Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 20-06-2012, n. 10126 Licenziamento per riduzione del personale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza pubblicata il 20 ottobre 2009 la Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Roma dell’11 agosto 2003 ha dichiarato l’inefficacia del licenziamento collettivo intimato dalle Poste Italiane s.p.a. a P.M. con decorrenza 31 dicembre 2001 condannando la stessa società al pagamento in favore del lavoratore di un’indennità commisurata alle retribuzioni globali di fatto maturate dalla data del licenziamento a quella dell’effettiva reintegra. La Corte territoriale ha motivato tale decisione considerando la carenza della nota di avvio della procedura di licenziamento collettivo, con riferimento all’obbligo contemplato dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, della indicazione della collocazione aziendale e dei profili professionali coinvolti nella procedura. Tale prescrizione è volta a garantire non solo la verifica delle eccedenze e la coerenza dell’operazione con le ragioni del ridimensionamento, ma anche, nella fase applicativa dei criteri di selezione, l’equità e la trasparenza della scelta dei dipendenti da avviare alla mobilità, scelta che deve presentare caratteristiche di congruità rispetto alle ragioni della procedura.

Nel caso in esame il criterio concordato si limita ad individuare una categoria di personale eccedente indipendentemente dalla preventiva definizione della collocazione aziendale degli esuberi, così da comportare la riferibilità dell’applicazione del criterio alla totalità del personale, coinvolgendo quindi, nella riduzione del personale, anche posizioni di lavoro per settori in cui non si registravano esuberi di dipendenti.

Poste Italiane propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolandolo su tre motivi. Resiste con controricorso il P..

La ricorrente ha presentato memoria ex art. 368 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, con riguardo alla pretesa incompletezza della comunicazione di avvio della procedura prevista da detta norma. In particolare si deduce che sarebbe stata interpretata in modo eccessivamente rigoristico la norma in questione, in quanto la ratio della norma sarebbe solo quella di consentire la verifica della situazione economico-gestionale del datore e la possibilità di alternative al licenziamento.

Con secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, con riguardo all’ambito di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità e all’individuazione dei settori aziendali interessati dalla procedura.

In particolare si deduce che il datore non sarebbe vincolato all’indicazione iniziale degli ambiti oggettivamente esuberanti, in quanto, alla stregua della ratio legis, può essere modificato l’ambito della procedura nel corso della medesima, ed interessare l’intero complesso aziendale, anche considerando i criteri di scelta che, come nel caso in esame, possono riferirsi all’anzianità del personale.

Con il terzo motivo si lamenta insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, con riguardo alla determinazione dell’ambito di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità e alla individuazione dei settori aziendali interessati dalla procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4. In particolare si deduce che il sindacato in sede giurisdizionale sarebbe limitato alla verifica della correttezza formale della procedura di mobilità restando nell’ambito della scelta negoziale sindacale la individuazione dei criteri di selezione del personale che può ben riguardare il possesso dei requisiti pensionistici con riferimento a tutto il personale.

Il ricorso è fondato.

Devono essere, in primo luogo, richiamati i principi enunciati dalla giurisprudenza nella Corte nell’interpretazione della L. 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni (Legge emanata sullo schema della direttiva Cee 1975/129, così come modificata dalla più recente direttiva 1992/56). Come precisato da Cass. 12 ottobre 1999, n. 11455 e dalle conformi decisioni successive, la fattispecie del licenziamento collettivo per riduzione di personale ricorre in presenza dell’operazione imprenditoriale di "riduzione o trasformazione di attività o di lavoro" (art. 24), operazione che, da una parte, esclude dal suo ambito i licenziamenti dovuti a ragioni inerenti alla persona del lavoratore, per l’altra parte esclude anche i licenziamenti individuali per le stesse ragioni oggettive, ancorchè plurimi, qualora non sia siano presenti i requisiti di rilevanza sociale collegati agli indici previsti dalla legge (il numero dei licenziamenti ai sensi dell’art. 24, comma 1; oppure, indipendentemente dal numero, dalla circostanza che a licenziare sia un’impresa che ha ottenuto l’intervento pubblico della cassa integrazione guadagni, secondo la previsione dell’art. 4, comma 1).

b) la fattispecie di riduzione del personale regolata dalla L. n. 223 del 1991 non presuppone necessariamente una crisi aziendale, e neppure un ridimensionamento strutturale dell’attività produttiva, potendo il requisito della riduzione o trasformazione di attività o di lavoro ravvisarsi nella decisione di modificare l’organizzazione produttiva anche soltanto con la contrazione della forza lavoro, con incidenza effettiva e non temporanea sul solo elemento personale dell’azienda (Cass. 27 aprile 1992, n. 5010; 5 maggio 1995, n. 4874;

21 ottobre 1999, n. 117940).

