa dello stesso l’erronea applicazione dei principi sulla valutazione della chiamata di correo avrebbe determinato una falsa rappresentazione del suo grado di coinvolgimento, con conseguente illogica determinazione della pena e valutazione della concedibilità delle circostanze attenuanti generiche.

Le difese di G.B. e G.M. censuravano poi l’impugnata sentenza per manifesta illogicità della motivazione in ordine al capo b) dell’imputazione. Sostenevano le difese dei ricorrenti sul punto che la stessa Corte territoriale aveva ribadito che i tentativi di importare la droga non avevano ad oggetto i 170 chilogrammi già acquistati e verosimilmente custoditi a Capo Verde, ma un diverso e mai accertato quantitativo che sarebbe dovuto arrivare via mare. La sentenza impugnata sarebbe quindi inficiata da un vizio del ragionamento logico-giuridico perchè la contestazione riguarda il tentativo di importazione del quantitativo acquistato e non inferiore a 170 chilogrammi, mentre per provare l’effettiva detenzione di quel quantitativo la Corte aveva fatto ricorso a tentativi di importazione dall’estero espressamente riferiti ad altre sostanze e alla fine ritenuti non provati. Non sarebbe stata quindi raggiunta la prova che una parte dell’azione fosse avvenuta in Italia. Ci sarebbe poi assoluta confusione sulla descrizione delle condotte, sulla interpretazione del capo di imputazione, sul reato nel quale si sarebbe realizzato il concorso, sull’illecito accordo e sull’oggetto dello stesso.

La difesa di G.M. censurava poi la sentenza impugnata per illogicità della motivazione sulla ritenuta responsabilità in ordine ai reati di cui ai capi d) ed e) della rubrica. In particolare, per quanto attiene al reato contrassegnato con la lett. d) il difetto di motivazione consisterebbe nell’avere dapprima ritenuto che il G.M. avesse avuto la disponibilità di una "certa quantità di sostanza stupefacente, ancorchè di scarsa qualità", salvo poi concludere che si trattasse di "una quantità più che apprezzabile", ravvisandosi quindi un difetto di motivazione in ordine al ritenuto quantitativo. Lamentava la difesa di G. M. altresì illogicità della motivazione in ordine alla mancata revoca del divieto di espatrio e del ritiro della patente di guida, nonchè della libertà vigilata, nonchè difetto di motivazione in relazione alla mancata revoca del provvedimento di confisca con riferimento agli autoveicoli e all’esercizio commerciale " (OMISSIS)", in quanto i beni in questione non sarebbero riconducibili all’attività illecita svolta dagli imputati. Il sopra indicato ricorrente lamentava infine mancanza di motivazione con riferimento alla mancata esclusione della circostanza aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2 in relazione al reato di cui al capo a) e alla mancata riduzione della pena inflitta dal giudice di primo grado con riferimento alla pena base, alla pena applicata a titolo di continuazione e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.

Motivi della decisione

OSSERVA LA CORTE DI CASSAZIONE che il ricorso è fondato nei limiti di cui in motivazione.

Deve innanzitutto osservarsi che non è condivisibile la tesi sostenuta dalle difese dei ricorrenti secondo cui la chiamata in correità effettuata da C.G. non sarebbe stata adeguatamente riscontrata. Sul punto si osserva che la predetta chiamata in correità presenta in effetti le incongruenze indicate in ricorso e sul punto la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., Sez. 6, Sent. n. 20514 del 28.04.2010, Rv. 247346) ha affermato che, in tema di valutazione probatoria della chiamata di correo, l’accertata falsità di uno specifico fatto narrato non comporta in modo automatico, l’aprioristica perdita di credibilità di tutto il compendio conoscitivo-narrativo dichiarato dal collaboratore di giustizia, bensì rientra nei compiti del giudice la verifica e la ricerca di un "ragionevole equilibrio di coerenza e qualità", di ciò che viene riferito nel contesto di tutti gli altri fatti narrati, dovendo avere ben presente che la debole valenza di attendibilità soggettiva deve essere compensata con un più elevato e consistente spessore di riscontro, attraverso il necessario minuzioso raffronto di verifiche di credibilità estrinseca. Tanto premesso si osserva che, nella fattispecie che ci occupa, come ben evidenziato nella sentenza impugnata, le intercettazioni telefoniche e ambientali utilizzate dal giudice di primo grado come riscontri, costituiscono una prova piena in ordine al diretto coinvolgimento dei fratelli G. nel traffico di stupefacenti, con particolare riferimento alle modalità e al luogo di consegna della droga (il predetto luogo di consegna, se Montichiari ovvero il bar dell’aeroporto aveva costituito, appunto, la principale incongruenza nelle dichiarazioni di C.G.).

