Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 20-10-2011) 01-12-2011, n. 44653 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 16.11.2010 in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma resa in data 23.11.2009, con riferimento alle posizioni che oggi vengono in rilievo, assolveva per insussistenza del fatto D.M.F., C.M., G.M., M.M., Ci.Ma., Di.Ma.Em. e Cr.Gi. dai reati rispettivamente ascritti sub 1, 20, 24, 29, 36, 53, 93, 110, 11, 112, e 113; nonchè dai reati di cui ai nn. 37, 38 e 43, limitatamente a determinati episodi. La Corte territoriale assolveva inoltre, per non aver commesso il fatto, Cr. e Di.Ma. dal reato n. 17 e C. dal reato sub n. 83. La Corte di Appello rideterminava pertanto le pene originariamente inflitte.

La Corte di Appello premetteva che le indagini che avevano dato causa al procedimento erano durate per circa due anni e che le stesse erano finalizzate a stroncare un illecito traffico di sostanze stupefacenti nella zona di (OMISSIS). Il Collegio evidenziava che era stata posta in essere una imponente attività di intercettazione sia ambientale che telefonica su più di cento utenze; e che gli inquirenti avevano pure proceduto al sequestro di sostanza stupefacente, prevalentemente cocaina, con conseguente arresto dei soggetti responsabili, rispetto ai quali si era separatamente proceduto.

2. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Roma hanno proposto ricorso per cassazione D.M.F., D.P. M., G.M., Cr.Gi., C. D., C.M., Ro.Al., C. M., Di.Ma.Em., M.M. e S. D..

2.1 D.M.F. deduce la violazione di legge ed il vizio motivazionale. La parte, dopo avere ribadito le ragioni di censura afferenti l’intero impianto accusatorio già spiegate nei motivi di appello, si sofferma sul capo n. 3 della rubrica. La parte assume che la Corte di Appello abbia illogicamente ritenuto la responsabilità del D.M. sulla scorta di una espressione captata all’interno della vettura di G.M.. E rileva che la Corte territoriale ha omesso di rispondere alla censura con la quale la parte aveva contestato l’attribuzione al D.M. della frase oggetto di captazione. L’esponente contesta poi che ulteriori espressioni captate degli inquirenti siano indicative del fatto che il prezzo sia stato pagato e che l’affare relativo alla partita di cocaina sia stato effettivamente concluso. Il ricorrente ritiene che la Corte di Appello non abbia seguito un criterio coerente nella interpretazione delle conversazioni intercettate, riferendosi al significato letterale di talune espressioni ed a quello criptico, per interpretare altre frasi.

Il ricorrente contesta poi l’affermazione di penale responsabilità con riferimento al capo n. 6, osservando che la Corte di Appello ha valorizzato il contenuto di conversazioni intercorse tra terzi soggetti (il figlio e la nuora del prevenuto).

L’esponente censura poi la sentenza impugnata, in relazione al capo 10 della rubrica, assumendo che l’attività di spaccio svolta dal prevenuto costituisca il presupposto non dimostrato del ragionamento sviluppato dalla Corte di merito, anzichè l’oggetto dell’accertamento giudiziale; D.M. ribadisce quindi il contenuto delle doglianze già dedotte nei motivi di appello, ritenendo che la Corte territoriale abbia omesso di motivare sul punto.

Con il secondo motivo di ricorso la parte ribadisce la mancanza di prova circa la natura e la quantità della sostanza stupefacente oggetto degli addebiti, stante la mancanza di sequestri che riscontrino l’ipotesi accusatoria, in relazione alla posizione del D.M., ipotesi che si fonda unicamente sugli esiti delle operazioni di intercettazione. La parte rileva che l’uso di termini quali "roba" e "olio di ricino" non consente di ritenere che i colloquianti si riferissero a sostanza stupefacente e, in particolare, alla cocaina.

Con il terzo motivo la parte si duole del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e del trattamento sanzionatorio.

3. D.P.M. ha dedotto il travisamento delle emergenze processuali ed il vizio motivazionale.

La parte richiama il contenuto dell’atto di appello, ove aveva dedotto l’insussistenza dei reati contesati, in relazione alla violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, con specifico riguardo al capo 68 della rubrica; e dove aveva osservato che la fonte probatoria era costituita unicamente dagli esiti delle operazioni di intercettazione telefonica, ribadendo che le conversazioni intercettate non sono riferibili ai fatti contestati.

L’esponente considera che il riferimento a nomi femminili, in tesi d’accusa, indicherebbe l’intervenuto acquisto di cocaina da parte del D.P.; e che dette conversazioni non offrono la prova che un acquisto sia in realtà avvenuto.

