Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 20-10-2011) 01-12-2011, n. 44651 Circostanze del reato Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

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Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza resa in data 2.03.2011, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Latina del 26.03.2010, assolveva P.F. dai reati di cui ai capi A) e D) della rubrica, per insussistenza dei fatti; rideterminava la pena, in ordine al reato di cui al capo B), in anni sei di reclusione ed _ 26.000 di multa e confermava nel resto.

La Corte di Appello rilevava che meritava accoglimento il gravame proposto dall’imputato in ordine alla affermazione di responsabilità circa i reati di cui ai capi A) e D); osservava il Collegio che restava assorbita ogni questione in ordine alla revocata ammissione del teste P.D., testimone che avrebbe dovuto deporre su circostanze relative alla fabbricazione della droga e dell’esplosivo, condotte contestate, rispettivamente, ai capi A) e D) della rubrica.

2. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione P.F., a mezzo del difensore, lamentando, con il primo motivo, la mancata assunzione di prova decisiva. La parte osserva che la prova di che trattasi era stata ammessa dal Tribunale, che l’ordinanza ammissiva era stata di poi revocata e che nell’atto di appello era stata reiterata la richiesta di assunzione di P.D., fratello dell’imputato.

Il ricorrente osserva che la Corte territoriale si è limitata a ritenere che la questione fosse assorbita per effetto della intervenuta assoluzione del prevenuto dai reati ascrittigli ai capi A) e D); sul punto, la parte rileva che il teste avrebbe potuto deporre anche sulla cessione della sostanza e sulle condizioni fisiche dei cessionari D.M. e Pa., prima dell’incontro con l’odierno imputato. Osserva il deducente che il motivo di ricorso in oggetto impone alla Suprema Corte di fare riferimento all’imputazione, confrontando l’ipotesi ricostruttiva del fatto in essa contenuta ed il tema della prova richiesta ex art. 495 c.p.p., comma 2, e non ammessa, al fine di valutare se la prova risultasse decisiva.

La parte osserva che il Tribunale di Latina aveva revocato l’ordinanza ammissiva, ritenendo che il teste, fratello dell’imputato, si sarebbe avvalso della facoltà di non rispondere, non essendo comparso in udienza benchè ritualmente citato.

L’esponente censura la decisione assunta dalla Corte territoriale, rilevando che la negata prova per i capi A) e D), riverberi i suoi effetti anche sull’accertamento della cessione di sostanza stupefacente di cui al capo B). A sostegno dell’assunto la parte osserva che se l’imputato non aveva la possibilità di fabbricare la sostanza stupefacente, neppure avrebbe avuto la possibilità di cedere la sostanza ai quattro cessionari indicati nel capo di imputazione. E rileva che i quattro predetti testimoni hanno reso dichiarazioni non del tutto coerenti e concordanti tra loro; e che la deposizione di P.D. avrebbe permesso di pervenire ad una più corretta valutazione del fatto.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio motivazionale della sentenza impugnata; ciò in quanto la Corte territoriale, dopo avere mandato assolto l’imputato dalla imputazione di cui al capo A), ritenendo la mancanza di indizi in ordine alla fabbricazione della sostanza stupefacente denominata GHB, ha invece contraddittoriamente condannato il P. per la cessione della medesima sostanza ai minori Pa. e D.M.. Osserva la parte che al prevenuto è stata mossa la specifica accusa di avere prima fabbricato e poi ceduto la medesima sostanza.

Con il terzo motivo la parte lamenta il mancato riconoscimento dell’ipotesi di lieve entità, di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. Il ricorrente assume che la Corte di Appello non abbia tenuto conto della qualità e della modica quantità delle sostanze cedute come pure delle modalità e delle finalità della condotta criminosa, in ciò disattendendo l’insegnamento espresso dalla Suprema Corte in ordine alla applicabilità dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 73, comma 5 cit.

