Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 18-10-2011) 01-12-2011, n. 44644

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza di cui in epigrafe la Corte di appello di Milano ha giudicato in sede di rinvio, a seguito di annullamento di questa Corte, F.R., chiamato a rispondere del reato di cui all’art. 609 bis, commi 1 e 2, n. 1, art. 609 quater, comma 1 e art. 61, n. 2, artt. 5 e 11 cod. pen., in danno della figlia minore G., nata il (OMISSIS) (il fatto è contestato fino al luglio 2002).

E’ stato addebitato al F. di avere costretto la figlia, abusando delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della stessa e della qualità parentale, ed anche con violenza e minaccia, consistita nel dirle che se avesse parlato l’avrebbe strozzata, a subire atti sessuali consistiti nel farsi toccare il pene con le mani e nel farsi masturbare, nel mettersi a cavalcioni su di lei dopo averla coperta con un cuscino e quindi nell’urinare, defecare o eiaculare, nel costringere la bambina a mettere le mani in zona genitale ed anale facendole poi annusare le mani stesse, nel metterle il pene in bocca; con le aggravanti di aver commesso il fatto su minore di anni dieci, profittando delle condizioni di minorata difesa della persona offesa e con abuso di relazioni domestiche e di coabitazione.

La Corte di legittimità, annullando la primigenia sentenza di appello di condanna, aveva sollecitato un nuovo apprezzamento valutativo della vicenda, relativamente ad un più i compiuto vaglio sulla attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, alla luce degli argomenti prospettati dalla difesa, ed in particolare riconsiderando la questione della tardività della perizia psicologica, disposta solo in appello, con il limite fondamentale costituito dal non avere avuto l’esperta contatti diretti con la bambina e con i suoi genitori. Ciò tenuto anche conto che l’elaborato peritale e le dichiarazioni rese in dibattimento dal CTU, nonchè la motivazione della sentenza, non avevano fornito una soddisfacente risposta alle puntuali critiche della difesa afferenti una possibile distorsione mnestica della minore sia per i numerosi interrogatori cui era stata sottoposta nel corso degli anni sia per pesanti interventi manipolatori della madre sia per le audizioni disposte dalla Polizia con una procedura che non prevede le cautele a tutela del minore sia perchè la bambina era stata sentita al dibattimento dopo anni di psicoterapia che poteva aver contribuito ad alterare i ricordi.

La S.C. sottolineava, infine, che i giudici di merito avevano sottovalutato la rilevanza delle diverse versioni della bambina, limitandosi a ricordare come sia comune che i bambini abusati svelino a poco a poco i fatti di cui sono stati vittima. Nel caso in esame tale rilievo era difficilmente applicabile tenuto conto che tra il racconto di G. in sede dibattimentale ed i precedenti non era riscontrabile una continuità avendo la stessa fornito all’udienza del 5 dicembre 2005 una versione dei fatti diversa ed inconciliabile con quelle pregresse, coinvolgendo anche estranei negli abusi e rievocando accadimenti avvenuti prima della separazione dei genitori in relazione ai quali difficilmente poteva conservare tracce mnestiche per la nota amnesia infantile.

All’esito, la Corte di merito confermava il giudizio di colpevolezza reso in primo grado.

La Corte territoriale, premessi i limiti del giudizio di rinvio, ha esaminato innanzitutto la questione della valenza della perizia psicologica alla luce delle osservazioni della sentenza di annullamento arrivando alla conclusione che alla perizia doveva attribuirsi una limitata valenza, in quanto non aveva fornito una soddisfacente risposta a determinate critiche della difesa e che, in ogni caso, il giudice di primo grado era pervenuto ad un giudizio di responsabilità pur in assenza di perizia psicologica, fondandosi anche su elementi di valutazione provenienti da altri esperti, assolutamente coerenti con le osservazioni del CTU. La Corte di merito, fornendo sul punto ampia spiegazione, da un lato ha poi sottoposto a nuovo, approfondito vaglio la deposizione accusatola della persona offesa, di cui ha ritenuto l’attendibilità e la genuinità. In particolare, ha esaminato le singole censure mosse dalla sentenza di annullamento (la possibilità di condizionamento della bambina a seguito di ripetute audizioni; la possibilità di interventi manipolatori della madre; l’assenza di continuità nelle dichiarazioni dibattimentali rese dalla bambina in particolare, le dichiarazioni del 5.12.2005 dopo anni di psicoterapia), arrivando alla conclusione, anche attraverso il riferimento alle osservazioni del giudice di primo grado, della attendibilità complessiva delle dichiarazioni della parte offesa.

Tale profilo è stato ulteriormente chiarito anche attraverso l’apprezzamento di dichiarazioni testimoniali, confermative delle dichiarazioni della bambina. I giudici di appello rilevavano, inoltre, che i comportamenti addebitati all’imputato apparivano compatibili con la personalità disturbata del medesimo, quale emergeva dalle osservazioni di tutti gli psicologi che si erano occupati di lui.

Con ampi motivi ricorre l’imputato, sottoponendo a critica la motivazione della sentenza, ritenendo, da un lato, che questa non abbia corrisposto alle censure della primigenia sentenza di annullamento della Cassazione (la parte prima), e, dall’altro, che abbia illogicamente apprezzate le dichiarazioni della vittima e le altre dichiarazioni versate in atti (la parte seconda).

