Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 20-06-2012, n. 10130 Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Copin s.p.a. ricorre contro i sigg.ri L.G., R. e D.R.G.T. e nei confronti dei Presidente della Giunta della Regione Campania p.t., Commissario Straordinario del Governo L. n. 887 del 1984, ex art. 11, comma 18, per ottenere la cassazione della sentenza della Giunta Speciale per le Espropriazioni (GSE), presso la Corte di Appello di Napoli, sulla base di due motivi.

La ricorrente società, concessionaria della Regione Campania per la realizzazione di un programma di adeguamento del sistema di trasporto intermodale nelle zone interessate dal fenomeno del bradisismo, lamenta di essere stata condannata al pagamento di indennità di esproprio ed occupazione – in favore degli odierni intimati, proprietari degli immobili interessati dal provvedimento ablativo – maggiori di quelle spettanti, perchè liquidate in base a criteri errati (1 motivo) e ad un errore nella determinazione del termine finale della occupazione (2 motivo).

Le parti intimate resistono con controricorso.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente, va dichiarata la inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Presidente della Giunta della Regione Campania p.t., notificato "per mera scienza", come si legge nel relativo verbale di notificazione. La GSE ha estromesso dal giudizio il Presidente della Giunta per difetto di legittimazione passiva e la società ricorrente non censura in alcun modo tale ratto decidendi.

Segue la condanna alle spese, della parte ricorrente a favore della parte vittoriosa, liquidate come da dispositivo (causa di valore indeterminabile).

2. Nel merito, con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente denuncia la violazione:

a) dell’art. 101 (sulla soggezione dei giudici alla legge) e art. 136 (sulla cessazione dell’efficacia delle leggi dichiarate incostituzionali) della Costituzione e dell’art. 27 (modalità delle pronunce di accoglimento della Corte Costituzionale) della L. 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale);

b) della L. 14 marzo 1981, n. 219, artt. 80 e ss. (recante interventi a favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981), della L. n. 887 del 1984, artt. 80 e ss.

(Legge Finanziaria per il 1985, senza indicazione di specifiche disposizioni) e dell’ordinanza n. 31/1989 del Presidente della Giunta della Regione Campania.

La ricorrente censura la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui la GSE ha accolto la domanda dei proprietari, sigg.ri D.R., ritenendo che l’indennità di espropriazione debba essere determinata in base alla L. n. 244 del 2007, art. 2, commi 89 e 90 e quindi secondo il valore venale pieno del bene, così come sancito anche da questa Corte (Cass. 18844/2008) a seguito della intervenuta declaratoria di incostituzionalità della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, commi 1 e 7 bis (sentenze Corte Cost. nn. 348 e 349 del 2007).

La GSE, seguendo l’indirizzo di questa Corte (confermato anche con sent. 26634/2009), ha ritenuto che l’evoluzione del quadro normativo comporti la disapplicazione del "disposto della L. n. 219 del 1981, art. 80, che rinvia alla L. n. 2892 del 1885, art. 13, nella parte in cui, ai commi 3 e 4, fissa l’ammontare della indennità di espropriazione nella semisomma del valore venale dei beni e dei fitti coacervati o dell’imponibile catastale, con la conseguenza che l’indennità di espropriazione deve essere liquidata sulla base del valore venale dell’area".

3. Il motivo di ricorso è fondato.

La difesa della ricorrente osserva, correttamente, che la norma di rinvio alla L. n. 2892 del 1885, espressa dalla L. n. 219 del 1981, art. 80, non poteva essere "disapplicata", sic et simpliciter, dal giudice ordinario; semmai, poteva (e/o doveva) essere sottoposta al giudizio di legittimità costituzionale, utilizzando la specifica procedura incidentale di rimessione della questione al giudice delle leggi, ove fosse stata legittimamente sospettata di incostituzionalità. Nella specie, però, il presupposto del sospetto di illegittimità costituzionale è insussistente in considerazione della natura e della portata emergenziale della legislazione del 1980 e, quindi, la normativa in questione è stata disapplicata erroneamente, anche per ragioni di merito.