Fondato appare invece il motivo relativo al difetto di motivazione con riferimento al capo b) dell’imputazione. Invero tale capo riguarda il reato di cui all’art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 e art. 80 con riferimento all’acquisto di rilevanti quantitativi non inferiori ai 170 chilogrammi provenienti dallo Stato del Capo Verde che gli imputati tentavano di introdurre nel territorio nazionale. La sentenza impugnata invece ha affermato con chiarezza che la sostanza stupefacente che doveva giungere a Marsiglia non faceva parte di quei 170 chilogrammi di proprietà dei fratelli G. di cui parla il capo di imputazione di cui sopra, ma si trattava di "un diverso e mai accertato quantitativo che sarebbe dovuto giungere via nave con la complicità del N.". Non essendoci pertanto nessuna certezza in ordine alla entità dei quantitativi di droga che avrebbero dovuto arrivare via mare, i giudici della Corte territoriale hanno escluso l’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80. Peraltro l’impugnata sentenza non appare adeguatamente motivata con riferimento alla relazione intercorrente tra l’originaria contestazione relativa al tentativo di importazione di un quantitativo acquistato e non inferiore a 170 chilogrammi proveniente dallo Stato del Capo Verde e i tentativi di importazione riferiti ad altre sostanze stupefacenti per cui i due fratelli G. sono stati condannati. I giudici della Corte territoriale non hanno in conclusione chiarito se, sulla base delle emergenze fattuali, si tratti dello stesse fatto contestato al capo b) ovvero di un fatto diverso.

La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata nei confronti di entrambi gli imputati limitatamente al capo b) della rubrica con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Venezia.

Infondati sono poi gli altri motivi di ricorso. Per quanto attiene alla responsabilità di G.M. con riferimento ai reati contrassegnati con le lett. d) ed e) della rubrica la motivazione della sentenza impugnata appare adeguata e congrua, in quanto fa riferimento a puntuali intercettazioni di conversazioni telefoniche tra G.M. e altri sodali, in particolare Z.L. e Ga.Br..

Congrua e logica appare poi la motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla mancata revoca del divieto di espatrio, della libertà vigilata, del provvedimento di confisca riguardante gli autoveicoli e l’esercizio commerciale " (OMISSIS)", al ritiro della patente di guida. I giudici della Corte territoriale hanno infatti evidenziato che gli imputati hanno utilizzato la libertà di circolazione per il compimento di attività finalizzate all’illecita importazione di sostanze stupefacenti, utilizzando a tal fine autovetture e camper. Non può quindi essere revocato il divieto di espatrio, nè la libertà vigilata, tenuto conto della condanna di entrambi gli imputati ad una pena superiore ai dieci anni. Per quanto poi attiene alla disposta confisca, la stessa è stata effettuata ai sensi del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, in considerazione del fatto che i beni di cui sopra, riconducibili agli imputati, sono del tutto sproporzionati rispetto alla capacità reddituale del loro nucleo familiare. Per quanto infine attiene alla mancata esclusione dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 con riferimento al reato contrassegnato con la lett. a), alla mancata riduzione della pena base rispetto a quella applicata dal giudice di primo grado, alla pena applicata a titolo di continuazione e alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, la motivazione della sentenza impugnata appare puntuale, adeguata e congrua, anche se il trattamento sanzionatorio potrà essere rivisitato all’esito del nuovo esame del capo di imputazione contrassegnato con la lett. b) demandato al giudice di merito.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di entrambi i ricorrenti limitatamente al capo b) della imputazione, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Venezia. Rigetta nel resto i ricorsi.

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