L’esponente richiama pure il secondo motivo dell’atto di appello, ove si era doluto del mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, anche in considerazione dello stato di tossicodipendente del D.P..

Rileva che con il terzo motivo di appello si era lamentato della mancata concessione delle attenuanti generiche ed aveva riteneva eccessivo il trattamento sanzionatorio applicato all’esponente, anche se posto in comparazione con altre posizioni processuali; e che si era doluto della applicazione delle pene accessorie.

Ciò premesso, il ricorrente osserva che la Corte di Appello ha omesso di analizzare le doglianze difensive, volte a dimostrare l’incongruenza della attività interpretativa dei colloqui oggetto di captazione. Il deducente assume che la Corte territoriale abbia omesso di applicare i criteri guida indicati nella parte introduttiva della sentenza. Sotto altro aspetto, la parte si duole della mancata concessione delle attenuanti generiche e della entità del trattamento sanzionatorio.

4. G.M., con il primo motivo, deduce la violazione della legge penale ed il vizio motivazionale, laddove la sentenza impugnata ha ritenuto la sussistenza del reato associativo, di cui al capo 17 della rubrica. Il ricorrente richiama l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità nel delineare i tratti distintivi del reato associativo rispetto al concorso di persone nel reato continuato e ritiene che la Corte di Appello abbia disatteso i concetti espressi in materia dalla Suprema Corte. L’esponente rileva che la Corte territoriale ha dichiarato insussistente la prima delle contestate fattispecie associative, in considerazione delle intervenute assoluzioni di altri imputati rispetto ai reati fine contestati. E considera che, contraddittoriamente, pure a fronte delle assoluzioni di altri imputati rispetto ai reati fine della seconda associazione, la Corte di Appello ha confermato l’esistenza della associazione di cui al capo n. 17.

La parte ritiene che la Corte di Appello abbia errato nel censire il ruolo che G. avrebbe svolto nell’ambito della associazione; e nell’individuare le modalità operative del gruppo. Con riguardo al primo profilo, il ricorrente osserva che la Corte di Appello ha evidenziato che G., dopo l’arresto di A. per detenzione di sostanze stupefacenti, nel corso di una intercettazione ambientale aveva manifestato l’intenzione di sospendere per almeno un mese l’attività di spaccio. Osserva l’esponente che all’indomani di tale indicazione vennero realizzati numerosi reati fine; e ritiene che ciò dimostri che G. non ricopriva alcun ruolo apicale all’interno della associazione. La parte ritiene, inoltre, che difetti la prova della stabilità del programma criminoso; osserva al riguardo che la stessa Corte territoriale rileva che, dopo l’arresto dell’ A. ed il sequestro dello stupefacente, G. aveva deciso di continuare l’attività di spaccio, per smaltire un determinato quantitativo di droga. L’esponente ritiene che nel caso sussista la prova del concorso di persone nel reato continuato e non della associazione. Sotto altro aspetto, la parte rileva che la collaborazione tra G. ed altri correi si protrasse per periodi limitati e secondo ruoli operativi non predeterminati;

ritiene pertanto che non sussista alcuna struttura criminale, nessun permanente vincolo associativo, nessuno scopo comune di commettere una serie indeterminata di delitti ed alcuna predisposizione dei mezzi occorrenti per la realizzazione del programma criminoso.

Con il secondo motivo, la parte deduce l’erronea applicazione della legge penale ed il vizio motivazionale, nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto la responsabilità del G. per i reati fine.

L’esponente ritiene che la Corte di Appello abbia in realtà valorizzato unicamente i risultati delle operazioni di intercettazione, in assenza degli elementi di riscontro pure indicati come necessari nella parte iniziale della sentenza.

5. Cr.Gi. ha dedotto la violazione di legge e la carenza di motivazione, nella parte in cui si è ritenuto il coinvolgimento dell’esponente nell’episodio di cui al capo 109 della rubrica. La parte rileva che il Collegio, dismettendo lo scrupolo motivazionale che caratterizza la pronuncia assolutoria adottata in relazione a residue imputazioni a carico del Cr., abbia immotivatamente escluso che nelle conversazioni intercettate i colloquianti abbiano fatto effettivo riferimento alla attività di commercio di veicoli, pure svolta dal deducente.