Dalla motivazione della sentenza 26634/2009 di queste SS.UU. (conf. a Cass. Sez. 1^, 18844/2008, contra 28431/2008), citata dalla GSE, si evince che la disapplicazione della normativa in questione si riferiva alla ritenuta impossibilità di assumere il vecchio criterio di computo a base non già di un contestato indennizzo di espropriazione, bensì della indennità virtuale sulla quale computare l’indennità di occupazione, che era il solo oggetto di contestazione.

Peraltro, secondo il più recente indirizzo di queste SS.UU. (sent.

2419/2011, che tiene conto del precedente del 2009, evidenziando però che quest’ultima decisione venne adottata per regolare la stima della indennità virtuale di costruzioni e non di aree), in fattispecie analoga a quella sub iudice, questa Corte ha sancito che "ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione relativa a terreni non edificabili siti nel comune di Napoli (nella specie, occupati per la realizzazione del programma di adeguamento del sistema di trasporto intermodale delle aree oggetto del fenomeno del bradisismo), il criterio stabilito dalla L. 15 gennaio 1885, n. 2892, art. 13 – che non da rilievo alla distinzione tra aree edificabili e non fabbricabili e che è espressamente richiamato dalla L. 14 maggio 1981, n. 219, art. 80 – continua ad applicarsi, anche dopo la declaratoria di illegittimità costituzionale della L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis di cui alla sentenza n. 348 del 2007 della Corte costituzionale. Alla luce di tale criterio, che è speciale e totalmente distinto da quelli del citato art. 5 bis, il riferimento al valore agricolo medio, introdotto per le aree non edificabili dalla L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16, non può sostituire quello al valore "venale" di cui al citato art. 13 della legge su Napoli; d’altra parte, il perdurare dell’applicazione di tale art. 13, che determina un indennizzo inferiore al valore venale effettivo, si giustifica in reiezione alla particolare natura, temporanea ed eccezionale, degli interventi di cui alla L. n. 219 del 1981 (nella specie volti a porre rimedio ad eventi bradisismici)".

I dubbi di incostituzionalità (esclusi in considerazione della particolare natura, temporanea ed eccezionale, degli interventi di cui alla L. n. 219 del 1981) sono stati affrontati e fugati con la sentenza di questa Corte, n. 5265/2008, secondo la quale "E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. 14 maggio 1981, n. 219, art. 80, sollevata per contrasto con l’art. 117 Cost., in relazione all’art. 1 del Primo Protocollo della CEDU, nella parte in cui prevede un criterio liquidatorio speciale non dissimile (per il profilo dello scostamento dal valore integrale del bene) da quello adottato, in via generale, dalle disposizioni del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis convertito, con modifiche, nella L. 8 agosto 1992, n. 359 e del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, commi 1 e 2, dichiarate incostituzionali con la sentenza della Corte cost. n. 348 del 2007 per contrasto con l’art. 1 Primo Protocollo CEDU, "come interpretato dalla Corte di Strasburgo", costituente "parametro integrativo dell’art. 117 Cost.", quanto all’ivi prescritto necessario (ragionevole) allineamento dell’indennizzo ai vaiore pieno di mercato del bene espropriato, considerato che secondo la stessa sentenza obiettivi legittimi di utilità pubblica come quelli perseguiti da misura di riforma economica o di giustizia sociale possono giustificare un indennizzo inferiore al valore di mercato effettivo, il che si verifica con la L. 14 maggio 1931, n. 219, avente natura speciale, temporanea ed eccezionale, in quanto volta a porre rimedio alle conseguenze degli eventi sismici del novembre 1980 e febbraio 1981, e non assumendo rilevanza il fatto che il D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, comma 1, come sostituito dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 89, preveda, in via generale, per le espropriazioni finalizzate ad attuare interventi di riforma economico-sociale, una riduzione (del 25%) più contenuta di quella consentita dalla L. del 1981, sia in ragione della specialità, temporaneità ed eccezionalità della legge stessa, sia perchè comunque, in linea di principio, l’avanzamento, nel prosieguo della legislazione, del livello di garanzia di un valore costituzionale non comporta l’illegittimità della normativa precedente attestata su un livello inferiore di tutela".

