Cass. civ. Sez. I, Sent., 21-06-2012, n. 10391

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Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado con cui, fra l’altro, la pensione di reversibilità relativa al sig. S.M., già dipendente della Banca d’Italia (deceduto il (OMISSIS)), era stata ripartita fra la coniuge superstite, sig.ra C.G., e la ex coniuge, sig.ra M.G., in ragione rispettivamente del 35 % e del 65 %.

La Corte ha osservato che il primo matrimonio del sig. S., con la sig.ra M., era durato 27 anni, e il secondo, con la sig.ra C., era durato soltanto 8 anni, ma era stato preceduto da una convivenza databile dal 1990, come dimostrato dal certificato di residenza in atti; che l’assegno divorzile della sig.ra M. ammontava a soli Euro 220,00 mensili; che la medesima sig.ra M. percepiva, inoltre, una pensione sociale di Euro 306,00 mensili e possedeva l’appartamento in cui abitava, mentre la sig.ra C. viveva in una casa in locazione, percepiva un reddito da lavoro di circa Euro 14.000,00 netti annui e possedeva immobili. Ha quindi considerato che il matrimonio della sig.ra M. era durato più a lungo di quello con la sig.ra C., pur tenendo conto del periodo di convivenza prematrimoniale quanto alla seconda unione, e che la situazione economica della C. era indubbiamente migliore di quella della M.; che, per altro verso, non andava trascurata la particolare esiguità dell’assegno divorzile di quest’ultima. Ha pertanto concluso che il Tribunale aveva valutato con equità tutti i predetti elementi, sicchè la sua decisione poteva essere condivisa.

La sig.ra C. ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi di censura. La sig.ra M. ha resistito con controricorso e l’INPS ha nominato difensori con procura speciale.

La ricorrente e la controricorrente hanno anche presentato memorie.

Motivi della decisione

1. – Va esaminato per primo il quinto motivo di ricorso, avente carattere pregiudiziale perchè contiene una denuncia di nullità della sentenza impugnata per la omessa considerazione di una parte processuale, l’INPS, chiamato in giudizio per ordine di integrazione del contraddittorio impartito dal Tribunale e regolarmente citato, ma rimasto contumace, anche in appello. La sentenza impugnata, infatti, mentre menziona la sig.ra M., la sig.ra C. e la Banca d’Italia, tutte presenti in giudizio, non contiene alcun riferimento all’INPS nè nell’intestazione nè altrove.

1.1. – Il motivo è infondato. La lamentata omissione costituisce mero errore materiale, emendabile ai sensi degli artt. 287 e 288 c.p.c., pacifica essendo comunque e risultando dagli atti l’estensione del giudizio anche all’INPS, benchè non costituitosi nei gradi di merito (cfr., e pluribus, Cass. 10853/2010, 7959/2009, 4796/2006).

2. – Con il primo motivo, denunciando violazione di norme di diritto e vizio di motivazione, si censurano le modalità di applicazione del criterio base di ripartizione della pensione di reversibilità fra ex coniuge e coniuge superstite, costituito dalla durata del matrimonio.

La ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia affermato che il matrimonio fra la sig.ra M. e il sig. S. era durato 27 anni; invece era durato 23 anni e tre mesi, come emergeva dalle concordi allegazioni delle parti, dal certificato di matrimonio e dalla sentenza di divorzio, da cui risultava che il matrimonio era stato celebrato il 26 settembre 1964 e il divorzio era stato pronunciato nel dicembre 1987.

2.1. – La censura è fondata sotto il profilo del vizio di motivazione, non risultando dalla sentenza impugnata che la Corte d’appello, nell’accertare la durata del matrimonio di cui trattasi, abbia tenuto conto dei documenti indicati dalla ricorrente.

3. – Seguono, nell’ordine logico, i motivi terzo e quarto, da esaminare congiuntamente perchè connessi.

3.1. – Con il terzo motivo si denuncia vizio di motivazione. Si deduce che, nel determinare in ragione del 65% e 35% le quote della pensione rispettivamente spettanti alle parti, il Tribunale aveva ritenuto di non prendere in considerazione l’elemento correttivo del criterio della durata del matrimonio costituito della convivenza prematrimoniale fra la C. e il S., e di ciò la C. si era doluta con il primo motivo di appello, del quale la sentenza ora impugnata da puntualmente atto. Si lamenta, quindi, anzitutto che la Corte d’appello, pur dichiarando di prendere in considerazione tale elemento, non considerato invece dal Tribunale, abbia poi contraddittoriamente confermato la medesima attribuzione delle quote già operata da quest’ultimo; se, poi, affermando che il Tribunale aveva tenuto conto di "tutti gli elementi", la Corte aveva inteso sostenere che il medesimo – contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante – aveva preso in considerazione anche la durata della convivenza prematrimoniale, allora avrebbe dovuto adeguatamente motivare il superamento del contrario assunto dell’appellante.

3.2. – Con il quarto motivo, denunciando vizio di motivazione, si lamenta che la Corte d’appello, a fronte delle complesse considerazioni svolte dalla ricorrente circa l’esiguità dell’assegno divorzile – soli Euro 220,00 mensili – percepito dalla M., la mancata richiesta di revisione del medesimo per circa venti anni e la irragionevole assegnazione di una quota di pensione – Euro 1.820,00 mensili – abnorme rispetto all’entità di quell’assegno, abbia motivato osservando soltanto che "non va trascurato che l’assegno divorzile percepito, senza contestazioni, da quest’ultima era di importo veramente ridotto".