Il ricorrente osserva che nel caso di specie si trattò della cessione di un modico quantitativo di stupefacente a titolo gratuito;

e che l’imputato non era coinvolto in alcuna rete organizzativa volta allo spaccio di droga. Rileva che il prevenuto non annovera precedenti specifici. Con riferimento alle conseguenze della condotta criminosa, la parte considera che il ricovero in ospedale di D. M. e M. non possa considerarsi riconducibile unicamente alla asserita cessione, atteso che i due ebbero anche ad abusare di sostanze alcoliche.

Con il quarto motivo la parte deduce il vizio motivazionale, laddove la Corte territoriale non ha riconosciuto il vizio parziale di mente del P.. Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 89, cod. pen. assumendo che l’imputato, all’epoca del fatto, fosse affetto da disturbo multiplo della personalità, incidente sulla capacità di volere nella misura compresa tra il 15 ed il 20%.

L’esponente rileva che la Corte ha richiamato le conclusioni rassegnate dal perito; e considera che la norma penale non pone un limite quantitativo alla diminuzione della capacità di intendere.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito esposte.

3.1 Il primo motivo è infondato.

Giova primieramente rilevare che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito la nozione di "prova decisiva", rilevante, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d); invero, la prova può ritenersi decisiva solo quando risulti idonea a superare contrasti e conseguenti dubbi emergenti dall’acquisito quadro probatorio, oppure nel caso in cui sia atta di per sè ad inficiare l’efficacia dimostrativa di altra o altre prove di sicuro segno contrario: e che tale non è quella abbisognevole di comparazione – quale la prova contraria – con gli elementi già acquisiti, non per negarne l’efficacia dimostrativa, bensì per comportarne un confronto dialettico al fine di effettuare una ulteriore valutazione per quanto oggetto del giudizio (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 17050 in data 11.04.2006, dep. 18.05.2006, Rv. 233729).

Applicando le richiamate coordinate interpretative alla presente fattispecie, non può dunque ritenersi decisiva l’escussione di un soggetto il quale, come dedotto dalla difesa nell’atto di appello, avrebbe dovuto riferire semplicemente sulla asserita installazione nel garage della abitazione dei P. di un laboratorio per sintetizzare la droga o per produrre esplosivo, posto mente al fatto che l’imputato P.F. è stato assolto dal reato di cui al capo A), concernente la fabbricazione dello stupefacente e da quello di cui al capo D), riguardante la fabbricazione di esplosivo.

La valutazione effettuata dalla Corte di Appello, che ha escluso la necessità di procedere all’esame del fratello dell’imputato, si palesa, pertanto, legittima e congruamente motivata.

Si osserva che nessuna rilevanza assume il fatto che il Tribunale avesse fatto riferimento alla facoltà di astensione del teste P.D., in quanto fratello dell’imputato: pur riconoscendosi che il giudizio sull’ammissione o sulla revoca di una prova non può dipendere da previsioni sull’effettivo risultato dell’esperimento, va considerato che ciò che in realtà incide è esclusivamente la correttezza della soluzione adottata; e nel caso il Tribunale ebbe a chiarire, nell’ ordinanza del 26.03.2010 di revoca del testimone P.D., che l’escussione del teste non risultava altrimenti necessaria, poichè il processo era sufficientemente istruito. Al riguardo, è appena il caso di rilevare che la giurisprudenza di legittimità ha pure chiarito che il giudice, del tutto legittimamente, può disporre che non si proceda all’escussione dei testimoni già ammessi, qualora l’esperimento del mezzo di prova risulti ormai superfluo rispetto alle già acquisite emergenze. Ciò in quanto il diritto dell’imputato alla prova deve essere coordinato con il potere attribuito al giudice dall’art. 495 c.p.p., comma 4, potere "che è molto più ampio di quello riconosciuto al medesimo giudice all’inizio del dibattimento, in sede di ammissione delle prove (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 13792 del 06.10.1999, dep. 01.12.1999, Rv. 215281).