In particolare, la parte prima del ricorso, nel seguire il percorso argomentativo della sentenza impugnata prospetta innanzitutto che la Corte di merito non aveva affrontato il tema della tardività della perizia ed in contraddizione con quanto affermato in sede di annullamento aveva ritenuto di pervenire ad un giudizio di responsabilità anche senza il contributo di un’indagine psicologica sulla minore, sottoposta sin da epoca precedente alla denuncia ad una serie di interventi e di sollecitazioni da parte dell’accusa pubblica e privata senza alcun coinvolgimento della difesa dell’imputato. Ciò senza tener conto del rapporto stabile di convivenza con la madre, a lei legata da una relazione disturbata e della necessità di verificare la competenza della bambina a testimoniare sui fatti oggetto del processo. Si contesta, inoltre, la valutazione compiuta dalla Corte di merito sulla limitata valenza probatoria della perizia, in violazione di quanto ritenuto in sede di annullamento. Si sostiene la violazione dell’art. 627 cod. proc. pen., comma 3, laddove la Corte di merito aveva valutato positivamente le dichiarazioni rese dalla psicoterapeuta P. (che aveva curato la bambina con la certezza degli abusi), pur avendo la S.C. precisato che gli anni di psicoterapia potevano aver contribuito ad alterare i ricordi e pur essendo espressamente previsto dalle linee guida per l’esame del minore in caso di abuso sessuale che il ruolo del terapeuta deve rimanere distinto da quello del consulente del giudice in questo tipo di processi. Si sottolinea, inoltre, sempre con riferimento alla deposizione della dott. P., che la sentenza impugnata non aveva tenuto conto dei rilievi svolti dalla consulenza della difesa.

I motivi di impugnazione si concentrano poi sulla disamina effettuata dalla Corte di appello delle varie audizioni di G. dinanzi alla PG, che avrebbero determinato, secondo la tesi difensiva, un condizionamento in un momento in cui non si era ancora tenuto l’incidente probatorio. Sul punto si sostiene che, contrariamente a quanto affermato dai giudici di appello, la presenza delle due psicologhe non era rassicurante visto che le stesse erano state nominate espressamente ausiliarie di PG, nell’assoluta assenza dell’altra parte processuale, in una situazione di estrema incertezza, visto che la denuncia era stata presentata dalla madre in situazione di separazione legale dall’imputato e comunque era sussistente un forte conflitto tra i coniugi essendo stato già aperto un procedimento civile dinanzi al tribunale dei minorenni.

Anche in questo caso la Corte di merito non si sarebbe fatta carico dei rilievi critici formulati dalla difesa con riferimento a ciascuna delle quattro audizioni di G., espletate in data 1.8.2002, 11.9.2002, 17.10.2002, 16.12.2002, sempre afferenti agli interventi fortemente suggestivi operati sulla minore, volti ad ottenere dichiarazioni accusatorie nei confronti del padre, traendo elementi dalla descrizione degli incontri tra il padre e la figlia, dei quali si sostiene essere stato travisato il contenuto (il riferimento è all’episodio del pizzicotto sul sederino e ad alcuni particolari descrittivi degli incontri afferenti le zone dei toccamenti, delle posizioni assunte durante tali incontri e delle circostanze di fatto che li caratterizzavano). Si sofferma, in particolare, sulla interpretazione illogica fornita dalla Corte di merito sulla frase pronunciata dalla bambina "allora, mi faceva queste cose dove c’era scritto qui, che mi saltava e poi", con riferimento alla quale era stata riconosciuta dalla Corte di merito la difficoltà di interpretazione e contestualmente l’assenza di elementi dai quali desumere che alla bambina fosse stato letto ciò che aveva riferito.

Tale difficoltà interpretativa confermerebbe i dubbi sollevati dalla difesa sull’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla bambina. Si sofferma altresì sulla valutazione effettuata dalla Corte sulla ripresa effettuata dal padre con la telecamera, con riferimento alla quale i giudici di appello, pur avendo rilevato che la domanda posta dall’agente di PG era effettivamente suggestiva ("Tu l’altra volta avevi detto che ti aveva ripreso mentre ti leccava la pipina. Te lo ricordi?"), avevano concluso per la sua irrilevanza rispetto ai fatti addebitati all’imputato.

Analoghi argomenti sviluppa la difesa con riferimento alla valutazione effettuata dai giudici di appello sulla possibilità di interventi manipolatori della madre, sig.ra I., evidenziando che prima ancora che iniziasse l’iter del processo penale, la madre della minore aveva proceduto ad effettuare delle registrazioni di musicassette, acquisite agli atti del processo e che i fatti antecedenti all’apertura del processo penale erano caratterizzati da un clima apertamente conflittuale tra i coniugi F. (l’imputato era uscito dalla casa coniugale l’1.9.2001 ed il tribunale dei minorenni era intervenuto con un decreto di urgenza affidando la bambina al Comune di Milano, sia pure con collocamento presso la madre mentre i rapporti tra padre e figlia non venivano del tutto interrotti). Si sostiene che la Corte di merito non aveva in alcun modo trattato la problematica nel contesto della quale la I. aveva maturato la decisione di procedere a tali registrazioni ed aveva minimizzato la circostanza che la madre aveva prima riferito in dibattimento che le registrazioni erano state fatte all’insaputa di G. e poi aveva ammesso il contrario. Si valorizza, sempre al fine di dimostrare i suddetti interventi manipolatori, quella parte della sentenza in cui viene dato atto, con riferimento alla registrazione effettuata successivamente all’episodio delle marionette (in cui la madre, mostrando dei pupazzi alla bimba, le chiedeva se il padre voleva essere toccato "anche su una parte che hanno soltanto i maschi") che in quella occasione la bambina aveva assentito solo per compiacere la madre, concludendo che si trattava di un episodio che aveva esaurito i propri effetti in quello stesso contesto. Si sostiene che la sentenza aveva del tutto trascurato di considerare le osservazioni formulate nell’atto di appello relative alla personalità della I. fortemente traumatizzata dal rapporto con i propri genitori e quelli relative alle conclusioni formulate dalle psicologhe della ASL sulla bambina che confermavano di non aver trovato indicatori di tipo postraumatico sulla minore ma di una disarmonia evolutiva legata al rapporto con i genitori.

