Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 18-10-2011) 01-12-2011, n. 44645

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

B.A., G.A.L.O., C.I., H.B. ricorrono avverso la sentenza di cui in epigrafe con la quale la Corte di appello, relativamente alla loro posizione, ha confermato il giudizio di colpevolezza formulata dal giudice di primo grado relativamente alle violazioni del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 ai medesimi ascritte, rideterminando peraltro in melius la pena per il B., la G. per effetto del riconoscimento dell’attenuante del fatto di lieve entità D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 5, e lo H. per effetto dell’assorbimento di taluno degli episodi contestati.

I motivi di ricorso sono illustrati e esaminati, esponendo subito, per comodità espositiva, le ragioni per le quali sono tutti manifestamente infondati.

Con il medesimo ricorso B. e la G. contestano l’affermazione di responsabilità affermando che sarebbe stata fornita un’interpretazione "unilaterale" delle intercettazioni telefoniche ed ambientali sì da fornirne una lettura "implausibile" e che illegittimamente sarebbero state posta a fondamento della condanna le dichiarazioni del coimputato N.A., acquisite tramite lettura in modo asseritamente non consentito, sul presupposto contestato dell’imprevedibilità della mancata presenza in udienza.

Il ricorso non può trovare accoglimento in primo luogo perchè assolutamente generico, laddove, da un lato, neppure spiega quali sarebbero le intercettazioni lette in modo implausibile, e, dall’altro, neppure si sofferma ad analizzare in che termini il giudizio di responsabilità sarebbe da ritenere "travolto" se ed in quanto dovesse escludersi l’utilizzabilità delle dichiarazioni del N., lette in dibattimento.

Vale, cioè, il principio in forza del quale è inammissibile, per genericità, il motivo di impugnazione con il quale non si esaminano specificamente – per confutarle – le considerazioni svolte da provvedimento impugnato: per l’effetto, deve ritenersi inammissibile, per mancanza della specificità del motivo prescritta dall’art. 581 c.p.p., lett. c), il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato senza appunto cadere nel vizio di "aspecificità", che conduce, ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità del ricorso (tra le tante, Sezione 2, 13 ottobre 2009, Iania).

Del resto, come è noto, principio della domanda, devoluzione e diritto di difesa sono i valori al soddisfacimento dei quali deve essere ispirata la verifica, in concreto, se la "forma dell’impugnazione", alla stregua dei parametri dettati dall’art. 581 c.p.p., ne soddisfi anche la "sostanza", rendendola quindi immune dalla sanzione processuale a tal proposito sancita dall’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c). In questa prospettiva, il contenuto dell’atto di impugnazione deve soddisfare una duplice e concorrente esigenza di "chiarezza" e "specificità" di cui qui non vi è traccia in ragione dell’apoditticità delle doglianze, meramente assertive e prive di concretezza.

In diritto, poi, non è inutile ricordare che, in tema di intercettazioni, il significato attribuito al linguaggio eventualmente criptico utilizzato dagli interlocutori, e la stessa natura convenzionale conferita ad esso, costituiscono valutazioni di merito insindacabili in cassazione; mentre la censura di diritto può riguardare soltanto la logica della chiave interpretativa, nel senso che le valutazioni effettuate dal giudice di merito sul contenuto delle comunicazioni intercettate sono censurabili in sede di legittimità se ed in quanto si fondino su criteri interpretativi inaccettabili ovvero quando applichino scorrettamente tali criteri (Sezione 4, 11 marzo 2009, Bilardi). Qui la decisione di secondo grado, recependo sul punto quella di merito, fornisce spiegazione satisfattiva del compendio intercettivo e della relativa valenza indiziaria, in modo non attinto validamente dalle doglianze articolate in ricorso.

Sempre in diritto, con riferimento alla lettura delle dichiarazioni del coimputato, vi è da rilevare come il giudicante di secondo grado, recependo la metodica valutativa del primo giudice, da un lato si è ampiamente soffermato sulle ragioni per cui l’irreperibilità sopravvenuta doveva considerarsi imprevedibile, soprattutto in ragione del lungo periodo di tempo trascorso dal dichiarante in Italia e della reiterata e continua attività collaborativi con l’autorità inquirente, e dall’altro ha comunque spiegato come le dichiarazioni accusatorie del N. siano state apprezzate unitamente ad altri significativi elementi indiziari.

In tal modo è stata fatta corretta applicazione del principio in forza del quale l’art. 526 c.p.p., comma 1 bis, introdotto dalla L. 1 marzo 2001, n. 63 (sul "giusto processo"), secondo cui la colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore, non opera nel caso in cui l’utilizzazione delle dichiarazioni rese nelle indagini preliminari avvenga in forza di legittima applicazione del combinato disposto degli artt. 512 e 513 c.p.p., per irreperibilità sopravvenuta del dichiarante, in quanto tale situazione configura un’ipotesi di oggettiva impossibilità di formazione della prova in contraddicono prevista dall’art. 111 Cost., comma 5. La sopravvenuta ed imprevedibile irreperibilità del dichiarante qui, il coimputato di reato connesso, quindi, configura un’ipotesi di irripetibilità dell’atto di indagine che giustifica la lettura ex artt. 512 e 513 c.p.p. delle dichiarazioni rese in fase di indagine. A tal fine, la valutazione dell’imprevedibilità dell’evento", che rende impossibile la ripetizione dell’atto precedentemente assunto e ne legittima la lettura, è demandata in via esclusiva al giudice di merito, il quale deve formulare in proposito una "prognosi postuma" (con riguardo al tempo in cui l’atto è stato assunto e tenuto conto della concreta situazione esistente in tale momento), che deve essere sorretta da motivazione adeguata e conforme alle regole della logica (ciò che nella specie, secondo quanto riportato, il giudice di merito ha correttamente effettuato).

