Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 08-11-2011) 01-12-2011, n. 44657

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

K.B. e M.F., imputati in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, reato per il M.F. aggravato altresì ai sensi dell’art. 80, ricorrono per cassazione con distinti ricorsi contro la sentenza di applicazione concordata della pena in epigrafe indicata, deducendo carenza di motivazione della medesima in ordine all’insussistenza di una delle "cause di non punibilità" di cui all’art. 129 c.p.p..

Il K.B. censurava l’impugnata sentenza altresì per inosservanza delle norme inerenti la competenza del Giudice ex art. 21 e ss. c.p.p., in quanto l’istanza di applicazione della pena su richiesta era stata inoltrata davanti al G.I.P. di Vicenza a seguito di notifica del decreto di giudizio immediato, mentre la sentenza veniva emessa dal Tribunale di Vicenza in sede collegiale che non ne aveva la competenza.

Avverso la sentenza di cui sopra proponeva ricorso per cassazione altresì il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Venezia e la censurava per violazione e falsa applicazione dell’art. 62 bis c.p. e per mancanza e illogicità della motivazione in ordine alla concessione delle circostanze attenuanti generiche e al conseguente giudizio di equivalenza delle stesse con la ritenuta aggravante.

Motivi della decisione

I proposti ricorsi sono inammissibili, ex art. 606 c.p.p., comma 3, perchè proposti per motivi manifestamente infondati. Come questa Corte ha ripetutamente affermato (cfr. ex plurimis Cass. S.U. 27 settembre 1995, Serafino), l’obbligo della motivazione della sentenza di applicazione concordata della pena va conformato alla particolare natura della medesima e deve ritenersi adempiuto qualora il giudice dia atto, ancorchè succintamente, ovvero implicitamente, come nella fattispecie di cui è processo, di aver proceduto alla delibazione degli elementi positivi richiesti (la sussistenza dell’accordo delle parti, la corretta qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione di eventuali circostanze ed il giudizio di bilanciamento, la congruità della pena, la concedibilità della sospensione condizionale della pena ove la efficacia della richiesta sia ad essa subordinata) e di quelli negativi (che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell’art. 129 c.p.p.).

In particolare, il giudizio negativo in ordine alla ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’art. 129 c.p.p. deve essere accompagnato da una specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell’enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per una pronuncia di proscioglimento ai sensi della disposizione citata.

Nel procedimento speciale di applicazione della pena su richiesta delle parti, il giudice decide, invero, sulla base degli atti assunti ed è tenuto, pertanto, a valutare se sussistano le anzidette cause di proscioglimento soltanto se le stesse preesistano alla richiesta e siano desumibili dagli atti medesimi.

Non è consentito, dunque, all’imputato, nè al rappresentante del Pubblico Ministero, dopo l’intervenuto e ratificato accordo, proporre questioni in ordine alla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p., senza precisare per quali specifiche ragioni detta disposizione avrebbe dovuto essere applicata nel momento del giudizio, nè proporre questioni in ordine alla concessione delle circostante attenuanti generiche e al giudizio di equivalenza che avevano formato oggetto dell’intervenuto accordo.

Palesemente infondato è altresì il motivo di ricorso proposto dal solo K.B. relativo alla incompetenza del Tribunale in sede collegiale per carenza di interesse, atteso che il sopra indicato imputato ha proposto istanza di patteggiamento, istanza che gli è stata accolta, con conseguente sua carenza di interesse a fare valere la presunta incompetenza dell’Autorità (il Tribunale in sede collegiale mentre l’istanza era stata proposta al G.I.P.) che ha emesso la sentenza.

I ricorsi devono essere quindi dichiarati inammissibili. Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti K. B. e M.F. al pagamento delle spese processuali ed al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di Euro 1000,00 (mille/00) a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna K.B. e M.F. al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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