Al fine di sottolineare la scarsa credibilità della teste, la difesa evidenzia che i giudici di merito avevano del tutto trascurato di esaminare l’anomalia segnalata con l’atto di appello con riferimento alle nuove rivelazioni fatte dalla I. all’udienza del 21.2.2005 (circa ulteriori condotte violente del marito nei confronti della figlia, che avevano condotto il PM a modificare il capo di imputazione in senso più sfavorevole all’imputato), in contraddizione con l’affermazione della stessa di avere sempre riferito tutto alla PG. Si sostiene, poi, che la Corte di merito nel valorizzare le dichiarazioni rese dalla psicoterapeuta P. – secondo la quale G. sarebbe una bambina con un buon esame della realtà, capace di esprimere un pensiero differenziato rispetto a quello dell’interlocutore – non aveva tenuto conto delle linee guida per l’esame del minore in caso di abuso sessuale- secondo le quali la funzione dell’esperto incaricato di effettuare una valutazione sul minore a fini giudiziari deve restare distinta da quella finalizzata al sostegno del minore stesso- e delle osservazioni critiche del consulente della difesa, che avevano evidenziato come il trattamento terapeutico avesse interessato soltanto l’asserito abuso e come, pertanto la psicoterapia, entro la quale la bambina era letteralmente "cresciuta", aveva forgiato il falso ricordo della minore, probabilmente assai più di quanto avesse fatto la madre.

Si sostiene, ancora, che la Corte di merito aveva omesso di pronunciarsi sulla probabile distorsione mnestica della bambina menzionata, invece, nella sentenza di annullamento.

Quanto alle dichiarazioni dibattimentali rese dalla bambina si lamenta la violazione dell’art. 627 cod. proc. pen., comma 3, sul rilievo che sarebbe stata messa in discussione dai giudici di appello l’enunciato della S.C. che aveva evidenziato l’inconciliabilità tra le dichiarazioni rese dalla minore all’udienza del 5 dicembre 2005, coinvolgenti anche estranei negli abusi, e quelle pregresse.

Sotto questo profilo si lamentano anche carenze motivazionali sostenendo che non era stato superato il giudizio di diversità ed inconciliabilità espresso dalla Suprema Corte e che, contrariamente a quanto affermato in sentenza, la bambina non aveva dato una coerente ed adeguata spiegazione sul perchè non avesse riferito prima alcuni fatto riguardanti condotte sessuali (tra cui un coito orale) ed attività molto violente del padre nei suoi confronti, anche in concorso con altri soggetti, in contrasto, peraltro, con assenza di segni sul corpo della bimba (anche la visita ginecologica aveva dato esito negativo) e con il fatto che la stessa non aveva riferito al alcuno di tali episodi subito dopo il loro verificarsi.

Sotto tale profilo si evidenzia che la sentenza non aveva considerato che tali dichiarazioni erano state rese oltre quattro anni dopo rispetto alla loro verificazione (antecedente all’1.9.2001, data in cui il padre si era allontanato dalla casa) e che nel frattempo erano intervenute numerose sollecitazioni e contaminazioni di ogni tipo mentre la minore viveva con la madre.

Si lamenta la carenza di motivazione anche con riferimento alla valutazione sull’attendibilità complessiva delle dichiarazioni rese dalla bambina sul rilevo che la sentenza impugnata non aveva fornito risposta ai numerosi rilievi critici formulati con l’atto di appello rivolti ad evidenziare le incongruenze di talune affermazioni circa le modalità degli incontri (in particolare quello più grave il coito orale, in cui il padre, uomo alto circa 2 metri e pesante oltre 100 Kg, si sarebbe posto in piedi addirittura sulle mani della bambina e l’assenza di macchie sulle lenzuola, mai riferite dalla madre, nonostante la bambina avesse detto che il papa, durante gli incontri, dopo averla coperta con le lenzuola, faceva la cacca e la pipì sul letto, pulendo prima dell’arrivo della moglie).

Analogo vizio viene rilevato in relazione alle altre dichiarazioni testimoniali che, secondo la Corte territoriale, avevano supportato le dichiarazioni della minore. Sul punto si sottolinea che tali dichiarazioni provengono da amiche della madre e si riferiscono a condotte successive al momento in cui era stata effettuata la denuncia ed erano già iniziate le sollecitazioni su G., che non aveva mai raccontato di tali episodi all’epoca della loro verificazione Ci si duole che non era stato dato alcun rilevo alle dichiarazioni rese dalla maestra di G. che aveva escluso ogni condotta erotizzata della bambina a scuola e a quelle rese da altra teste, Suor P.G., che, nel descrivere la minore come "intelligente e furbetta", aveva evidenziato la capacità dei bambini di cogliere gli aspetti deboli degli adulti e di accontentare, pertanto, la madre dicendo quello che avrebbe voluto sentirsi dire.

E’ sottoposta a censura anche la valutazione compiuta dai giudici di merito sulla personalità disturbata dell’imputato,sottolineando che il consulente del PM aveva escluso che quelle manifestazioni di personalità fossero sufficienti per porre una diagnosi di disturbo della personalità e che i comportamenti sessuali riferiti rientrassero in un quadro patologico di perversione. Si sottolinea, inoltre, per contrastare ancora la suddetta valutazione, l’intervenuta assoluzione dell’imputato con la formula perchè il fatto non sussiste in merito alla contestazione ex art. 600 quater cod. proc. pen., in quanto le immagini ritraenti minori rinvenute nel computer dell’imputato erano soltanto 15.