6. Ce.Da. ha dedotto il vizio motivazionale e la violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73.

La parte rileva di essere tossicodipendente, come pure la convivente Di.Ma.; e considera che le conversazioni intercettate, effettivamente intercorse con D.M., hanno ad oggetto l’approvvigionamento della sostanza stupefacente. L’esponente ritiene che la Corte territoriale immotivatamente abbia ritenuto lo scrivente responsabile di una cessione di droga a favore di terzi rimasti ignoti.

Con il secondo motivo, il ricorrente considera che pur avendo la Corte territoriale riconosciuto l’ipotesi di lieve entità, ha fissato la pena in misura superiore al minimo edittale, concesse le attenuanti generiche, in contrasto con il riconosciuto stato di tossicodipendenza.

7. C.M. ha dedotto il travisamento delle emergenze processuali ed il vizio motivazionale.

In relazione al ruolo di promotore ascritto all’esponente, rispetto alla associazione che fa capo al G., la parte reitera le ragioni di censure dedotte nei motivi di appello, rilevando l’insussistenza della partecipazione al reato associativo e ritenendo che la condotta posta in essere da C. integri, se del caso, una fattispecie concorsuale bilaterale circoscritta nel tempo.

Il ricorrente riporta il secondo motivo di appello, ove deduceva l’insussistenza dei reati contestati ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73; ove osservava che la fonte probatoria è costituita unicamente dagli esiti delle operazioni di intercettazione telefonica; e dove rilevava che le conversazioni intercettate non sono riferibili al deducente. Richiama pure il terzo motivo di appello, ove si doleva del mancato riconoscimento delle ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 6 e art. 73, comma 5, pure riconosciute ad altri coimputati; ed il quarto motivo di appello ove lamentava la mancata concessione delle attenuanti generiche, riteneva eccessivo il trattamento sanzionatorio applicato all’esponente e si era doluto anche della applicazione delle pene accessorie.

A margine del motivo di appello ora richiamato, il ricorrente deduce censure che involgono la decisione della Corte di Appello. Ritiene che la sentenza risulti censurabile in punto di diritto. Osserva che erroneamente il Collegio ha argomentato sulla base del fatto che C. sia amico di vecchia data di altri coimputati; e ribadisce di avere avuto in realtà rapporti con un solo imputato. Ritiene che la motivazione della sentenza impugnata risulta contraddittoria, nella individuazione degli elementi costitutivi del reato associativo. La parte contesta l’affermazione di penale responsabilità rispetto alle violazioni del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, rilevando che il contenuto delle conversazioni intercettate è rimasto privo di riscontri in relazione alla posizione del C..

8. Ro.Al. con il primo motivo denuncia la violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, rilevando che dagli atti di indagine non emerge alcun elemento utile dal quale desumere la responsabilità del Ro. rispetto al reato di cui al capo 87 della rubrica. La parte osserva che l’acquisto di dosi non piccole di cocaina da parte dell’imputato non induce a ritenere che Ro. abbia poi utilizzato tali dosi a fini di cessione a terzi.

E rileva che il solo dato ponderale relativo allo stupefacente detenuto, salvo il caso in cui tale elemento giustifichi di per sè la destinazione allo spaccio, non consente di affermare la detenzione illecita dello stupefacente, alla luce del novellato disposto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73,.

L’esponente ammette di avere acquistato la sostanza stupefacente, ma solo per uso personale. Osserva che la Corte territoriale ha errato nel ritenere che la possibilità concessa dal G. al Ro., di effettuare acquisti di droga a credito, dimostri il coinvolgimento di Ro. nella attività di spaccio; e rileva che del pari erroneamente la Corte di merito ha ritenuto che i quantitativi di sostanza ceduta a credito fossero quantificabili in ordine ai 20 o 25 grammi per volta. La parte considera poi che il fatto che Ro. si fosse lamentato con G. della scarsa qualità della cocaina, e della necessità di doverla mischiare, non indica che Ro. svolgesse attività di spaccio al minuto, ma solo che il prevenuto, in quanto tossicodipendente, faceva attenzione alla qualità dello stupefacente che acquistava.

Il ricorrente osserva che gli episodi in addebito sono temporalmente circoscritti e che dopo tali episodi Ro. venne ricoverato per abuso di sostanze stupefacenti. Osserva che le perquisizioni hanno dato esito negativo. Ritiene che la Corte di Appello abbia frainteso il contenuto delle conversazioni telefoniche intercorse tra Ro. e G., in realtà neppure esaminato.

Con il secondo motivo la parte deduce il vizio motivazionale della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), nella parte in cui si è ritenuta la responsabilità del Ro., in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, sulla base delle telefonate intercettate.

