T.A.R. Lazio Roma Sez. III, Sent., 09-01-2012, n. 151 Ricercatori universitari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L’odierna ricorrente fa presente di essere ricercatrice confermata presso il Dipartimento di Pediatria della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’intimata Università degli Studi di Roma "La Sapienza" e di svolgere dal 2.8.2004 le funzioni di Dirigente Medico presso il D.A.I. Clinica Pediatrica, essendo stata peraltro anche formalmente incaricata, dal 27.7.2008, di dirigere la neo costituita struttura complessa UOC Fibrosi Cistica presso l’Azienda Policlinico Umberto I.

In data 26.2.2008 aveva chiesto di permanere in servizio per un ulteriore biennio ex art. 16 del D.Lgs. n. 503 del 1992. Al riguardo era anche intervenuto il DR 11.3.2008 di trattenimento in servizio attivo fino al 31.10.2013, e tuttavia, essendo successivamente entrata in vigore la L. n. 240 del 2010 (il cui art. 25 ha previsto l’inapplicabilità ai professori e ricercatori universitari del sopra citato art. 16 e la decadenza dei provvedimenti di trattenimento già adottati e che, come quello riguardante appunto la ricorrente, non abbiano "già iniziato a produrre i loro effetti") legittimamente l’Amministrazione con DR del 24.3.2011 ha comunicato l’inaccoglibilità della domanda di trattenimento in servizio suddetta (che era stata in effetti reiterata in data 24.8.2009 "secondo i termini temporali previsti dall’art. 72, comma 7", della L. n. 133 del 2008) e ha contestualmente disposto la cessazione dell’interessata dal ruolo di appartenenza dall’1.11.2011, per raggiunti limiti di età

Peraltro, con istanza del 29-1-2011, la ricorrente ha anche chiesto all’Azienda Policlinico e al Rettore, prospettando di aver maturato "solo 31 anni di servizio effettivo", di essere mantenuta in servizio attivo fino all’anno 2016, ovvero, essendo nata il 4.6.1946, fino al compimento dei 70 anni di età, ai sensi dell’art.22 della L. n. 183 del 2010,.

Con nota del Rettore dell’Università intimata del 25-2-2011 è stata tuttavia respinta l’istanza suddetta sulla base della rilevata non applicabilità ai docenti universitari della disposizione dell’art. 22 della L. n. 183 del 2010, riferita ai soli dirigenti medici del servizio sanitario nazionale (cui "è consentito" infatti "di inoltrare istanza di prolungamento del rapporto di lavoro fino al maturare del quarantesimo anno di servizio effettivo" e non oltre i 70 anni di età), soggiungendosi altresì, nella medesima nota, che l’interessata "alla data del 01.11.2011 avrà maturato oltre 40 anni di servizio effettivo".

Con il decreto rettorale suddetto n. 867 del 24-3-2011 è stato quindi disposto il collocamento a riposo della dott.ssa Q., a decorrere dall’1-11-2011, avendo raggiunto il sessantacinquesimo anno di età.

Avverso i suddetti provvedimenti (anche specificati in epigrafe) è stato proposto il ricorso di cui trattasi, per i seguenti motivi:

-violazione dell’art 15 nonies, I e II comma, del D.Lgs. n. 502 del 1992; dell’art 22 della L. n. 183 del 2010; violazione dell’art 5 del D.Lgs. n. 517 del 1999; eccesso di potere per difetto di istruttoria; omessa valutazione delle circostanze di fatto e di diritto, difetto dei presupposti; illogicità, irrazionalità manifesta, carenza di motivazione.

Si è costituita l’intimata Università, contestando la fondatezza delle prospettazioni ricorsuali e concludendo per il rigetto delle stesse.

Alla pubblica udienza del 19-10-2011 il ricorso è stato assunto in decisione.

Al riguardo deve essere evidenziato che l’ubi consistam della presente controversia è prioritariamente individuabile nelle determinazioni con le quali la resistente Università ha rigettato l’istanza con cui la dott.ssa Q. ha chiesto, ai sensi dell’art.22 della L. n. 183 del 2010 (che attribuisce il diritto al mantenimento in servizio sino al maturare del 40 anno di servizio effettivo e non oltre il 70 anno di età), di essere mantenuta in servizio attivo fino al compimento dei 70 anni, avendo maturato solo 31 anni di servizio effettivo.