Con la seconda parte del ricorso lamenta la carenza di motivazione ed il travisamento delle risultanze probatorie sostenendo che la sentenza impugnata aveva trascurato di considerare una serie di rilievi esposti con l’atto di appello afferenti una serie di elementi favorevoli per l’imputato concernenti il grave disagio emotivo che la bambina aveva da sempre presentato e le testimonianze degli operatori che prima della denuncia avevano esaminato i componenti di quel nucleo familiare escludendo problematiche di abuso.

La sentenza, ritenendo la limitata valenza probatoria della perizia psicologica, sarebbe in contraddizione anche con la precedente sentenza della Corte di appello che aveva ritenuto la necessità di disporla.

Con il terzo motivo lamenta la carenza di motivazione in punto di pena con particolare riferimento al diniego delle attenuanti generiche motivato attraverso il riferimento alla gravità dei fatti, senza tener conto dello stato di incensuratezza dell’imputato e della correttezza della condotta processuale.

Con il quarto motivo censura la violazione di legge con riferimento alle conferma delle statuizioni civili, mentre doveva intendersi revocata la costituzione di parte civile. Ciò sul rilievo che la parte civile non aveva preso parte al giudizio di rinvio e non aveva pertanto depositato conclusioni scritte, come richiesto dal combinato disposto dell’art. 598 e art. 623 cod. proc. pen., comma 2.

E’ stata depositata nell’interesse dell’imputato relazione a firma della prof. D.C. da valere come memoria difensiva. La relazione approfondisce il tema della idoneità a testimoniare della bambina – sotto il profilo della capacità della medesima di recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle e di esprimerle in una visione complessiva – e quello della genuinità e dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla minore, con alcune considerazioni dirette a dimostrare la violazione da parte del giudice delle regole di giudizio che avrebbero dovuto guidare l’audizione del minore-testimone in maniera da selezionare sincerità, travisamento dei fatti e menzogna.

Il riferimento è in particolare alle raccomandazioni contenute nella cd. Carta di Noto, alle Linee Guida per l’acquisizione della prova scientifica nel processo penale, alle Linee Guida S.I.N.P.I.A. (Soc. Italiana di NEuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza) e le Linee Guida Nazionali per l’ascolto del minore del 2010.

Premesse, pertanto, una serie di considerazioni sulla complessa e disturbata personalità dei genitori della bambina, anche alla luce della consulenza svolta su incarico del PM, la memoria si concentra sulla minore, nata nel 1996, evidenziando innanzitutto il dato oggettivo che G. del 3 marzo 2000 al 3 ottobre 2002, presentando un serio disagio emotivo, venne sottoposta ad una serie di ricoveri ospedalieri, a seguito dei quali i sanitari concordemente esclusero l’evenienza di abusi sessuali; in data 19 e 28 febbraio 2003 la minore fu sottoposta ad incidente probatorio senza che fosse espletata perizia tecnica al fine di accertare la capacità della bambina a testimoniare; nel dicembre 2005, quando si svolge l’audizione dibattimentale di G., in cui la stessa fornisce una versione diversa ed inconciliabile con le pregresse, rievocando fatti avvenuti prima della separazione dei genitori, la minore è da tre anni in cura psicoterapica presso la dott.ssa P. e tale percorso curativo, come rilevato nella sentenza di annullamento, può aver contribuito ad alterare i ricordi. Si sostiene, inoltre, che il consulente nominato dal PM per effettuare indagini psichiche sui genitori aveva espresso un giudizio sulla stessa (" l’esame di realtà da parte di G. era integro") senza aver proceduto all’ascolto della minore in violazione della Carta di Noto.

Altro profilo di censura è rivolto all’omessa perizia sulla idoneità a testimoniare della bambina in violazione delle linee guida della Carta di Noto e di quelle della SINPIA che opportunamente prescrivono che, salvo casi eccezionali, sia disposta la perizia, partendo dal presupposto che il bambino è soggetto suggestionabile e, se escusso con metodiche non corrette e con domande suggestive, tende ad "adeguarsi alle aspettative" dell’interlocutore ed a riferire quello che l’adulto si aspetta; inoltre, i bambini piccoli hanno una memoria malleabile e possono incorporare nel proprio patrimonio mnestico le informazioni ricevute dagli intervistatori sino a crearsi falsi ricordi. Ciò potrebbe essere avvenuto nel caso in esame in cui la perizia venne disposta solo in appello dopo che la minore era stata già escussa una infinità di volte senza metodiche corrette. La perizia tardiva della dott. L., effettuata senza avere visto ed ascoltato la minore non avrebbe portato un contributo di verità alla situazione.

Altra censura è rivolta ai pareri espressi dai consulenti nominati dal PM sulla minore in violazione delle linee guida e delle norme deontologiche che vietano di esprimere giudizi si persone che non hanno incontrato.

Si sostiene ancore che nella disamina della valenza probatoria della dichiarazione della minore solo la sentenza di annullamento aveva fatto riferimento alla amnesia infantile, cioè alla incapacità a ricordare eventi autobiografici avvenuti prima di una certa età per l’immaturità del cervello e con la possibilità, pertanto, che esperienze traumatiche precoci nella vita possano essere ricordate solo come memorie emozionali e con il rischio per questi soggetti di sviluppare false memorie nel tentativo di riempite il vuoto tra quello che sentono e quello che loro sanno circa il proprio passato.

In questa prospettiva le dichiarazioni rese dalla minore in data 5 dicembre 2005, all’età di nove anni e mezzo (la visione del video pornografico ed i rapporti orali con il padre) denunciano, secondo prof. D.C., la loro natura di confabulazioni, sia per il dato temporale in cui sono state rese sia per l’elaborazione nelle descrizioni che appartiene ad un soggetto ormai fuori dalla fase dell’amnesia. E sono riconducibili alla specifica patologia riscontrata nella figura materna, che viveva nell’incubo di possibili abusi che il padre avrebbe potuto mettere in atto sulla figlia.