3.3. – Va previamente dato atto che la ricorrente enuncia, in una premessa alla esposizione di tutti i motivi di ricorso, due tesi giuridiche che integrano, nella sostanza, con profili di violazione di legge le censure ora in esame (entrambe rubricate come meri vizi di motivazione) e delle quali occorre dunque darsi carico.

La prima tesi è che la durata dell’eventuale convivenza more uxorio, di cui occorre tener conto nel determinare le quote della pensione di reversibilità spettanti rispettivamente all’ex coniuge e al coniuge superstite, va sommata alla durata del successivo matrimonio nell’applicazione del criterio base, ispirato appunto alla durata dei rapporti, anzichè essere oggetto di mero apprezzamento discrezionale da parte del giudice.

La seconda è che l’ammontare della quota di pensione da attribuire all’ex coniuge non può mai superare l’importo dell’assegno attribuito al medesimo in sede di divorzio.

3.4. – Entrambe le tesi sono errate.

La L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9, comma 3, come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 13 dispone che la ripartizione della pensione di reversibilità fra ex coniuge e coniuge supersitite va fatta "tenendo conto della durata del rapporto".

Dopo che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 159 del 1998, avevano interpretato tale disposizione nel senso che la stessa preveda un rigido ed esclusivo criterio di proporzionalità rispetto alla durata dei rispettivi rapporti matrimoniali avuti dalle parti interessate con il de cuius, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 419 del 1999, ha escluso il contrasto della medesima disposizione con gli artt. 3 e 38 Cost. adottandone una diversa interpretazione.

Valorizzando anche il dato testuale, che impone soltanto di "tener conto" della durata del matrimonio, ha ritenuto che il criterio temporale, per quanto necessario e preponderante, non sia però esclusivo. La valutazione del giudice, cioè, non si riduce a un mero calcolo aritmetico, ma comprende la possibilità di applicare correttivi ispirati all’equità, così evitando l’attribuzione, da un canto, al coniuge superstite di una quota di pensione del tutto inadeguata alle più elementari esigenze di vita e, dall’altro, all’ex coniuge di una quota di pensione del tutto sproporzionata all’assegno in precedenza goduto.

La successiva giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex multis, Cass. 2920/2000, 282/2001, 15164/2003, 2471/2003, 23379/2004, 4867/2006, 4868/2006, nonchè 10669/2007 e 10575/2008 richiamate dalla ricorrente) si è adeguata alle indicazioni del giudice delle leggi, ma non è mai andata oltre l’ammissione della facoltà, per il giudice di merito, di integrare il criterio legale della durata dei matrimoni con correttivi di carattere equitativo applicati con discrezionalità. Fra tali correttivi ha compreso la considerazione della durata della eventuale convivenza prematrimoniale del coniuge supersite e dell’entità dell’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge, senza mai confondere, però, la durata della prima con quella del matrimonio, cui si riferisce il criterio legale, nè individuare nell’entità dell’assegno divorzile un limite legale della quota di pensione attribuibile all’ex coniuge, data la mancanza di qualsiasi indicazione normativa in tali sensi.

Va infine osservato – per concludere sul punto – che l’interpretazione qui accolta, conforme a quella accolta dalla Corte Costituzionale nella sent. n. 149 del 1999, non comporta, manifestamente, il sospetto – pure avanzato dalla ricorrente – di illegittimità della L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 3, cit., per violazione degli artt. 3 e 38 Cost..

3.5. – Quanto allo stretto contenuto dei motivi di ricorso in esame, va dato atto della fondatezza della censura di vizio di motivazione di cui al terzo motivo.

Il ragionamento della Corte d’appello a proposito dell’elemento correttivo della convivenza prematrimoniale fra la sig.ra C. e il sig. S. effettivamente non è chiaro. Non è dato comprendere, cioè, se la Corte abbia inteso accogliere la censura mossa dall’appellante alla sentenza di primo grado per aver trascurato quell’elemento – nel qual caso avrebbe dovuto spiegare perchè, pur applicando essa quel correttivo, giungeva alle stesse conclusioni del Tribunale – o se abbia inteso smentire che quest’ultimo avesse trascurato quel medesimo elemento – nel qual caso andava motivato il rifiuto del contrario assunto dell’appellante.

3.6. – Il quarto motivo è assorbito dall’accoglimento del terzo, che rimette in discussione l’intera operazione di bilanciamento dei vari elementi da ponderare nell’ambito della complessiva valutazione volta a determinare le quote di pensione da attribuire a ciascuna delle parti.

4. – Per la stessa ragione resta assorbito anche il secondo motivo di ricorso, con cui, denunciando vizio di motivazione, si censura la valutazione delle condizioni economiche delle parti, lamentando che la Corte d’appello non abbia considerato una serie di elementi puntualmente indicati in ricorso.

5. – In accoglimento, dunque, delle censure di vizio di motivazione contenute nel primo e nel terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2012

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