Il ricorrente ribadisce di avere effettuato acquisti per uso personale e rileva che la Corte di Appello ha meramente supposto che la droga acquistata dall’imputato fosse destinata allo spaccio.

Osserva che non risultano contatti tra Ro. e terzi possibili acquirenti; e che Ro. è stato assolto dal reato di cui al capo 98, imputazione, relativo alla cessione di cocaina a soggetto determinato. L’esponente sottolinea che è onere dell’accusa provare la destinazione allo spaccio della droga che la parte assume di detenere ad uso personale. Denuncia la mancata specificazione dei criteri di valutazione della prova Indiziaria da parte della Corte di merito.

Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge, in relazione al mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

Rileva che, anche ritenendo che Ro. avesse maneggiato ingenti quantitativi di sostanza stupefacente, la complessiva valutazione di tutte le circostanze del caso di specie, imponeva il riconoscimento dell’attenuante; ciò in quanto Ro. è soggetto tossicodipendente e l’attività illecita risulta discontinua, non professionale e non organizzata.

9. Ci.Ma. ha dedotto con il primo motivo l’erronea applicazione della legge penale e la carenza di motivazione, in relazione alla ritenuta sussistenza del reato associativo di cui al capo 17 dell’imputazione.

Ritiene la parte che la Corte di Appello, dopo avere indicato gli elementi costitutivi del reato associativo, ha omesso di indicare concretamente la prova della loro ricorrenza nel caso di specie.

Osserva che i giudici di merito hanno ritenuto provata la partecipazione del Ci. alla associazione – quale depositario della droga e contabile della consorteria – sulla base di una sola conversazione tra presenti intercettata; e rileva che la presenza dell’imputato risulta sporadica e che Ci. era estraneo alla gran parte dei reati fine contestati.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio motivazionale in riferimento alla mancata assoluzione per tutti i reati fine. Ritiene che la Corte territoriale abbia argomentato unicamente sulla base del contenuto delle conversazioni intercettate. In relazione al capo n. 31) della rubrica, la parte assume che risulti non conferente il riferimento alla conversazione n. 619, effettuato dal Collegio, atteso che tale stralcio non è sufficiente a provare la conoscenza da parte dell’imputato degli eventuali accordi intercorsi tra G. e An..

Con riferimento al fatto di cui al capo 35) della rubrica, la parte deduce la carenza di prova, in ordine alla identificazione dell’imputato come uno dei soggetti coinvolti nella conversazione tra presenti, unitamente al G., valorizzata in chiave accusatoria; considera inoltre che i colloquianti, nel caso di specie, neppure sembrano trovarsi d’accordo sul quantitativo di stupefacente ceduto.

Rilievi del medesimo tenore vengono svolti in relazione al fatto di cui al capo 38) della rubrica; l’esponente osserva che la mera presenza del Ci. nelle vicinanza del luogo ove avvenne un incontro tra G. e Z. non risulta sufficiente a fondare la prova di responsabilità; tenuto anche conto del tenore delle conversazioni di poi captate all’interno dell’auto del G., dalle quali emerge l’estraneità dell’imputato dalla successiva commercializzazione della sostanza.

Il ricorrente deduce la carenza motivazionale della sentenza impugnata anche in relazione alla affermazione di responsabilità del Ci. in ordine al fatto di cui al capo 90) della rubrica, atteso che la posizione dell’imputato viene acriticamente ricollegata alle attività poste in essere dal G..

Con il terzo motivo il ricorrente deduce il vizio motivazionale, in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante della minima partecipazione. Al riguardo, osserva che la presenza del Ci. nell’attività del sodalizio criminoso risulta frammentaria e sporadica, senza l’assunzione di un ruolo meglio definito.

10. Di.Ma.Em., con unico motivo, ha dedotto il vizio motivazionale, rispetto alla mancata assoluzione del Di.Ma. dai reati di cui al capo 117) della rubrica. L’esponente rileva che la Corte territoriale ha ricavato la presenza di elementi indiziari a carico del Di.Ma. sulla base del contenuto delle conversazioni telefoniche intercettate, in totale assenza di riscontri obiettivi e certi, quali sequestri di sostanza stupefacente, del tutto mancanti nel compendio investigativo a carico del Di.Ma.. Il ricorrente osserva che il tenore della conversazione intercorsa con G. non consente di ritenere che Di.Ma. abbia in realtà concluso una trattativa, avente oggetto illecito, con il G. medesimo.

11. M.M. ha dedotto, con unico motivo, la violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, e la illogicità della motivazione.