Con riferimento alle registrazioni di musicassette da parte della madre nel periodo compreso tra aprile e settembre 2002- tra cui quella denominata G.M. che ha dato origine al presente procedimento penale- si sostiene che le stesse costuitiscono prova inconfutabile della insostenibile pressione che è stata esercitata sulla bambina, integrante la fattispecie di una vera e propria vittimizzazione materna. In tal senso è stato posto in evidenza che G. non aveva mai fornito una narrazione libera della presunta esperienza traumatica vissuta con il padre e, dietro domande suggestive, aveva fornito narrazioni inconciliabili tra loro. Si spiega la genesi di tali registrazioni avvenute nel mese di luglio del 2002, pochi mesi dopo la separazione tra i coniugi (il F. uscì dalla casa coniugale l’1.9.2001) e la prima registrazione venne realizzata dalla madre prima di un fine settimana che G. avrebbe dovuto trascorrere con il padre). Lo spunto di tale registrazione è che la bambina il giorno dopo il suo sesto compleanno, giocando con delle marionette di stoffa, aveva fatto capire alla madre di avere eseguito una manovra nell’area genitale del padre, come riferito alla F., che aveva attribuito a tale gesto una rivelazione di natura sessuale.

Ci si sofferma sulla pratica della masturbazione nei bambini, sottolineando che non è da considerare una malattia o qualche cosa di riprovevole, potendo la stessa trovare giustificazione in finalità auto esplorative o di auto produzione di sensazioni piacevoli calmanti. I disagi di G. si spiegano alla luce della separazione dei genitori. Non è possibile ritenere che i "sintomi" di una personalità disturbata, anche nella sfera sessuale siano di per sè la prova dell’"abuso" e che quest’ultimo sia la spiegazione dei sintomi (cosiddetto ragionamento circolare), in quanto non è consentito da un indizio sicuro in fatto, ma equivoco nell’interpretazione, concludere per la certezza dell’evento che rappresenta il tema probatorio.

Si censurano le modalità di ascolto della bambina, in violazione delle linee guida che raccomandano di adottare una procedura che consenta di minimizzare le possibilità di inquinamento e di accrescere quelle di un corretto ricordo. La situazione di G. può spiegarsi con la precoce esperienza di una immagine paterna deteriorata dal rapporto con una madre impositiva e dall’angoscia creata dalla separazione. Sotto questo profilo si sostiene che è stata minimizzata dai giudici di merito la rilevanza della omessa perizia psicologica e che non si è fatto nulla per cercare di capire la personalità della minore.

Si insiste sul numero degli interrogatori e sulle modalità di audizione, fortemente caratterizzate da domande suggestive.

Quanto ai presunti indicatori di abuso, la relazione insiste sulla considerazione che non esiste nessun sintomo che caratterizzi il bambino abusato e non, potendo gli stessi sintomi, come nel caso in esame, risalire a traumi di carattere familiare.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Va premesso che, nel caso in esame, l’annullamento della sentenza del giudice di secondo grado è intervenuto per difetto di motivazione e, in particolare, per il ritenuto deficit motivazionale sulla attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa. Ciò tenuto conto i della tardività della perizia psicologica, disposta solo in appello, con il limite fondamentale costituito dal non avere avuto l’esperta contatti diretti con la bambina e con i suoi genitori e delle insoddisfacenti risposte alle puntuali critiche agli argomenti prospettati dalla difesa afferenti una possibile distorsione mnestica della minore sia per i numerosi interrogatori cui era stata sottoposta nel corso degli anni sia per pesanti interventi manipolatori della madre sia per le audizioni disposte dalla Polizia con una procedura che non prevede le cautele a tutela del minore sia perchè la bambina era stata sentita al dibattimento dopo anni di psicoterapia che poteva aver contribuito ad alterare i ricordi.

Ciò posto, va ricordato che, come è noto, i poteri del giudice di rinvio sono diversi a secondo che l’annullamento sia stato pronunciato per violazione o erronea applicazione della legge penale oppure per mancanza o manifesta illogicità della motivazione.

Invero, nel primo caso, il giudice di rinvio ha sempre l’obbligo di uniformarsi alla decisione sui punti di diritto indicati dal giudice di legittimità e su tali punti nessuna delle parti ha facoltà di ulteriori impugnazioni, pur in presenza di una modifica dell’interpretazione delle norme che devono essere applicate da parte della giurisprudenza di legittimità.

Nel caso, invece, di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di rinvio conserva la libertà di decisione mediante autonoma vantazione delle risultanze probatorie relative al punto annullato anche se è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento. In tale ipotesi, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (v. Sezione 4^, 21 giugno 2005, Poggi, rv 232019) il giudice di rinvio è vincolato dal divieto di fondare la nuova decisione sugli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Corte di cassazione, ma resta libero di pervenire, sulla scorta di argomentazioni diverse da quelle censurate in sede di legittimità ovvero integrando e completando quelle già svolte, allo stesso risultato decisorio della pronuncia annullata. Ciò in quanto spetta esclusivamente al giudice di merito il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova, senza essere condizionato da valutazioni in fatto eventualmente sfuggite al giudice di legittimità nelle proprie argomentazioni, essendo diversi i piani su cui operano le rispettive valutazioni e non essendo compito della Corte di cassazione di sovrapporre il proprio convincimento a quello del giudice di merito in ordine a tali aspetti. Del resto, ove la Suprema Corte soffermi eventualmente la sua attenzione su alcuni particolari aspetti da cui emerga la carenza o la contraddittorietà della motivazione, ciò non comporta che il giudice di rinvio sia investito del nuovo giudizio sui soli punti specificati, poichè egli conserva gli stessi poteri che gli competevano originariamente quale giudice di merito relativamente all’individuazione ed alla valutazione dei dati processuali, nell’ambito del capo della sentenza colpito da annullamento.