Sostiene in sintesi la ricorrente che l’art. 22 della L. n. 183 del 2010 si applica anche ai dirigenti medici universitari, come risulterebbe del resto anche sul piano letterale, avendo sostituito il citato articolo, nel modificare l’art. 15 nonies del D.Lgs. n. 502 del 1992, le parole "dirigenti medici del servizio sanitario nazionale" con quelle "dirigenti medici e del ruolo sanitario del servizio sanitario nazionale".

A sostegno di tale interpretazione è stato inoltre fatto presente che:

a) l’attività istituzionale del personale docente e ricercatore delle Facoltà di Medicina e Chirurgia è onnicomprensiva delle funzioni didattiche, di ricerca ed assistenziali che risultano essere inscindibili, come è testimoniato dalla normativa in materia, in cui è espressamente stabilito che il personale sanitario universitario deve essere assimilato alle qualifiche del personale ospedaliero e che esso è destinatario dei medesimi diritti e doveri dei sanitari ospedalieri, nonchè dalle sentenze della Corte Costituzionale secondo cui l’attività di assistenza ospedaliera e quella didattico-scientifica si pongono per il personale medico universitario in un rapporto che non è solo di stretta connessione ma di vera e propria compenetrazione (sentenze nn.71/01; 136/1997; 126/1981);

b) la non applicabilità a favore del personale medico universitario del citato art. 22 verrebbe a concretizzare una palese violazione dell’art. 3 della Costituzione.

La prospettazione ricorsuale non è suscettibile di favorevole esame.

L’art.15 nonies, comma primo, del D.Lgs. n. 502 del 1992 fa riferimento unicamente, ai fini del collocamento a riposo, ai dirigenti medici del servizio sanitario nazionale e del ruolo sanitario del servizio sanitario nazionale. Invero l’intera locuzione "dirigenti medici e del ruolo sanitario" è da correlarsi alla successiva precisazione della comune appartenenza al SSN (che non è predicabile invece per i docenti medici universitari, anche se strutturati ai fini assistenziali). La seconda delle suddette categorie (dirigenti del ruolo sanitario) comprende poi (cfr., del resto, al riguardo, l’art. 2 dell’Accordo Quadro per la definizione delle aree della dirigenza per il 2006/2009) unicamente quelle figure soggettive dirigenziali dello stesso servizio nazionale, diverse dai medici ( biologi, psicologi, ecc). La disposizione in esame non modifica quindi lo stato giuridico del personale medico universitario. D’altra parte il riferimento esclusivo al personale del SSN contenuto nel primo comma dell’art. 15 nonies di cui trattasi, risulta evidenziato anche dal confronto con la ben diversa (ed inequivoca) dicitura utilizzata nel secondo comma dello stesso articolo per riferirsi specificamente, questa volta sì, al "personale medico universitario". Da tale contesto normativo si evince quindi chiaramente, contrariamente a quanto prospettato dall’odierna istante, che la norma invocata non incide sullo stato giuridico dei docenti e ricercatori universitari di materie cliniche, per i quali lo svolgimento di funzioni assistenziali non muta il tipo di rapporto di lavoro che resta eminentemente universitario.