La parte, dopo avere richiamato il contenuto dei motivi di appello – con i quali aveva rilevato: l’insussistenza degli elementi strutturali del reato associativo; l’insussistenza dei reati fine, contestati ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, ai capi 38, 55, 60, 66, 75, 86 e 93; e si era doluto del mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 416 cod. pen. ed il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, e del trattamento sanzionatorio – rileva che la Corte di Appello ha confermato l’affermazione di responsabilità penale del M. per il reato associativo, sulla base di una conversazione intercorsa con il G., nel corso della quale quest’ultimo dichiarava di temere di essere arrestato. L’esponente ritiene che la Corte territoriale, così argomentando, abbia disatteso gli stessi criteri di valutazione della prova indicati nella parte iniziale della sentenza. E ritiene che il Collegio abbia proceduto alla ricostruzione dei fatti intermini meramente possibilistici.

12. S.D. con il primo motivo deduce la manifesta illogicità della motivazione e l’erronea applicazione della legge penale. La parte considera che la Corte territoriale non abbia risolto il nodo derivante dalla mancata presenza in Roma del S., la sera in cui D.M. avrebbe consegnato lo stupefacente al prevenuto; e rileva che il Collegio si è limitato a richiamare il dato relativo alla voce di sottofondo percepita dagli inquirenti. L’esponente contesta che il predetto colloquiante sia da identificare nel S.. Il ricorrente considera che per tutta la giornata del (OMISSIS) non risulta l’attivazione di celle telefoniche; e che il contenuto delle conversazioni intercorse tra D.M. da un lato, e G. e P. dall’altro, pure valorizzato dalla Corte di Appello, non risulta conducente, rispetto alla posizione del S..

Il ricorrente denuncia, poi, la carenza della motivazione della sentenza impugnata, laddove la Corte di Appello ha ritenuto che la sostanza stupefacente di cui si tratta possa essere identificata in cocaina, anzichè in hashish. Osserva che trattasi di questione di certo rilievo, in considerazione del quadro normativo vigente al tempo di commissione del reato, in base al quale il trattamento sanzionatorio risultava diversificato in considerazione della natura della sostanza stupefacente. E rileva che neppure risulta identificato il valore della sostanza oggetto di compravendita (atteso che i colloquianti fanno riferimento ad una quarantina di capre).

Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’apparenza della motivazione, rispetto al trattamento sanzionatorio; ciò in quanto la Corte di Appello si sarebbe limitata a confermare le statuizioni del primo giudice. L’esponente lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche, pure a fronte dello stato di incensuratezza del S. al momento del fatto per cui si procede; osserva che la Corte territoriale ha considerato un ulteriore reato, risultante dal certificato penale, commesso a distanza di un anno.

Motivi della decisione

13. I ricorsi sono infondati per le ragioni di seguito esposte.

13.1 Si osserva che il tema della conducenza del quadro probatorio basato sugli esiti delle operazioni di intercettazione, come pure quello afferente all’apprezzamento compiuto dai giudici di merito, circa le condizioni necessarie per ritenere la sussistenza del reato associativo, di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, risultano comuni a molti ricorsi. Si procede, pertanto, alla trattazione congiunta di tali punti della decisione.

13.2 La Corte territoriale ha preliminarmente osservato che il pubblico ministero aveva ravvisato l’esistenza di due distinte associazioni a delinquere a fine di spaccio di sostanze stupefacenti, facenti capo rispettivamente a D.M.F. e G. M.; ed ha rilevato che per l’individuazione dei colloquianti il Tribunale non aveva ritenuto necessario disporre perizia fonica, tenuto conto del fatto che gli imputati solevano utilizzare utenze a loro intestate e considerato che gli indagati erano noti alla Polizia giudiziaria operante, la quale aveva pure svolto servizi di osservazione.

Con riferimento ai criteri utilizzati dal Tribunale nell’apprezzamento del compendio probatorio, la Corte di Appello ha quindi evidenziato che il primo giudice aveva ritenuto gli esiti della attività di captazione, quale fonte diretta di prova della responsabilità, nei casi in cui detti elementi erano risultati:

a) gravi, cioè attendibili e consistenti; b) precisi, cioè non generici ovvero suscettibili di diverse interpretazioni; c) concordanti, cioè a dire non contrastanti tra loro o con altri elementi di prova.

13.3 Ciò premesso, soffermandosi sui motivi di gravame, la Corte territoriale ha considerato che gli appellanti contestano la valenza probatoria degli elementi raccolti; ciò in quanto i deducenti ritengono che il contenuto delle conversazioni intercettate sia rimasto privo di elementi di riscontro, stante la mancanza di sequestri della sostanza stupefacente che si assume oggetto del traffico illecito.