Non viola, pertanto, l’obbligo di uniformarsi al cd. giudicato interno il giudice di rinvio che dopo l’annullamento per vizio di motivazione, pervenga nuovamente all’affermazione di responsabilità dell’imputato sulla scorta di un percorso argomentativo in parte diverso ed in parte arricchito rispetto a quello censurato in sede di legittimità.

Ed invero, eventuali elementi di fatto e valutazioni contenuti nella pronuncia di annullamento non sono vincolanti per il giudice di rinvio, ma rilevano esclusivamente come punti di riferimento al fine della individuazione del vizio o dei vizi segnalati e, non, quindi come dati che si impongono per la decisione a lui demandata.

La Corte di merito ha rispettato questi principi, fornendo a supporto della decisione di condanna una motivazione logica ed esaustiva ai fini del vaglio di legittimità, laddove ha affrontato tutti i punti topici della decisione: i punti della capacità a testimoniare della minore vittima della violenza sessuale e quello dell’apprezzamento valutativo delle dichiarazioni rese.

Mentre il primo, come è noto, ben può essere delegato al contributo di un tecnico medico, psicologo, ecc, l’altro, che riguarda l’attendibilità e la genuinità della dichiarazione, spetta inderogabilmente al giudice.

E’ quindi al giudice che è appunto riservato l’apprezzamento valutativo sul contenuto della prova e, quindi, per quanto interessa, sulla attendibilità e genuinità della dichiarazione del minore, in sè e con riferimento agli eventuali riscontri esterni (cfr. art. 187 e segg. cod. proc. pen.).

Anche di recente, in tal senso, si è pronunciata questa Corte, ribadendo a chiare lettere, proprio in tema di dichiarazioni rese dal teste minore vittima di abusi sessuali, che, mentre, al fine di valutare l’attitudine a testimoniare, ovvero la capacità di recepire le informazioni, di raccordarle con altre, di ricordarle e di esprimerle in una visione complessiva, può farsi ricorso ad indagine tecnica che fornisca al giudice i dati inerenti al grado di maturità psichica dello stesso, nessun accertamento tecnico è consentito quando si tratti di valutare l’attendibilità della prova: tale operazione rientra, infatti, nei compiti esclusivi del giudice, che deve esaminare il modo in cui il minore abbia vissuto e rielaborato la vicenda, in maniera da selezionare sincerità, travisamento dei fatti e menzogna (Sezione 3^, 8 gennaio 2009, Servedio, n.m.).

E’ quindi l’autorità giudiziaria che ha la competenza assoluta e indelegabile di valutare il compendio probatorio e, in primo luogo, di apprezzare la valenza dimostrativa della dichiarazione della vittima, pur minore di età, la quale, come non infrequentemente si verifica proprio in materia di reati sessuali, è l’unica "fonte diretta" di conoscenza del fatto incriminato.

Ed è vero, al riguardo, che, secondo principio consolidato, la deposizione della persona offesa dal reato, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere anche da sola assunta come fonte di prova della colpevolezza del reo, ove venga sottoposta ad un’indagine positiva sulla credibilità soggettiva ed oggettiva di chi l’ha resa: ciò valendo, in particolare, proprio in tema di reati sessuali, l’accertamento dei quali passa, nella maggior parte dei casi, attraverso la necessaria valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilità, dall’esterno, all’una o all’altra tesi (v. ex pluribus, la già citata sentenza della Sezione 4^, 21 giugno 2005, Poggi).

Detto altrimenti, secondo principio pacifico: la testimonianza della vittima, ove ritenuta intrinsecamente attendibile, costituisce una vera e propria fonte di prova, purchè la relativa valutazione sia adeguatamente motivata; e ciò vale, in particolare, quando si verta in ipotesi di reati commessi in un ambito privato (quale in caso di reati sessuali del tipo di che trattasi), che non possono essere accertati altro che attraverso la valutazione e la comparazione delle opposte versioni dei fatti.

E’ indubbio che questa serrata indagine diretta a apprezzare la credibilità della deposizione è però molto delicata quando si tratti di valutare le dichiarazioni di minorenni, specie se vittime di reati sessuali.

Ciò in quanto, mentre l’adulto può mentire, affermando qualcosa che sa non essere conforme alla verità, con lo scopo di indurre gli altri in errore per trame un vantaggio, il bambino e l’adoloscente (quest’ultimo in misura minore) hanno, assai spesso, la singolare attitudine alla ‘Tabulazione magica", che è una sorta di "credenza assertiva", alla quale si abbandonano (per varie ragioni), creando quasi una sorta di "pseudorealtà", riuscendo molto spesso a rappresentarsi la realtà solo immaginandola e costruendosi un’immagine del mondo ordinata secondo i loro desideri, le loro emozioni, le loro prime esperienze (cfr. Sezione 3^, 5 ottobre 2006, Agnelli ed altro, rv. 235578). Detto altrimenti: il bambino è soggetto suggestionabile e, se escusso con metodiche non corrette e con domande suggestive, tende ad "adeguarsi alle aspettative" dell’interlocutore ed a riferire quello che l’adulto si aspetta;

inoltre, i bambini piccoli hanno una memoria malleabile e possono incorporare nel proprio patrimonio mnestico le informazioni ricevute dagli intervistatori sino a crearsi falsi ricordi autobiografici (cfr. Sezione 3^, 29 gennaio 2008- 12 marzo 2008, n. 11098, P.).

