Cass. civ. Sez. I, Sent., 21-06-2012, n. 10389 Espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1 – Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Napoli, pronunciando in unico grado sulle domande proposte nei confronti del Comune di Mugnano di Napoli, del Consorzio Mugnano Due, del Comune di Napoli e della Soc. Coop Costa Verde, da F., M., R., E., G., S., V. ed C.A., nonchè da F.A., quali proprietari di un’area di 31.937 mq sita nel Comune di (OMISSIS), inserita in zona Peep, occupata e successivamente espropriata, per mq 6.101, dalla Cooperativa e per mq 2.065 dal Consorzio, sulla base della consulenza tecnica d’ufficio, così provvedeva: dichiarava la legittimazione passiva esclusiva del Comune di Mugnano di Napoli, e, rigettate le domande proposte nei confronti del consorzio e della società Cooperativa, condannava detto Comune al deposito delle ulteriori somme di Euro 488.607,91 per l’occupazione di mq 2.065, con gli interessi dal 18 aprile 2003; della somma di Euro 1.455.832,21 per l’espropriazione della superficie di mq 6.101, determinando altresì le somme dovute a titolo di indennità di occupazione, anche per le zone non espropriate.

1.1 – Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il Comune di Mugnano di Napoli, deducendo quattro motivi.

1.2 – Resistono con controricorso, illustrato da memoria, C.F., M. e C.R. (anche quali eredi di C.E.), C.G., S., V. ed A.. Le altre parti intimate non svolgono attività difensiva.

Motivi della decisione

2 – Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver omesso la Corte di appello di pronunciarsi sull’eccezione, sollevata dall’ente territoriale nella propria comparsa di risposta, in merito alla propria carenza di legittimazione passiva, da attribuirsi alla Cooperativa delegata all’acquisizione delle aree.

2.1 – Con la seconda censura si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., della L. n. 865 del 1971, art. 19 e della L. n. 167 del 1962, sostenendosi che, nell’ipotesi di delega al compimento degli atti della procedura espropriativa, allorchè l’ente o l’impresa delegata si obblighino direttamente nei confronti del titolare del bene espropriato, in tal caso la legittimazione passiva spetterebbe unicamente al delegato.

2.2 – Con il terzo motivo il Comune lamenta la violazione della L. n. 359, art. 5 bis, dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2967 c.c., sostenendo che la corte territoriale non avrebbe considerato, con riferimento alla stima del valore del terreno, le critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio, tenendo in dovuta considerazione le aree destinate ad opere o spazi pubblici, e tenendo altresì conto degli indici medi di fabbricabilità del piano stesso, sulla base dei limiti di edificabilità dallo stesso consentiti; non sarebbero stati correttamente applicati, inoltre, i criteri inerenti al metodo sintetico comparativo.

2.3 – Il quarto motivo richiama le argomentazioni svolte nel precedente mezzo, al fine di estenderle alla stima inerente all’indennità di occupazione.

3 – Il ricorso è infondato.

3.1 – Il primo motivo, invero, è palesemente inammissibile, in quanto denuncia il vizio di omessa pronuncia relativamente all’eccezione di carenza di legittimazione passiva dell’ente territoriale, in presenza di una decisione che, sulla base dell’esclusiva legittimazione passiva dell’ente medesima, dichiara lo stesso tenuto al pagamento delle indennità di espropriazione.

Deve invero osservarsi che la violazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento al vizio di omessa pronuncia, non può sussistere qualora la decisione, anche implicitamente, abbia esaminato la domanda della parte, pronunciando una statuizione che ne implichi il rigetto.

Questa Corte ha costantemente affermato il principio secondo cui per integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass., 4 ottobre 2011, n. 20311;

Cass., 10 maggio 2007, n. 10696; Cass., 21 luglio 2006, n. 16788).

3.2 – Non può condividersi il secondo profilo di censura, dovendosi al riguardo richiamare l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, secondo cui in tema di espropriazione di suoli per la realizzazione di programmi di edilizia residenziale pubblica, ai sensi della L. n. 865 del 1971, beneficiario dell’espropriazione è il Comune, in favore del quale l’espropriazione è pronunciata, sicchè è il Comune stesso ad essere obbligato al pagamento dell’indennità di espropriazione e di occupazione, anche quando gli atti espropriativi vengano delegati e l’occupazione delle aree sia attuata dagli istituti e dalle cooperative, a norma degli artt. 35 e 60 della predetta legge. Pertanto, nel giudizio di opposizione alla stima proposta dall’espropriato, la legittimazione passiva spetta al Comune, mentre è inammissibile la domanda di questo nei confronti degli enti predetti, atteso che tale pretesa – diretta contro un soggetto che non è parte del rapporto espropriativo e fondata su un titolo diverso dall’espropriazione (ossia sulla convenzione tra il Comune e l’ente concessionario) – esula dalla speciale competenza della Corte d’appello, in unico grado, contemplata dall’art. 19 della citata legge, nè integra una domanda di garanzia in senso proprio, proponibile al giudice competente per la causa principale (Cass., 20 giugno 2011, n. 13456; Cass., 11 agosto 2000, n. 10680).

3.3 – Il terzo e il quarto motivo, da esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, essendosi con essi avanzate le medesime argomentazioni con riferimento, rispettivamente, all’indennità di espropriazione e di occupazione, sono in parte inammissibili ed in parte infondati. Ed invero non è consentito, in questa sede, proporre profili di censura che, nella sostanza, attengono esclusivamente al merito della vicenda, salvo che non vengano evidenziate carenze dal punto di vista motivazionale.

A tale proposito deve constatarsi che, come sopra evidenziato, le censure del Comune risultano complessivamente fondate sulle valutazioni operate dal consulente tecnico d’ufficio: le stesse, per come formulate, non possono essere apprezzate. Benvero le critiche alle scelte effettuate dal consulente tecnico d’ufficio, così come recepite nella decisione impugnata, per poter incidere sulla motivazione di quest’ultima, non possono risolversi nella proposizione, per la prima volta in questa sede, di censure attinenti alle valutazioni compiute dall’esperto e condivise dal giudice del merito. Con orientamento costante, questa Corte ha affermato il principio secondo cui non incorre nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca "per relationem" le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito; pertanto, per infirmare, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa, tale motivazione è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice "a quo", la loro rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame in sede di decisione; al contrario, una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 4 maggio 2009, n. 10222;

Cass. 6 settembre 2007, n. 18688; Cass. 28 marzo 2006, n. 7078). Non risultano, invero, proposte davanti al giudice del merito, nel senso che nel ricorso le relative deduzioni non sono state richiamate e trascritte, nel rispetto del principio di autosufficienza, le complesse argomentazioni svolte in questa sede circa le valutazioni operate dal consulente tecnico d’ufficio, che, in tal modo, anzichè concretare specifiche censure alla motivazione della decisione impugnata, si risolvono in inammissibili questioni attinenti al merito.

Peraltro, la critica del metodo seguita per la determinazione del valore del fondo non coglie nel segno, alla stregua dell’affermata equivalenza (Cass., 31 maggio 2007, n. 12771; Cass. 19 gennaio 2007, n. 1161; Cass. 20 aprile 2006, n. 9312) dei metodi analitico- ricostruttivi che di quelli sintetico-comparativi.

4 – Al rigetto del ricorso, per le indicate ragioni, consegue la condanna dell’ente ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della parti costituite, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 10.200,00, di cui Euro 10.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, il 13 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2012

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