Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 18-10-2011) 01-12-2011, n. 44673 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale del riesame di Cosenza in data 23 marzo 2011, decidendo in sede di rinvio, disposto solo per motivi processuali, rigettava il ricorso proposto ex art. 324 cod. proc. pen. avverso il decreto in data 11.5.2010 con il quale il GIP del Tribunale di Rossano, su richiesta del P.M. ad integrazione di un precedente provvedimento, aveva disposto il sequestro preventivo di un capannone esistente in (OMISSIS), gestito da R.G., nella qualità di legale rappresentante della CAR auto s.r.l., ubicato all’interno di una discarica abusiva di rifiuti speciali pericolosi, in particolare dedicata allo stoccaggio ed al deposito di carcasse di autovetture, alcune ancora provviste di targa, oltre a vario materiale ferroso proveniente da attività di demolizione.

La misura reale era confermata dal Tribunale sul rilievo che non poteva essere esclusa l’astratta configurabilità del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 192 ipotizzato dal P.M., attesa la natura dei rifiuti ed il loro accumulo, identici a quelli rinvenuti nell’area, anch’essa sequestrata, con il concreto rischio di un utilizzo strumentale del capannone rispetto all’attività di gestione della discarica, in considerazione della sussistenza del vincolo pertinenziale.

Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite difensore R.G., proponendo due motivi.

Con il primo motivo, denuncia la nullità del procedimento per la mancata indicazione dell’aula di udienza.

Con il secondo lamenta la violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 192 sostenendo l’insussistenza dell’ipotesi criminosa denunciata dal PM, sul rilievo che l’attività posta in essere dal R. è quella di recupero delle parti ancora commerciabili delle auto – che vengono riposte nel capannone in questione – con invio delle altre alla rottamazione, previo deposito temporaneo sulla piattaforma in attesa del ritiro da parte delle ditte di smaltimento dei rifiuti.

Si tratterebbe, pertanto, secondo la prospettazione difensiva di una semplice ipotesi di deposito temporaneo, in vista poi sia dell’inoltro degli elementi di rifiuto attraverso le ditte di smaltimento sia della vendita degli altri beni, come dimostrato dal loro rinvenimento su appositi scaffali funzionali all’attività commerciale. Si sostiene altresì la violazione del principio di proporzionalità della misura che aveva coinvolto anche la vendita di pezzi di ricambio nuovi.

Motivi della decisione

Il ricorso non ha fondamento.

Preliminarmente deve rilevarsi che la circostanza che nel decreto di citazione a giudizio non sia indicata la specifica aula di udienza non può essere produttivo di nullità dovendo la relativa prescrizione ritenersi limitata alla indicazione della sede dell’ufficio giudiziario, atteso che tale omissione non può costituire fattore di incertezza circa il luogo di comparizione, agevolmente individuabile usando la normale diligenza, soprattutto tenuto conto che, nel caso in esame non si tratta di un tribunale di grosse dimensioni (argomento in questo senso da Sez. 3, 7 aprile 2005, Basso ed altri, rv. 231988).

Ne segue che nessuna nullità può derivare dall’omessa specificazione dell’aula di udienza nell’avviso ricevuto dal prevenuto.

Ciò premesso, il Tribunale, con apprezzamento di fatto certamente incensurabile, ha ritenuto di confermare il provvedimento gravato, sull’assorbente rilievo della sussistenza del fumus del reato sub iudice apprezzato dal Gip in considerazione della presenza all’interno del capannone oggetto della richiesta di riesame di materiale identico a quello rinvenuto nell’area in sequestro qualificata come discarica, in considerazione della qualità considerevole di rifiuti e dello spazio occupato.

E’ evidente che il ragionamento sviluppato dal tribunale è esente da censure in questa sede.

Nè, qui, vertendosi in materia cautelare reale è possibile procedere ad alcun sindacato sulla motivazione, che implicherebbe tra l’altro accertamenti di fatto interclusi al giudice di legittimità.

Secondo il combinato disposto degli artt. 324, 325 e 355 cod. proc. pen., il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse dal giudice del riesame in tema di sequestro preventivo o probatorio è proponibile solo per violazione di legge, non anche per difetto o illogicità di motivazione.

Ne consegue che la censura che denunci la mancanza o l’illogicità della motivazione non è deducibile nel ricorso per cassazione in materia di misure cautelari reali, giacchè questo – a differenza del ricorso in materia di misure cautelari personali – è limitato alla sola violazione di legge ( art. 325 cod. proc. pen.). Nè, per superare il suddetto limite, potrebbe dedursi la violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, non essendo consentito "contrabbandare" come violazione di questa norma processuale il motivo di ricorso tipizzato nell’art. 606 c.p.p., lett. e), a pena a stravolgere la differenziazione dei motivi codificata in quest’ultima disposizione, alla quale evidentemente rinvia l’art. 325 c.p.p.. Or bene, nella specie, le doglianze articolate dal ricorrente, pur essendo richiamata in premessa anche la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), si risolvono in censure tutte esclusivamente afferenti all’asserita carenza motivazionale del provvedimento impugnato. A ben vedere, il ricorrente si limita a contestare che il giudicante si sarebbe sottratto al doveroso accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti ritenendo sufficiente a sorreggere il provvedimento di sequestro preventivo l’astratta configurabilità del reato contestato, con ciò finendo con il prospettare una carenza di motivazione del provvedimento gravato, cioè un vizio qui non deducibile.

E ciò a fronte di un’ordinanza adeguatamente motivata in fatto, con cui il giudicante ha fatta corretta applicazione della normativa di settore, che circoscrive l’ambito del controllo del giudice de liberiate sul provvedimento di sequestro preventivo.

In proposito, come è noto, gli indizi di colpevolezza e la gravità degli stessi non rientrano tra i presupposti di applicabilità del sequestro preventivo, per il quale è sufficiente la presenza del fumus boni iuris, ovvero l’ipotizzabilità in astratto della commissione di un reato. E ciò si riflette anche in ordine al controllo sulla legittimità della misura da parte del tribunale del riesame, prima, e della Corte di cassazione, poi, giacchè tale controllo non può tradursi in anticipata decisione di merito sulle questioni concernenti la responsabilità della persona indagata in ordine al reato oggetto di investigazione, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa, quindi, ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravità degli stessi. Il che non esime, all’evidenza, il giudice del riesame, in adempimento dell’obbligo motivazionale gravante sullo stesso, di tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pure sommariamente, le ragioni che rendono allo stato sostenibile l’impostazione accusatoria (v.

Sez. 3, 5 maggio 2010, Bressan, rv. 247694).

Il giudicante si è mosso entro tale ambito, laddove, con apprezzamento di fatto incensurabile, ha ritenuto di evidenziare il rischio concreto di un utilizzo strumentale del capannone rispetto all’attività di gestione della discarica e la sussistenza, quindi, del vincolo pertinenziale, attesa la presenza in esso di materiale identico a quello rinvenuto nell’area.

Trattasi di decisione giuridicamente corretta, giusta il riferito ambito dell’apprezzamento del giudice de liberiate, che qui non può essere rivalutata attraverso un generico e indimostrato richiamo ad una pretesa (insussistente) violazione di legge, che vorrebbe si esercitasse in questa sede una rivalutazione in fatto degli elementi processuali e, in buona sostanza, un sindacato non consentito sull’apparato motivazionale.

Il ricorso va, dunque, rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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