Infatti, sia le disposizioni del D.Lgs. n. 517 del 1999 sia le invocate sentenze della Corte Costituzionale sono finalizzate ad equiparare, per quanto riguarda i diritti e doveri relativi all’espletamento dell’attività assistenziale, il personale docente e i ricercatori universitari con il personale di corrispondente qualifica del servizio sanitario nazionale, ma non hanno in alcun modo inciso sullo stato giuridico dei primi, disciplinato da una specifica normativa. Tale conclusione risulta chiaramente avvalorata dall’art. 5 del D.Lgs. n. 517 del 1999 il quale espressamente prevede (comma 2) che ai professori e ricercatori universitari di cui al comma 1 si applicano bensì le norme stabilite per il personale del Servizio sanitario nazionale, ma con limitato riferimento "a quanto attiene all’esercizio dell’attività assistenziale, al rapporto con le aziende e a quello con il direttore generale" e "fermo restando il loro stato giuridico" (cui appartiene la disciplina dell’età di collocamento a riposo). Le equiparazioni delle due categorie in esame sono dunque limitate a quelle sopra specificate e ad altri istituti di carattere prettamente economico retributivo (a questi ultimi si riferiscono ad es. l’art. 31 del D.P.R. n. 761 del 1979 e la invocata sentenza del CdS n. 7756/2010). Nessuna modifica, invece, sul piano dei limiti anagrafici di servizio, dell’età di collocamento a riposo e delle possibilità di trattenimento in servizio, è stata introdotta, per i ricercatori universitari (anche se strutturati in posizione dirigenziale con funzioni mediche), rispetto alla disciplina di status universitario contenuta nell’art. 34 del D.P.R. n. 382 del 1980, dalla successiva normativa e particolarmente da quella contenuta nella L. n. 183 del 2010.

In ordine poi all’asserita incostituzionalità dell’art. 15 nonies sopra menzionato nella parte in cui non estende ai medici universitari la disciplina dell’età pensionabile dei dirigenti medici del SSN, per violazione dei parametri costituzionali invocati (art. 3 Cost.), il Collegio la ritiene manifestamente non fondata, attesa la palese diversità dello stato giuridico dei medici universitari rispetto a quello dei medici del servizio sanitario nazionale, che risulta giustificabile alla luce della diversa disciplina del reclutamento delle due categorie, e che in nessun caso può essere superata dalla circostanza che solo limitatamente all’espletamento dell’attività assistenziale entrambe le categorie sono destinatarie dei medesimi diritti ed obblighi.

La differenza nel rapporto di lavoro dei ricercatori e dei dirigenti medici del servizio sanitario appare palese sia per le modalità di disciplina del rapporto: quello dei dirigenti medici del SSN regolato dalla contrattazione collettiva, quello dei ricercatori dalla legge; sia per la diversa giurisdizione a cui è attribuita la tutela del rapporto di lavoro: giudice ordinario per i medici del SSN e giudice amministrativo per i ricercatori.

La circostanza relativa dunque allo svolgimento da parte dei ricercatori anche dell’attività assistenziale non comporta alcuna modifica del rapporto di lavoro o equiparazione a quello dei medici del SSN, rimanendo ognuno regolato da diverse fonti normative.

Deve essere evidenziato, altresì, che una eventuale disparità di trattamento si verrebbe a creare, invece, nel caso della applicazione della norma invocata ai ricercatori medici. L’eventuale applicazione della disciplina di cui all’art.15 nonies a favore dei ricercatori medici verrebbe a creare un’ingiustificata disparità di trattamento nell’ambito della categoria dei ricercatori, in palese contrasto con l’esigenza di uniformità del trattamento giuridico della suddetta categoria.

Consegue da quanto esposto il riconoscimento della legittimità (sotto il profilo esaminato) del collocamento a riposo della ricorrente in relazione al raggiungimento del 65 anno di età, potendosi pertanto prescindere dai rilievi dell’Amministrazione (e dalle relative contestazioni della ricorrente) riguardanti il raggiungimento (o meno) da parte della ricorrente stessa dei 40 anni di servizio effettivo.

Anche il secondo motivo di ricorso è privo di fondamento, in quanto il comma 2 dell’art. 15 nonies del D.Lgs. n. 502 del 1992 prevede, per il personale medico universitario, soltanto la cessazione delle funzioni assistenziali (c.d. "pensionamento assistenziale") al raggiungimento dei 67 anni di età, senza incidere sui limiti di età per il mantenimento in servizio e dunque fermo restando lo stato giuridico di ciascuna categoria di personale. Si tratta, in altre parole, di mantenimento di funzioni assistenziali fino ai 67 anni solo per chi, in base ai parametri del proprio status giuridico, a quell’età è ancora in servizio (cfr., al riguardo, CdS, VI, 27.4.2001, n. 2460).

Ciò premesso, il ricorso in trattazione deve essere rigettato.

Sussistono tuttavia giusti motivi, data la particolarità delle questioni trattate, per compensare tra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Bruno Amoroso, Presidente

Domenico Lundini, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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