In questa prospettiva di rigore valutativo, occorre certamente una particolare cautela nell’esaminare la narrazione di un minore, vittima di reati sessuali, che deve estendersi anche alla ricostruzione della genesi della notizia di reato ed alle circostanze nelle quali il bambino si è aperto con gli adulti di riferimento ed alle modalità con le quali è stato intervistato.

E’ infatti la prova testimoniale che assume fondamentale rilievo ai fini della decisione.

Nel caso in esame, la Corte ha fatto corretta applicazione di tali principi e dei propri poteri valutativi.

Sotto il primo profilo (la capacità a testimoniare della bambina) i giudici di appello, premessa la limitata valenza probatoria della perizia psicologica svolta in precedenza, per le ragioni esposte dalla S.C., hanno concluso per un giudizio di idoneità della bambina a riferire circostanze vere e non suggerite da altri, facendo riferimento alla sentenza di primo grado (pervenuta ad un giudizio di responsabilità pur in assenza di perizia psicologica) e valorizzando le dichiarazioni rese in dibattimento dalla psicoterapeuta P., che aveva seguito G. dal gennaio 2003 e quelle del consulente del PM, assolutamente coerenti con le conclusioni della perizia.

Non può trovare accoglimento la doglianza con cui il ricorrente vorrebbe sostenere l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla dr.ssa P. per una sostanziale incompatibilità tra la funzione dell’esperto incaricato di effettuare una valutazione sul minore a fini giudiziari e quella di sostegno del minore stesso, non sussistendo alcun divieto in tal senso (è nota l’efficacia non precettiva delle linee guida).

Sotto il secondo profilo (il giudizio sull’attendibilità delle dichiarazioni), la Corte di merito ha sostanzialmente fatto richiamo ai principi sopra esposti, fornendo una spiegazione sul profilo della ritenuta attendibilità che, pur ad essa potendosi legittimamente opporre le critiche articolate nel ricorso, non risulta censurabile in questa sede, perchè logica e non irrazionale. Questa serrata indagine diretta a apprezzare la credibilità della deposizione è stata qui sviluppata in modo satisfattivo, perchè la Corte si è soffermata sui punti "critici" bene evidenziati dal primigenio annullamento della Cassazione e qui riproposti dalla difesa soprattutto la possibilità di condizionamento della bambina a seguito delle ripetute audizioni, la possibilità di interventi manipolatori della madre e la possibilità che la prolungata psicoterapia ed il connesso percorso curativo possano aver contribuito ad alterare i ricordi della bambina).

Anzi, il giudicante si è satisfattivamente soffermato su ciascun punto, sviluppando una attenta analisi degli elementi probatori in atti ritenuti conferenti e confermativi dell’accusa.

In particolare, ha sviluppato una serie di considerazioni in forza delle quali ha ritenuto concludenti, per dimostrare la condotta incriminata, le plurime dichiarazioni della piccola dinanzi alla P.G., evidenziando in proposito che tali dichiarazioni, tenendo conto della tenera età della vittima, non risultano sollecitate e suggerite, giacchè le pressioni delle interroganti risultavano del tutto legittime in quanto volte a vincere la ritrosia della bambina- all’epoca di sei anni- nel rivelare fatti dei quali percepiva la delicatezza. Proprio sotto questo profilo, il giudice ha sviluppato considerazioni a supporto del raggiunto convincimento che le modalità di assunzione di tali dichiarazioni non avevano influenzato il relativo contenuto, proprio tenendo conto dell’assunto che, non infrequentemente, i bambini in tenera età possono essere involontariamente indotti a rendere una determinata versione a seguito di suggestione e di condizionamento.

Ciò che, qui, secondo il giudice, non si era verificato, emergendo indicazioni in forza delle quali la bambina aveva reso dichiarazioni coerenti con l’impostazione accusatola senza condizionamenti e senza utilizzare informazioni illegittimamente trasmesse, resistendo saldamente alla reiterazione di domande sugli stessi argomenti.

Il relativo giudizio è stato motivato in modo non illogico e ciò non consente un intervento censorio in questa sede, non potendosi dare accesso alle diverse, opinabili letture fornite nel ricorso che, a ben vedere, si risolvono in censure di merito inidonee a evidenziare macroscopiche illogicità o contrasti irrisolvibili.

Infondata è anche la censura afferente l’asserito travisamento delle risultanze processuali.

Va ricordato, in proposito, che il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità deve, per espressa previsione normativa, risultare dal testo del provvedimento impugnato ovvero – a seguito della modifica apportata all’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8 – da "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", il che vuoi dire, quanto al vizio di "manifesta illogicità", per un verso, che il ricorrente deve dimostrare in tale sede che l’iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e che, per altro verso, questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un’altra interpretazione o di un altro iter, quand’anche, in tesi, egualmente corretti sul piano logico. Ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano ad una diversa lettura o interpretazione, ancorchè munite, in tesi, di eguale crisma di logicità. A ciò dovendosi aggiungere che l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. Mentre, con riferimento al sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (di recente, Sezione 4^, 12 giugno 2008, De Blasi, n.m.).

Il ricorrente si limita, in realtà, a proporre una lettura alternativa che non può trovare accoglimento, rispetto ad una decisione che, con motivazione satisfattiva e rispettosa delle indicazioni date da questa Corte nella richiamata sentenza di annullamento, ha fatto corretta applicazione del principio applicabile in tema di reati contro la libertà sessuale secondo cui la valutazione del contenuto delle dichiarazioni della persona offesa minorenne deve contenere un esame sia dell’attitudine psicofisica del teste ad esporre le vicende in modo esatto, ovvero di recepire le informazioni, raccordarle con altre e di esprimerle in una visione complessiva, sia della sua posizione psicologica rispetto al contesto delle situazioni interne ed esterne che hanno regolato le sue relazioni con il mondo esterno (v. Sezione 3^, 4 febbraio 2009, Cavallaro ed altro, n.m.).