Al riguardo, il Collegio ha rilevato che in quasi tutti i motivi di impugnazione si contesta: che l’impiego di termini quali "documenti", "macchine", "maglie", "pantaloni" utilizzati dai colloquianti fosse volto a dissimulare il riferimento alla sostanza stupefacente; che non è provato che la sostanza stupefacente fosse cocaina, rientrante tra le droghe pesanti, secondo il testo normativo applicabile ai fatti per i quali si procede, anteriori all’entrata in vigore della L. 21 febbraio 2006, n. 49, che ha equiparato il trattamento sanzionatorio delle diverse sostanze; che non è provato il dato ponderale oggetto delle supposte trattative illecite.

Orbene, nel censire i predetti motivi di gravame, la Corte di Appello ha del tutto conferentemente rilevato che, in realtà, alcuni sequestri di sostanza stupefacente erano stati eseguiti e che tali evenienze dimostravano la validità dell’ipotesi investigativa. Oltre a ciò, la Corte di merito ha rilevato – svilupparlo un analitico percorso argomentativo immune da censure rilevabili in questa sede di legittimità – che le espressioni quali "roba", "crema", "fumo", "cioccolata", "manna", sovente utilizzate nelle conversazioni tra presenti svoltesi all’interno della autovettura di G. M., conversazioni nel corso delle quali venivano effettuati conteggi e riferimenti ai prezzi, erano da riferire certamente al traffico di stupefacenti. E la Corte territoriale ha pure chiarito che, in taluni frangenti, il riferimento a sostantivi come "macchine", "documenti", "maglie" non necessariamente sottintendeva una attività illecita, di talchè si rendeva necessario un attento esame del compendio indiziario.

La Corte di Appello ha evidenziato che il riferimento presente in numerose conversazioni a nomi femminili ( E., An., d., L.) era utilizzato dai colloquianti per indicare il dato ponderale della partita di cocaina, secondo il seguente paradigma: ad ogni lettera dell’alfabeto corrisponde un quantitativo pari a dieci grammi, di talchè – esemplificando – l’uso del nome " d.", che ha per iniziale la quarta lettera dell’alfabeto, indica un quantitativo pari a 40 grammi.

Il Collegio ha rilevato che la chiave interpretativa del predetto espediente lessicale era emersa a seguito dell’arresto del D. P., il quale deteneva al momento del controllo cento grammi di cocaina; ciò in quanto, nelle conversazioni che precedono l’arresto, G.M. aveva promesso a D.P. (capo 67) di farlo uscire con tale " L.", nome femminile che inizia con la decima lettera dell’alfabeto, corrispondente alla indicazione di grammi cento, secondo la tabella sopra richiamata. La Corte ha inoltre rilevato che anche in relazione alla cessione di 40 grammi di cocaina effettuata dal G. a Ro.Al. (capo 83), il cedente aveva fatto riferimento ad un incontro con tale " d.";

ed ha considerato che nelle conversazioni che avevano preceduto l’arresto dei fratelli Al., in quanto trovati in possesso di 200 grammi di cocaina, G. aveva utilizzato termini come "documenti", "macchina" e nomi femminili, a dimostrazione del fatto che detti vocaboli rientravano nel linguaggio convenzionale utilizzato dai trafficanti di droga, odierni imputati.

13.4 Con riferimento al reato associativo, la Corte di Appello ha rilevato che gli elementi costitutivi di tale fattispecie consistono:

nel pactum sceleris, tra almeno tre persone; nella adozione di un programma criminoso avente ad oggetto la realizzazione nel tempo di una serie indeterminata di delitti tra quelli previsti dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73; e nella esistenza di una struttura organizzativa, anche minima e rudimentale. Ed ha considerato che l’elemento soggettivo è costituito dal dolo specifico, inteso come consapevolezza di partecipare attivamente con il proprio ruolo al sodalizio criminoso.

Si evidenzia che le valutazioni effettuate dalla Corte di Appello si collocano nell’alveo tracciato, in materia, dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione. Ed invero, al fine della configurabilità di un’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico la Corte regolatrice ha chiarito che è necessaria la presenza di tre elementi fondamentali: a) l’esistenza di un gruppo, i membri del quale siano aggregati consapevolmente per il compimento di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti; b) l’organizzazione di attività personali e di beni economici per il perseguimento del fine illecito comune, con l’assunzione dell’impegno di apportarli anche in futuro per attuare il piano permanente criminoso; c) sotto il profilo soggettivo, l’apporto individuale apprezzabile e non episodico di almeno tre associati, che integri un contributo alla stabilità dell’unione illecita (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10758 del 18.02.2009, dep. 11.03.2009, Rv. 242897).