Nel disegno legislativo, la fattispecie di licenziamento collettivo per riduzione di personale è assoggettato a forme di controllo ex ante della decisione imprenditoriale, controllo di tipo sindacale e pubblico, ritenute maggiormente adeguate alla rilevanza sociale del fenomeno rispetto alle tecniche di controllo giudiziale ex post ed a dimensione individuale, restando escluso che la legittimità del recesso possa dipendere dai motivi della riduzione di personale, non sindacabili, infatti, dal giudice (tanto è vero che la riduzione di personale "ingiustificata" non è prevista dalla legge tra i motivi di annullamento dei singolo licenziamento), d) la qualificazione del licenziamento in base al progetto di riduzione del personale con effetti sociali rilevanti comporta, in attuazione dell’art. 41 Cost., commi 2 e 3 che l’imprenditore sia vincolato non nell’an della decisione ma soltanto nel quomodo, essendo obbligato allo svolgimento della procedura di cui all’art. 4, che realizza così lo scopo di procedimentalizzare il potere di recesso, il cui titolare è tenuto non più a mere consultazioni, ma a svolgere una vera e propria trattativa con i sindacati secondo il canone della buona fede;

l’operazione imprenditoriale diretta a ridimensionare l’organico si scompone, infine, nei singoli licenziamenti, ciascuno giustificato dal rispetto dei criteri di scelta, legali o stabiliti da accordi sindacali, ma entro una cerchia di soggetti delimitati dal "nesso di causalità", ossia dalle esigenze tecnico-produttive ed organizzative poste a base della scelta imprenditoriale (arg. ex art. 5, comma 1, primo periodo);

e) ai due livelli descritti, l’uno collettivo-procedurale, l’altro individuale-causale, corrisponde l’ambito del controllo giudiziale, cui è estraneo, come detto, la verifica dell’effettività e ragionevolezza dei motivi che giustificano, nelle enunciazioni dell’imprenditore, la riduzione di personale (cfr. ex plurimis, Cass. 4970/1999; 11455/1999; 2463/2000; 9045/2000; 6385/03; 13182/2003;

9134/2004; 10590/2005; 528/2008), ed il sistema sanzionatorio di cui all’art. 5, cosicchè il lavoratore licenziato è abilitato a far valere l’inesistenza del potere di recesso per violazione delle regole della procedura (inefficacia del negozio risolutivo), ovvero la lesione del diritto ad un scelta imparziale per violazione dei criteri stabiliti dalla legge o dall’accordo sindacale (annullamento del licenziamento). La sentenza impugnata motiva la decisione con esclusivo riferimento al disposto della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, nella parte in cui prescrive che la comunicazione preventiva per iscritto ai sindacati deve contenere, oltre all’indicazione dei motivi che determinano la situazione di eccedenza e l’impossibilità di altre soluzioni, la precisazione del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente nonchè del personale abitualmente impiegato, nonchè delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della attuazione del programma di messa in mobilità. In apparenza, dunque, esercita il controllo giudiziale nell’ambito che la legge gli assegna in ordine al momento procedurale-collettivo; in realtà, lo estende indebitamente ai motivi determinanti la scelta imprenditoriale.

La Corte di appello di Roma infatti, dopo aver premesso, in linea con gli orientamenti consolidati della giurisprudenza della Corte, che le violazioni della procedura (consistenti, in particolare, nell’insufficienza delle informazioni date alle organizzazioni sindacali) hanno effetti lesivi (anche) dei diritti individuali, con la conseguente irrilevanza, su questo piano, degli accordi sindacali comunque raggiunti (cfr. Cass. S.u. n. 302 e n. 419 del 2000; Cass. n. 15377/2004), ha ritenuto che non fosse stato adempiuto l’onere di indicare la collocazione aziendale ed i profili professionali del personale eccedente nel presupposto, necessariamente implicito del ragionamento, che non fosse ammissibile ridurre il personale per le causali indicate dall’imprenditore. La decisione, quindi, proprio sulla base degli accertamenti di fatto compiuti dallo stesso giudice di merito e pacifici nella controversia, non è conforme, prima che al disposto della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, ai principi riassunti più sopra e desumibili dagli artt. 1 e 24 della citata Legge. Per questa ragione non è possibile dare continuità al precedente costituito da Cass. 11 luglio 2007, n. 15479, che, decidendo su controversia analoga, ha rigettato il ricorso di Poste Italiane s.p.a. essenzialmente sul rilievo che il giudice del merito aveva correttamente assolto il compito istituzionale di accertare il fatto della insufficienza della comunicazione preventiva di avvio della procedura. Peraltro, va anche ricordato che il diverso segno del rigetto del ricorso dei lavoratori, nella vicenda dei licenziamenti derivati dalla stessa riduzione di personale, è presente in altre decisioni della Corte (Cass. 6 ottobre 2006, n. 21541; 14 giugno 2007, n. 13876, non massimata).

