Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 18-10-2011) 01-12-2011, n. 44671 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

C.D., a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Bologna, con la quale era stata rigettata la sua istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita agli arresti domiciliari per 180 giorni, per il delitto di induzione alla prostituzione minorile in danno della figlia quindicenne V., contestato in concorso con il convivente, dal quale era stata assolta con la formula assolutoria ex art. 530 cpv cod. proc. pen. perchè il fatto non sussiste.

La Corte territoriale ha ravvisato la circostanza escludente del diritto alla riparazione di cui all’art. 314 c.p.p., comma 1, e cioè di avere concorso a dare causa all’emissione dei provvedimento restrittivo della libertà personale per colpa grave, e cioè per essere venuta meno agli obblighi di protezione e sorveglianza sulla figlia minore, che, nonostante la giovane età, intratteneva plurimi rapporti sessuali con uomini diversi, molto più grandi di lei, utilizzando anche la casa in cui viveva con la madre, in particolare, la camera da letto con poster pornografici.

La ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione dell’art. 314 cod. proc. pen. facendo presente che il giudice della riparazione non aveva preso in considerazione la circostanza che i difficili rapporti intercorrenti tra la ragazza ed il patrigno non consentivano all’istante di controllare la vita privata della figlia; inoltre, non vi erano prove idonee a dimostrare che la C. fosse a conoscenza delle attività poste in essere dalla ragazza, soprattutto tenuto conto delle gravi difficoltà economiche in cui versava la famiglia che potevano avere momentaneamente distolto l’attenzione della madre sulla figlia. Si pone altresì l’accento sulla indeterminatezza della condotta omissiva contestata all’istante.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Come già osservato da questa Corte (v. da ultimo, Sezione 4, 10 dicembre 2008, Zappetta, rv. 242746), il rapporto tra giudizio penale e giudizio per l’equa riparazione, è connotato da totale autonomia ed impegna piani di indagine diversi e che possono portare a conclusioni del tutto differenti (assoluzione nel processo, ma rigetto della richiesta riparatoria) sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti, ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di parametri di valutazione differenti.

In particolare, è consentita al giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti non nella loro valenza indiziarla o probante (smentita dall’assoluzione), ma in quanto idonei a determinare, in ragione di una macroscopica negligenza od imprudenza dell’imputato, l’adozione della misura, traendo in inganno il giudice.

E’ quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dalla istante ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della libertà personale il convincimento di un suo probabile coinvolgimento nel reato di induzione alla prostituzione minorile in danno della figlia V.. Nella specie, non vi è dubbio che la Corte territoriale, con motivazione logica ed ampia, ha spiegato che le condotte ascritte all’istante, pur non costituendo illecito penale, sono state Idonee a determinare l’applicazione della misura cautelare. In particolare, il giudice della riparazione ha valorizzato che:

1) il processo penale a carico della C. aveva preso le mosse da una segnalazione della moglie dell’ex compagno della C., padre delle figlie di quest’ultima, che aveva ricevuto una confidenza dalla sorella di V. riguardante la circostanza che la ragazza sarebbe stata indotta a prostituirsi dalla madre e dal nuovo compagno di questa;

2) Il giudice di merito, nell’assolvere l’imputata aveva espressamente affermato che la condotta della C. ben integrava gli estremi di un diverso fatto reato consistente nel non avere impedito che uomini avessero rapporti sessuali con V., infraquindicenne, in cambio di denaro ( art. 40 c.p., comma 2 e art. 600 bis c.p., comma 2);

3) l’Istante era venuta meno agli obblighi di protezione e sorveglianza sulla figlia minore V., come minimo dovendosi ascrivere a lei una macroscopica culpa in vigilando;

4) la C. teneva rapporti diretti con alcuni di questi uomini adulti che le manifestavano l’intenzione di incontrare V..

Ciò premesso, va affermato in questa sede che anche una condotta omissiva può assumere i connotati di un comportamento gravemente colposo idoneo ad essere ostativo al riconoscimento dell’equo indennizzo, una volta accertata la sua valenza eziologica e la sua natura gravemente colposa.

In particolare, per quanto attiene all’ambito familiare, è già stato posto in evidenza (v. la citata sentenza Zappetta) che, ai sensi dell’art. 147 cod. civ., i genitori hanno l’obbligo di "istruire ed educare" la prole.

Tale disposizione normativa determina la nascita in capo al genitore di una posizione di garanzia, connessa al suo dovere di tutela e sorveglianza, che può essere origine di responsabilità sia in campo civile che penale.

La giurisprudenza è oramai consolidata nel ritenere che l’inadeguatezza dell’educazione Impartita e della vigilanza esercitata su un minore, può costituire fondamento della responsabilità dei genitori per il fatto illecito da costui commesso, ai sensi dell’art. 2048 cod. civ. (explurimis Cass. Civ. Sezione 3, 29 maggio 2001, n. 7270, rv. 547081). Trattasi di responsabilità per fatto proprio, non per fatto altrui, giustificata da una "culpa in educando" o "in vigilando".

Anche in campo penale la violazione degli obblighi connessi alla posizione di garanzia di genitore, è stata ritenuta fonte di responsabilità, con specifico riferimento ai reati di natura sessuale.

In senso conforme, questa Corte ha stabilito che "il genitore esercente la potestà sui figli minori, come tale investito, a norma dell’art. 147 c.c., di una posizione di garanzia in ordine alla tutela dell’integrità psico-fisica dei medesimi, risponde, a titolo di causalità omissiva di cui all’art. 40 cpv. c.p., degli atti di violenza sessuale compiuti dal coniuge sui figli, sempre che sussistano le condizioni rappresentate: a) dalla conoscenza o conoscibilità dell’evento; b) dalla conoscenza o riconoscibilità dell’azione doverosa incombente sul "garante"; c) dalla possibilità oggettiva di impedire l’evento" (v. Sezione 3, 14 dicembre 2007, n. 4730/08, Berti, rv. 238698).

Pertanto, se una condotta omissiva, tenuta in violazione degli obblighi connessi alla qualità di genitore, può costituire fonte di responsabilità sia civile che penale, analogamente deve dirsi che tale tipo di condotta, una volta accertata la sua valenza eziologica e la sua natura gravemente colposa, ben può inibire il riconoscimento dell’equo indennizzo ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., comma 4.

Nel caso di specie la Corte territoriale ha evidenziato come la C. sia venuta meno agli obblighi di protezione e sorveglianza sulla figlia minore consentendo alla stessa il sistema di vita altamente pregiudizievole, sopra descritto, che una sia pure minima attenzione da parte della madre avrebbe dovuto evitare e comunque troncare.

Pertanto, correttamente il giudice di merito, senza effettuare alcuna illegittima rivalutazione della sentenza penale di assoluzione (v.

Sezioni unite, 23 dicembre 1995 n. 43, Sarnataro), ma rilevando solo la sussistenza di elementi che hanno dato causa all’emissione della misura cautelare, e configuranti la colpa grave a norma dell’art. 314 cod. proc. pen., comma 1, ha escluso il diritto della istante alla riparazione, essendo indubbiamente le circostanze succitate idonee concause determinanti l’emissione di una misura cautelare a carico della C..

Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al rimborso delle spese sostenute dall’Amministrazione resistente in questo giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione in favore del Ministero resistente delle spese di questo giudizio, che liquida in Euro 750,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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