Il C. prospetta la nullità del giudizio per effetto della asserita nullità del decreto di irreperibilità adottato ai fini del giudizio, sostenendo che non sarebbero state svolte ricerche tramite autorità diplomatica all’estero, contesta il giudizio di responsabilità basato asseritamente solo su due telefonate di cui si assume la cripticità, lamenta il diniego dell’attenuante del fatto di lieve entità argomentato sulla modalità delle azioni e sulla gravità delle stesse.

Anche tale ricorso è inammissibile.

A prescindere da evidenti profili di genericità quanto alla contestazione del giudizio di responsabilità e alla impraticabilità in questa sede di una "rilettura" del compendio intercettivo, del tutto infondata è la questione di nullità afferente la declaratoria di irreperibilità, ove si consideri il principio in forza del quale ai fini del decreto di irreperibilità, non sussiste obbligo di disporre apposite ricerche all’estero dell’imputato ivi residente, del quale si ignori l’esatto recapito. Infatti, nel caso di trasferimento all’estero dell’imputato a voler concedere che il C. fosse all’estero, come asseritamente sostenuto, si palesa irrazionale un’interpretazione dell’art. 169 c.p.p., comma 4, nel senso che in tal caso dovrebbero essere eseguite ricerche più estese di quelle previste dall’art. 159 c.p.p., comma 1, e, cioè, da effettuarsi su tutto il territorio dello Stato estero, per di più da parte di organismi che non dipendono dall’autorità giudiziaria italiana, di tale che la norma deve essere, invece, interpretata nel senso che dagli atti deve risultare la località dello Stato estero in cui si è trasferito o comunque dimora l’imputato perchè sorga l’obbligo di disporre utilmente le ricerche tramite canali diplomatici in detta località (Sezione 3, 21 dicembre 2010, Haskaj).

Situazione, quest’ultima, solo asserita e certo non desumibile dagli atti.

Corretto e qui incensurabile il diniego dell’attenuante del fatto di lieve entità, basato secondo apprezzamento insindacabile sulle modalità dei fatti contestati. Vale il principio secondo cui, in tema di sostanze stupefacenti, ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza attenuante del fatto di lieve entità ( D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5), il giudice è tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa): dovendo, conseguentemente, escludere la concedibilità dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di "lieve entità" (Sezione 4, 19 gennaio 2011, Proc. gen. App. Napoli ed altro in proc. Prota).

Nè certamente l’apodittica pretesa del ricorrente può validamente introdurre un diverso apprezzamento "in fatto" della Corte sulla gravità o no delle plurime condotte contestate e ritenute.

Lo H. lamenta la utilizzazione tramite lettura delle dichiarazioni del coimputato N., lamenta il giudizio di responsabilità per i singoli reati contestando la interpretazione delle intercettazioni, evoca una pretesa duplicazione di giudizio quanto ad uno degli episodi, contesta il diniego delle attenuanti generiche.

Il ricorso è parimenti inammissibile.

Quanto al giudizio di responsabilità utilizzazione delle dichiarazioni del coimputato e interpretazione delle intercettazioni;

pretesa duplicazione del giudizio valgono le stesse considerazioni supra sviluppate a proposito dei ricorsi B. e G., a fronte del resto di motivi del tutto generici ciò valendo anche per l’evocato ne bis in idem, solo introdotto come tema, senza nulla documentare.

Inaccoglibile è anche il diniego delle generiche, ampiamente motivato dal giudice sulla base dei precedenti penali e sulla base della gravità dei fatti desunta dalla pluralità delle transazioni illecite. Vale il principio in forza del quale la concessione o no delle circostanze attenuanti generiche risponde ad una facoltà discrezionale del giudice, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del decidente circa l’adeguamento della pena in concreto inflitta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Tali attenuanti non vanno intese, comunque, come oggetto di una "benevola concessione" da parte del giudice, nè l’applicazione di esse costituisce un diritto in assenza di elementi negativi, ma la loro concessione deve avvenire come riconoscimento dell’esistenza di elementi di segno positivo, suscettibili di positivo apprezzamento (Sezione 6, 28 ottobre 2010, Straface).

Del resto, non va dimenticato che, secondo principio condivisibile, in tema di circostanze attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita, essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda. In questa prospettiva, anche uno solo degli elementi indicati nell’art. 133 c.p., attinente alla personalità del colpevole o alla entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso, può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti generiche, derivandone così che, esemplificando, queste ben possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato e/o in base alla gravità dei fatti come, a ben vedere, nel caso di specie (cfr. Sezione 2, 22 febbraio 2007, Bianchi ed altri).

Alla inammissibilità dei ricorsi, riconducibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost., sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna dei ricorrenti medesimi al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, di una somma, che congruamente si determina in mille Euro, in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di 1000,00 Euro in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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