L’azienda postale aveva avviato la procedura di mobilità motivandola con l’esigenza di ridurre i costi mediante l’attuazione di una riduzione complessiva di personale; aveva precisato che il ridimensionamento concerneva in varia misura tutti i settori produttivi, tutte le professionalità impiegate e l’intero territorio nazionale, facendo altresì presente che le denunciate eccedenze avrebbero potuto avere un impatto sociale minimo nel caso di adozione del criterio di scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione, posseduto da molti dipendenti. Si preannunciava altresì, dopo i licenziamenti, una riorganizzazione del lavoro soprattutto mediante mobilità geografica del personale. La comunicazione alle organizzazioni sindacali precisava, quindi, il numero dei lavoratori ritenuti eccedenti suddivisi tra le quattro aree funzionali di inquadramento (area di base, area operativa, area quadri di secondo livello e area quadri di primo livello) e per regione geografica. La sentenza impugnata giudica, sotto questo specifico profilo, insufficiente il contenuto della comunicazione preventiva perchè il necessario nesso causale tra le "esigenze tecnico produttive ed organizzative del complesso aziendale" e i licenziamenti progettati non risultava in alcun modo precisato, non essendo idoneo a colmare la lacuna il criterio di scelta poi concordato con i sindacati (possesso dei requisiti per la pensione), criterio che presupponeva il nesso indicato e avrebbe giustificato i singoli licenziamenti fino a concorrenza del numero complessivo determinato dalle esigenze tecnico produttive ed organizzative. Specificamente, l’insufficienza dei contenuti della comunicazione è ravvisata nella mancanza di indicazioni "in ordine alla specifica collocazione nei diversi uffici locali e profili professionali", o "concrete posizioni lavorative", del personale ritenuto eccedente, lacuna non colmata dal riferimento generico alle quattro aree contrattuali di inquadramento, ciascuna comprendente "professionalità estremamente varie ed eterogenee" (visto che vi erano state raggruppate le qualifiche funzionali e i numerosi profili professionali del precedente ordinamento pubblicistico) senza precisare quali, tra le posizioni professionali all’interno di ciascuna area, fossero da ritenere eccedenti. In definitiva, secondo la valutazione del giudice del merito, Poste italiane aveva l’onere di specificare l’eccedenza ufficio per ufficio, con riguardo al settore di attività e alla dislocazione territoriale, indicando gli addetti alle mansioni concrete ritenute non più utili per l’organizzazione. Così decidendo e come già avvertito sopra, la sentenza impugnata ha violato le disposizioni dell’art. 1 e, conseguentemente anche della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3.

L’art. 1 perchè ha negato, al di là dei profili formali sui quali apparentemente si incentra la motivazione, la facoltà di Poste Italiane SpA, che svolge l’identica attività produttiva sull’intero territorio nazionale, di decidere il ridimensionamento dell’impresa con esclusivo riguardo alla consistenza complessiva del personale ed al fine di ridurre i costi di gestione, determinando le eccedenze in un certo numero di lavoratori regione per regione e per area di inquadramento professionale, così sottoponendo a sindacato la scelta imprenditoriale e finendo, nella sostanza, per considerare ingiustificata una riduzione di personale in questi termini progettata dall’imprenditore, in violazione del complesso dei principi richiamati sub n. 7.

L’art. 4, comma 3, perchè la sufficienza dei contenuti della comunicazione di avvio della procedura alle organizzazioni sindacali si deve necessariamente valutare con riferimento ai motivi, esternati nella stessa comunicazione, che determinano l’eccedenza e alle misure proposte dallo stesso imprenditore per attenuare l’impatto sociale dei licenziamenti.. Pertanto, in applicazione dei principi di diritto sopra precisati, il progetto di riduzione del personale complessivo dell’azienda postale imponeva di indicare soltanto la ripartizione delle eccedenze per categorie professionali, nonchè per le aree del territorio nazionale, anche in vista della conseguente necessità di una nuova distribuzione geografica del personale e di una riorganizzazione del lavoro. In relazione a tale progetto, infatti, non sarebbe stato coerente l’indicazione di uffici o reparti con eccedenze, coincidendo la "collocazione" dei dipendenti da licenziare con l’intero complesso aziendale; nè avrebbe avuto alcun senso la specificazione delle concrete posizioni lavorative che si intendevano eliminare, risultando tale profilo completamente estraneo alle ragioni della decisione imprenditoriale.