14. Tanto chiarito, è dato ora soffermarsi sui singoli ricorsi, con esclusivo riferimento ai motivi specificamente dedotti da ogni esponente.

15. In relazione alla posizione di D.M.F. si osserva che la Corte di Appello ha diffusamente illustrato le ragioni in base alle quali ha logicamente ritenuto che l’oggetto delle conversazioni intercettate sia da individuare nel traffico di sostanza stupefacente – e non nel commercio di autovetture – segnatamente di tipo cocaina;

al riguardo, la Corte territoriale ha decriptato i termini utilizzati dai colloquianti valorizzando l’oggetto dei sequestri di sostanza stupefacente effettuati nel corso delle indagini e contestualizzando l’attività svolta dagli indagati. Si richiama, sul punto, l’osservazione critica svolta dalla Corte di Appello a pagina 26 della sentenza impugnata, ove il Collegio ha evidenziato che gli indagati perfezionano uno scambio intorno alla mezzanotte ed adottano cautele, invero, non comprensibili, ove dovesse individuarsi l’oggetto delle cessione in un autoveicolo. Con riferimento al trattamento sanzionatorio, si osserva poi che la Corte territoriale ha tenuto conto dei numerosi e specifici precedenti penali del D. M..

16. In relazione al ricorso proposto nell’Interesse del D.P., richiamate le considerazioni sopra svolte in ordine al conferente apprezzamento del materiale probatorio effettuato dai giudici di merito, si osserva che la Corte di Appello, nel rideterminare il trattamento sanzionatorio, ha considerato i "non particolarmente gravi precedenti penali" dell’imputato, riducendo la pena originariamente inflitta.

17. Con riferimento al ricorso proposto da G.M., si osserva quanto segue. La Corte di Appello evidenzia la stabilità del programma criminoso posto in essere da G. e dai suoi collaboratori e sottolinea il ruolo di capo svolto dal predetto nell’ambito della associazione criminosa. Al riguardo, il Collegio evidenzia che in svariate conversazioni intercettate G. emerge come il protagonista indiscusso del traffico illecito, in grado di procurare la sostanza stupefacente, di tenere contatti con i clienti e di organizzare le singole consegne. Sul punto, viene in particolare rilievo la conversazione tra presenti intercorsa tra G. e M., in data 13 aprile 2005 (all. 630) all’indomani dell’arresto di A., nel corso della quale G. chiarisce che intende sospendere per almeno un mese l’attività di spaccio. Si evidenzia, poi, che il secondo motivo di ricorso, con il quale la parte contesta l’affermazione di penale responsabilità in ordine ai reati fine, si colloca ai limiti della inammissibilità, risolvendosi nella generica prospettazione alternativa delle emergenze probatorie.

18. Anche il ricorso proposto da Cr.Gi. si pone ai limiti della inammissibilità, atteso che l’esponente si limita prospettare generiche censure che riguardano il compiuto apprezzamento del compendio probatorio, in relazione al capo 109 della rubrica, da parte della Corte di Appello.

19. In riferimento alla posizione di Ce.Da., il dedotto vizio motivazionale certamente non sussiste. Preme evidenziare che la Corte di Appello ha chiarito che l’imputato, tossicodipendente, si è reso responsabile di una attività di "piccolo spaccio al minuto", evidenziando che parte della sostanza stupefacente acquistata dal Ce. era destinata ad uso personale. Sulla scorta di tali rilievi, concesse le attenuanti generiche, oltre all’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, già riconosciuta in primo grado, la Corte territoriale ha rideterminato il trattamento sanzionatorio.