Ritiene il Collegio di dover dare continuità agli indirizzi citati, in assenza di valide ragioni per un mutamento di giurisprudenza, anche dopo l’avvento della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

4. Come è noto, l’art. 6, par. 1, del Trattato dell’Unione Europea (TUE), come modificato dal Trattato di Lisbona, in vigore da 1 dicembre 2009, "L’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati". In forza della clausola di equivalenza con la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sancita dall’art. 52, par. 3, della stessa Carta, è stata ipotizzata una "trattatizzazione" indiretta delle disposizioni CEDU, tutte le volte in cui vi sia corrispondenza tra i diritti tutelati da questa e i diritti previsti dalla Carta di Nizza. Pertanto, ravvisandosi una corrispondenza tra la previsione dell’art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione (così come inteso dalla Corte Europea nella sentenza 29 marzo 2006, nella Causa Scordino/Italia) e la previsione della giusta indennità nella ipotesi di perdita della proprietà per pubblico interesse, di cui all’art. 17 par. 1 della Carta di Nizza, ne deriverebbe la incompatibilità della normativa nazionale in questione con il parametro della "giusta indennità", intasa come totale ristoro, secondo le indicazioni fornite dalla Corte Europea, con la ulteriore conseguenza che il giudice nazionale ordinario dovrebbe procedere alla diretta disapplicazione della norma incompatibile.

Ritiene però il Collegio che non si possa non condividere il rilievo, formulato nelle decisioni nn. 80 e 303 del 2011 della Corte Costituzionale, in forza del quale l’applicabilità diretta della Carta di Nizza sia praticabile soltanto nelle ipotesi nelle quali la fattispecie sia disciplinata dai diritto Europeo e non già, totalmente, da norme nazionali prive di alcun legame con il diritto dell’Unione Europea. Nella specie, non è ravvisabile alcuna autonoma e compiuta "disciplina" da parte delle norme dell’U.E., limitate alla generica previsione, nell’art 17 par. 1 della Carta, del diritto alla percezione di una "giusta indennità" da parte del soggetto privato della proprietà per "causa di pubblico interesse". Si tratta infatti di una disposizione che non è espressiva del regolamento di una materia di interesse comunitario ed è priva di attitudine regoiatrice di situazioni indeterminate in quanto non inclusive di alcun criterio o parametro determinativo.

Pertanto, sulla base di tali considerazioni, la sentenza impugnata deve essere cassata, in accoglimento della censura della Copia s.p.a., con rinvio alla GSE per la rideterminazione delle indennità spettanti agli espropriati sulla base del parametro normativo indebitamente disapplicato.

5. Con il secondo motivo, viene denunciata la violazione degli artt. 22 bis (Occupazione d’urgenza preordinata all’espropriazione) e art. 23 (Contenuto ed effetti del decreto di esproprio) del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), anche sotto il profilo della omessa e/o apparente motivazione. La ricorrente sostiene che il giudice avrebbe condannato la società ricorrente al pagamento di una indennità non spettante. Si tratta di censura che riguarda un errore di fatto, che eventualmente avrebbe dovuto essere denunciato con istanza di revocazione e che, comunque, inteso come vizio di motivazione risulta carente del requisito dell’autosufficienza e, quindi, è inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

LA CORTE a) Dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Presidente p.t.. della Giunta della Regione Campania e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, liquidate nella misura di Euro duemilaseicento, di cui Euro duemila cinquecento per onorario, oltre le spese generali e gli accessori di legge;

b) accoglie il primo motivo del ricorso proposto nei confronti degli altri resistenti ( D.R.) e rigetta il secondo;

c) cassa la sentenza impugnata in relazione a quanto accolto e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità tra le parti residue, alla GSE presso la Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2012

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