D’altra parte, il riferimento legislativo ai "profili professionali" va inteso si in termini di esclusione della prospettiva formale delle categorie (artt. 2095 e 2103 c.c.) al fine di privilegiare gli aspetti funzionali della categoria o qualifica di inquadramento, ma ciò non significa certo richiedere l’indicazione delle concrete posizioni lavorative, cioè delle mansioni svolte, restandosi pur sempre sul piano astratto della classificazione del personale alla stregua della disciplina applicabile al rapporto di lavoro; ed allora, se il giudice di merito aveva accertato che la contrattazione collettiva recava un sistema di inquadramento del personale per "aree funzionali", ciascuna caratterizzata dall’idoneità professionale allo svolgimento di una pluralità di mansioni, non si comprende perchè l’indicazione dell’area di appartenenza non sarebbe indicazione dei "profili professionali" (di totale incongruenza si palesa, poi, il riferimento al superato sistema di classificazione del personale presso l’azienda autonoma statale, prima della privatizzazione dei rapporti di lavoro). La sentenza, inoltre, si pone anche in contrasto con il principio di diritto secondo cui, in ragione del fine delle informative sulla procedura di mobilità, che è quello di favorire la gestione contrattata della riduzione di personale, la circostanza che sia stato in concreto raggiunto tale fine, per essere stato stipulato un accordo con le organizzazioni sindacali, assume rilevanza nel giudizio di completezza della comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, mentre le eventuali insufficienze o inadempienze informative possono, in ogni caso, essere fatte valere dalle organizzazioni sindacali e non dai singoli lavoratori, salvo che questi ultimi dimostrino l’idoneità in concreto di siffatte informative a forviare o ledere l’esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuiti alle organizzazioni sindacali, con ricadute a essi lavoratori pregiudizievoli (Cass. n. 528/2008, cit). Pur avendo accertato, infatti, che vi era stata effettivamente la gestione contrattata della riduzione di personale in tutti i profili, fino realizzare il risultato di un notevole ridimensionamento delle eccedenze inizialmente programmate, non ne ha tratto le conseguenze sul piano della sufficienza delle informazioni fornite nella fase di avvio della procedura.

D’altra parte, anche la prospettiva di ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti mediante l’applicazione del criterio di scelta (necessitante di accordo sindacale) del possesso dei requisiti per la pensione, offriva elementi utili alla valutazione di sufficienza e coerenza dei contenuti della comunicazione preventiva. Il detto criterio, in linea con le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 268 del 1994, è ritenuto dalla giurisprudenza della Corte conforme al principio di ragionevolezza e non discriminazione, coerente soprattutto con le finalità del controllo sociale affidato ai sindacati e agli organi pubblici (vedi Cass. 21 settembre 2006, n. 20455; 24 aprile 2007, n. 9866) ed è ora consacrato a livello legislativo dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 59, comma 3. Le condizioni favorevoli per un accordo sindacale sul detto criterio erano appunto costituite dalla riduzione di personale da operare sull’intero organico dell’azienda su base nazionale e in relazione a tutte le aeree di inquadramento del personale, senza distinzioni tra uffici e settori produttivi specifici.

Anche questo aspetto induce, quindi, a ritenere sufficienti i contenuti della comunicazione di avvio della procedura, procedura sfociata poi nell’auspicato accordo sindacale.

Il ricorso va accolto sulla base del seguente principio di diritto:

"In tema di verifica del rispetto delle regole procedurali dettate per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale dalla L. n. 223 del 1991, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui all’art. 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, sottratti al controllo giurisdizionale, cosicchè, nel caso di progetto imprenditoriale diretto a ridimensionare l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore può limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti suddiviso tra i diversi profili professionali contemplati dalla classificazione del personale occupato nell’azienda, tanto più se si esclude qualsiasi limitazione del controllo sindacale e in presenza della conclusione di un accordo con i sindacati all’esito della procedura, che, nell’ambito delle misure idonee ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio di scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione".

La cassazione della sentenza impugnata per violazione di norme di diritto comporta la decisione nel merito della causa (art. 384 c.p.c., comma 1), non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, con la pronuncia di rigetto della domanda proposta contro Poste Italiane SpA, il difforme esito dei giudizi di merito e le incertezze rilevate anche in seno alla giurisprudenza della Corte inducono a compensare per l’intero per giusti motivi le spese dei giudizi di merito e di cassazione.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso; Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da P.M. con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado; Compensa fra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 30 maggio 2012.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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