Attento passaggio argomentativo il giudice ha dedicato al tema della gradualità del disvelamento dei fatti operato dalla bambina (il riferimento è alla presenza di altri uomini durante gli incontri con il padre ed al coito orale con quest’ultimo). Il giudice ha sottoposto a disamina tutti i passaggi delle dichiarazioni rese dalla vittima, di cui ha spiegato la complessiva linearità, escludendo, in modo convincente, ogni intervento suggestivo ad opera di terzi e sottolineando come fosse plausibile che nel dicembre del 2005 G. fosse in grado di raccontare compiutamente i fatti di cui era stata vittima, atteso il trascorrere di tre anni e mezzo dai fatti ed il miglioramento delle condizioni psichiche indubbiamente determinato dal percorso psicoterapeutico intrapreso.

Non solo. I giudici di appello hanno logicamente e condivisibilmente affermato che i dettagli riferiti da G. apparivano frutto di diretta esperienza, non potendo essere, per la loro esattezza, fantasticherie della bambina, ma neppure oggetto di informazione apprese da altri, come palesatosi dalla inesattezza nella descrizione del liquido emesso dall’organo genitale del padre, frutto della evidente ingenuità.

Ciò è satisfattivo ai fini di interesse e tenuto conto dei limiti del giudizio di legittimità.

Infondata è anche la censura circa l’asserita carenza motivazionale sulla probabile distorsione mnstica della bambina, rilevata nella sentenza di annullamento.

Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, i giudici di appello hanno affrontato la questione, evidenziando che i sospetti della madre di G. risalivano al 2000, quando la bambina aveva quattro anni e non risulta, in generale, che l’amnesia infantile perduri fino a questa età e, nel caso specifico, tale dato risultava contraddetto dalla capacità di G. di ricordare anche episodi precedenti.

Giova, inoltre, evidenziare che il giudicante, richiamando anche la conforme decisione di primo grado, ha sottoposte ad adeguata analisi logica le dichiarazioni della minore, apprezzandole,nella loro ritenuta compatibilità, con gli ulteriori elementi di riscontro acquisiti in atti (in particolare, e fra l’altro, le dichiarazioni della madre ed altre testimonianze di donne che avevano assistito a condotte poste in essere dalla bambina, con forte connotazione sessuale e ai ripetuti riferimenti da parte della medesima agli approcci sessuali del padre). Tale disamina, va soggiunto, ha puntualmente affrontato la questione della possibilità di interventi manipolatori della madre, escludendone in ogni caso le effettive conseguenze rilevanti sulle dichiarazioni della bambina ed è stata estesa anche alla disamina delle critiche che la difesa aveva ritenuto di articolare sulla genuinità ed attendibilità di talune delle dichiarazioni accusatorie (siccome asseritamente provenienti dalle amiche della madre) smentendone il fondamento.

Tale modus agendi, del resto, è esente da qualsivoglia censura in diritto, avendo il giudicante fatto buon uso, tra l’altro, dei principi valutativi che devono caratterizzare la valutazione della prova dichiarativa, specie allorchè si verta in materia di reati sessuali.

Qui, a ben vedere, il giudicante ha rispettato i suddetti principi, sottoponendo ad un adeguato vaglio di credibilità le deposizioni della persona offesa (plurime e tutte ritenute convergenti), estendendo il vaglio anche ad altri elementi (in primo luogo, le altre deposizioni testimoniali) che, pur se giuridicamente non necessari (come si è accennato la deposizione della persona offesa non necessita di riscontri esterni, nei termini sopra specificati), è stato ritenuto corroborassero ab externo il contenuto delle propalazioni accusatone.

In relazione all’adeguatezza della pena ed al diniego delle circostanze attenuanti generiche, appare, invero, assolutamente corretto e insindacabile in sede di legittimità il rilievo fattuale del giudice di merito in ordine ai connotati di elevata gravità dei fatti, del loro pesante disvalore, degli enormi danni cagionati alla persona offesa che rendevano l’imputato immeritevole di un più mite trattamento sanzionatorio.

In particolare, quanto alle attenuanti generiche, la decisione è in linea con la costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, e1 sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare o meno la concessione del beneficio; e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo, non è censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. Ciò vale, a fortiori, anche per il giudice d’appello, il quale, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante qui, per vero, giudicate "generiche", non è tenuto ad un’analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione (v., tra le tante, Sezione 3^, 8 ottobre 2009, Esposito, n.m.): il giudice si è attenuto a tale principio valorizzando negativamente, tra i criteri valutativi tratteggiati dall’art. 133 cod. pen., quello della gravità dei fatti e delle conseguenze personali della parte offesa, considerati, in modo qui incensurabile come assorbente ai fini del diniego. Di talchè le censure del ricorrente circa pretese carenze motivazionali della sentenza impugnata in ordine ai punti suindicati risultano infondate.

E’ infondato anche il motivo rivolto a far valere la violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla conferma delle statuizioni civili che si assume assunta in violazione dell’art. 82 cod. proc. pen., comma 2.

La decisione è in linea con la consolidata giurisprudenza di questa corte (v. Sezione 6^, 11 dicembre 2008, Russo ed altro, rv. 242132) secondo la quale la mancata presentazione delle conclusioni scritte nel giudizio di rinvio non determina la revoca della costituzione di parte civile, qualora le conclusioni siano state rassegnate nel processo di primo grado, rimanendo valide, in quanto tali, in ogni stato e grado del processo, in virtù del principio di immanenza della costituzione di parte civile.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Ricorrono i presupposti di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, comma 2, (codice in materia di protezione dei dati personali), va disposta, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettrica, l’omissione delle indicazioni delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati nella sentenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 192 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2011

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