20. Nell’evidenziare che C.M. è uno dei più stretti collaboratori del G., la Corte di Appello ha del tutto legittimamente considerato che per la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato associativo è richiesta la consapevolezza e la volontà di far parte dell’organizzazione, condividendone le finalità e manifestando l’adesione ad essa con un contributo finalizzato al perseguimento dei suoi scopi. Sul punto, il Collegio ha rilevato che C. collaborava con continuità con il G. e che ciò dimostrava che il prevenuto era perfettamente a conoscenza del fatto che G., per gestire un così imponente traffico illecito, si trovava a capo di un sodalizio criminoso, dotato di una stabile struttura; il Collegio ha quindi ritenuto che del sodalizio facesse parte lo stesso C., pure ammettendo che il predetto non conoscesse personalmente tutti gli altri sodali.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

21. In riferimento alla posizione di Ro.Al., si osserva che la Corte di Appello ha tenuto conto dello stato di tossicodipendenza del prevenuto; e che non di meno ha apprezzato la sussistenza di un quadro probatorio indicativo del coinvolgimento del Ro. nella attività di cessione a terzi della sostanza stupefacente, dovendosi escludere che la droga acquistata da Ro. fosse esclusivamente destinata ad uso personale. Ciò in quanto è emerso che Ro. effettuava frequenti e reiterati acquisti a credito da G. e provvedeva a tagliare la cocaina ricevuta con altre sostanze, prima di immetterla sul mercato. Sulla scorta di tali rilievi, la Corte ha negato il riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, secondo un percorso argomentativo immune da censure rilevabili in questa sede di legittimità. 22. Richiamate le considerazioni sopra svolte in ordine alla conferenza dei criteri di apprezzamento del materiale probatorio adottati dalla Corte di Appello, anche in relazione alla sussistenza del reato associativo, si osserva che la Corte di merito del tutto legittimamente ha ritenuto provato il ruolo di Ci.Ma. quale "contabile" della associazione capitanata dal G.. Per quanto concerne i reati fine, si osserva che del pari immune da censure si palesa il percorso argomentativo sviluppato dal Collegio;

la Corte territoriale ha, infatti, contestualizzato la presenza del Ci. nel momento delle cessioni dello stupefacente effettuate da G., evidenziando che la presenza dell’esponente in tale frangente si giustificava solo in considerazione dei rapporti intercorrenti tra Ci. e G..

23. Il ricorso proposto da Di.Ma.Em., risolvendosi in una interpretazione alternativa del contenuto delle conversazioni intercettate, si pone al limite della inammissibilità. Al riguardo, si osserva che la Corte di Appello ha chiarito che il quadro indiziario ha evidenziato che G. svolgeva attività di spaccio anche nel settore delle droghe leggere; e che in tale ambito è emerso il ruolo del Di.Ma., come acquirente di hashish, non destinato esclusivamente ad uso personale, nei termini indicati al capo n. 117 della rubrica.

24. Il ricorso proposto da M.M. è destituito di fondamento. Con riferimento al reato associativo si osserva, come sopra già evidenziato nel censire i motivi di doglianza proposti dal G., che la Corte territoriale ha valorizzato il contenuto della conversazione tra presenti captata il 13 aprile 2005 (ali.

630), nel corso della quale è emerso il ruolo di capo dell’associazione criminosa svolto da G.. Orbene, il fatto che G. comunicasse le proprie intenzioni sul traffico degli stupefacenti proprio al M., nell’ambito della conversazione ora richiamata, è stato altresì considerato dalla Corte di Appello, quale fattore idoneo a lumeggiare il ruolo di sodale svolto dal M., all’interno della associazione criminosa. Del pari immune da censure risulta il percorso argomentativo svolto dalla Corte territoriale, in relazione alla riferibilità al ricorrente dei reati fine; il Collegio ha evidenziato che M. partecipa attivamente agli acquisti di cocaina effettuati da G., interessandosi al prezzo corrisposto e collaborando per la pesatura della partita.

25. Destituito di fondamento risulta il ricorso proposto da S.D.. Richiamate anche in questo caso le considerazioni già svolte in relazione al compiuto apprezzamento, da parte dei giudici di merito, degli elementi di prova indicativi della sussistenza del reato associativo e come pure in ordine all’accertamento della natura della sostanza stupefacente oggetto del traffico illecito, si osserva che la Corte di Appello del tutto legittimamente ha ritenuto la responsabilità del prevenuto in relazione alla cessione di cui al capo n. 3 della rubrica. Occorre al riguardo considerare che la Corte territoriale ha effettuato una complessiva valutazione dei rapporti intercorrenti tra D.M. e F. da un lato e S. dall’altro, quale fornitore napoletano delle stupefacente; e, sulla scorta di tali rilievi, ha ritenuto provata la presenza in (OMISSIS) del S., in data (OMISSIS), al momento dello scambio della droga. Si osserva, inoltre, che il Collegio ha evidenziato: che era emerso che gli investigatori avevano udito un interlocutore, durante le concitate conversazioni con il G., esprimersi in dialetto napoletano; e che tale soggetto doveva certamente identificarsi con il S., in relazione al complessivo contesto in cui l’azione si era svolta.

26. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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