3.2 Tanto chiarito, si procede all’esame del secondo motivo di ricorso.

La parte assume che la Corte territoriale, contraddittoriamente, dopo avere mandato assolto il P. dalla imputazione di cui al capo A), stante la mancanza di indizi in ordine alla fabbricazione della sostanza stupefacente, abbia di poi condannato il prevenuto per la cessione a terzi della medesima sostanza.

L’assunto non può essere condiviso, alla luce del reale contenuto delle contestazioni elevate al P..

Deve, sul punto, evidenziarsi che il termine sostanziale di riferimento della contestazione di cui al capo B) involge la condotta di cessione dello stupefacente ai minori D.M. e P.; e che, in tale contesto fattuale, del tutto irrilevanti risultano le modalità di impossessamento dello stupefacente, da parte del cedente. Pertanto, l’intervenuta assoluzione del prevenuto dalla imputazione relativa alla fabbricazione dello stupefacente non determina alcun effetto caducatorio rispetto alla condotta di cui al capo B), condotta che involge la cessione, e successiva assunzione da parte dei minorenni, di sostanza stupefacente della natura indicata al capo A). La dedotta contraddittorietà della motivazione risulta, pertanto, insussistente.

Si rileva che la Corte di Appello ha ritenuto provata la penale responsabilità dell’imputato in ordine alla contestata cessione di sostanza stupefacente, in ragione delle concordi deposizioni rese dai cessionari e della documentazione sanitaria acquisita agli atti, dimostrativa del fatto che due del cessionari avevano manifestato gli effetti tipici derivanti dalla assunzione dello stupefacente di che trattasi. Ed invero, i giudici di merito hanno chiarito, nell’apprezzare il compendio probatorio, che i testi D.M., F. e C. avevano riferito di avere incontrato P. F. al pub; e che fu F. a cedere loro la sostanza stupefacente, di poi assunta per via orale.

3.3 Il terzo motivo di ricorso risulta infondato.

Si osserva che il Collegio ha rilevato che risultava accertata sia l’intervenuta cessione di sostanza stupefacente nei confronti dei soggetti minorenni sia la gravità delle conseguenze determinate da tale assunzione ed ha condiviso la valutazione effettuata dal primo giudice, il quale aveva escluso l’applicabilità dell’ipotesi attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, sulla base di plurimi profili di gravità oggettiva e soggettiva del fatto e delle sue conseguenze concrete.

Trattasi di apprezzamento che si colloca nell’alveo tracciato dalla giurisprudenza di legittimità; ed invero la Suprema Corte ha chiarito che "in tema di sostanze stupefacenti, ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza attenuante del fatto di lieve entità, il giudice è tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa):

dovendo, conseguentemente, escludere la concedibilità dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di "lieve entità". E in tale contesto valutativo, ove la quantità di sostanza stupefacente si riveli considerevole, la circostanza è di per sè sintomo sicuro di una notevole potenzialità offensiva del fatto e di diffusibilità della condotta di spaccio" (Cass. Sez. 4, sentenza n. 4948 del 22.01.2010, dep. 4.02.2010, Rv. 246649). La Corte territoriale ha poi escluso di potere valutare in rapporto di prevalenza le già concesse attenuanti generiche, ed ha applicato il minimo della pena.

3.4 Il quarto motivo è del pari infondato.

Null’altro che rilevare, al riguardo, che la Corte di Appello di Roma, nel condividere la valutazione effettuata dal Tribunale di Latina – che aveva evidenziato che il disagio psichico dell’imputato, inidoneo ad incidere sulla imputabilità, giustificava il riconoscimento delle attenuanti generiche – ha del tutto conferentemente ritenuto che alla luce delle conclusioni rassegnate dal perito nominato, all’esito della valutazione clinica dell’imputato, doveva certamente escludersi la ricorrenza del vizio parziale di mente del P..

4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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