T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, Sent., 09-01-2012, n. 159 Sanità e igiene

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso indicato in epigrafe, la Fondazione istante impugnava il decreto commissariale n. 38 del 2010, con cui era determinata la remunerazione delle prestazioni di riabilitazione ex art. 26, L. n. 833 del 1978 per il 2010, nella misura corrispondente al minor valore tra il budget 2009, attribuito dal decreto n. 51 del 2008, e quanto liquidato per lo stesso anno dalla ASL competente, abbattuto del 4%.

L’interessata esponeva di aver già gravato i decreti n. 51 del 2008 e n. 88 del 2009, nonché la D.G.R. n. 172 del 2008 ed il decreto commissariale n. 22 del 2008 di conferma, nonché il decreto n. 16 del 2008 relativo al sistema di remunerazione, con separati ricorsi. Lamentava inoltre che, con il decreto n. 38 impugnato in via principale, l’amministrazione aveva operato una totale equiparazione dell’Istituto alle strutture private nella determinazione del tetto di spesa per il 2010, a prescindere dal necessario accordo sulle prestazioni da erogare e sulla conseguente remunerazione, nonché disposto la conferma del passaggio dal sistema di remunerazione – già censurato – "delle giornate di presa in carico" a quello "delle giornate di accesso".

L’istante, pertanto, censurava il citato decreto n. 38 per i seguenti motivi:

1 – violazione dei principi e delle norme che equiparano gli I.R.C.C.S. ai soggetti pubblici erogatori di prestazioni sanitarie (artt. 42, L. n. 833 del 1978, 1, comma 3, L. n. 269 del 1993, 20, L. n. 67 del 1988 e 4, comma 15, L. n. 412 del 1991, 15 undecies D.Lgs. n. 502 del 1992 e s.m.i., 20, D.P.R. n. 617 del 1980 e D.P.R. n. 213 del 2001) e violazione dell’art. 18, L.R. n. 4 del 2003; nonché eccesso di potere per contraddittorietà con altri atti della programmazione regionale, in considerazione della peculiare natura degli I.R.C.C.S. dovuta alla unificazione all’interno della medesima struttura di attività diagnostiche-terapeutiche e di attività di ricerca di elevatissimo livello, secondo quanto riconosciuto dalla costante giurisprudenza amministrativa;

2 – eccesso di potere per disparità di trattamento rispetto alle strutture pubbliche;

3 – violazione di legge per inosservanza dell’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento di cui all’art. 7, L. n. 241 del 1990, poiché l’enorme entità dell’abbattimento rispetto al tetto di spesa fissato per l’anno precedente avrebbe richiesto la partecipazione dell’interessata;

4 – eccesso di potere per manifesta irragionevolezza del criterio di individuazione del tetto di spesa previsto per la riabilitazione ex art. 26.

A tale riguardo la Fondazione precisava di essere accreditata per un totale di 187 posti di riabilitazione, ripartiti tra n. 55 posti di regime semiresidenziale estensivo utilizzati per i Progetti Riabilitativi riguardanti pazienti in età neonatale ed infantile con disabilità complesse quali paralisi cerebrali infantili e sindromi genetiche rare e n. 132 posti in regime non residenziale estensivo utilizzati per pazienti adulti a completamento del processo di riabilitazione post ricovero ordinario. Fin dal 2011 la Fondazione aveva rappresentato (nota n. 5101/A del 14.12.2001) alla Regione che per la complessità delle prestazioni, il numero delle ore effettive di riabilitazione erogate e degli accessi effettuati e non in ragione della generica permanenza presso il centro per almeno 36 ore settimanali, si avvaleva del regime semiresidenziale, atteso che la maggior parte dei familiari dei piccoli pazienti preferiscono portare a casa il bambino dopo i trattamenti specialistici. Tale scelta era condivisa dalla Regione sino al 2008. Sicché, per non abbandonare le cure dei piccoli pazienti la Fondazione chiedeva la trasformazione dei posti semiresidenziali ex art. 26 cit. in post non residenziali ai sensi dell’art. 3, Regolamento regionale n. 2 del 2007.

I progetti così formulati per il 2009 erano comunicati alla ASL, senza che l’amministrazione regionale li bloccasse. Anzi il budget di spesa 2009, fissato dal decreto n. 51/2008 era successivamente elevato dal decreto n. 88/2009 alla misura delle prestazioni effettivamente rese nel 2008. Tuttavia, l’istante rappresentava che nel corso del 2010 si era vista liquidare la somma di Euro 2.008.418.07 a fronte di un importo fatturato per le prestazioni erogate nel 2009 pari a Euro 3.183.087.05, apprendendo che la ASL competente aveva ritenuto di non liquidare le prestazioni attinenti ai progetti relativi ai 55 posti di cui era richiesta la trasformazione da semiresidenziali in non residenziali, nonostante che si trattasse di prestazioni a tariffa minore e su progetti regolarmente trasmessi.

Con il decreto n. 38, oggetto qui di impugnazione, il budget per il 2010 per le prestazioni ex art. 26 era determinato nella minor somma tra il budget 2009 e quanto liquidato dalla ASL di competenza abbattuta del 4%, assumendo dunque a presupposto l’erroneo calcolo delle prestazioni dell’anno precedente, senza considerare il reale fabbisogno della struttura. Inoltre, non erano attribuite le somme corrispondenti ai 55 posti semiresidenziali per cui la struttura risultava accreditata e di cui aveva unicamente chiesto la trasformazione (a costi più bassi).

Sempre con il quarto motivo di gravame, l’istante censurava il vizio di eccesso di potere sotto il profilo della manifesta irragionevolezza, della violazione del principio di buon andamento e del difetto di istruttoria, nella parte in cui si conferma il passaggio del sistema di remunerazione da "giornata di presa in carico" a "giornata di accesso", già censurato in relazione al decreto commissariale n. 16 del 2008 che lo prevedeva, poiché la disposta limitazione del numero degli accessi in assenza dell’utente, a fronte della permanente necessità di un progetto riabilitativo individualizzato ed erogato in maniera multidisciplinare integrata e dell’impossibilità per gli IRCCS di rifiutare l’erogazione delle prestazioni assistenziali, rende la disposizione contrastante con i principi sopra indicati.

Si costituiva la ASL Roma C, chiedendo di dichiarare il ricorso inammissibile, improponibile, improcedibile, e comunque infondato nel merito.

Si costituiva, altresì, la Regione, chiedendo a sua volta il rigetto dell’impugnativa.

L’amministrazione evidenziava la diversità ontologica tra le strutture pubbliche e gli I.R.C.C.S. e precisava che l’iter procedimentale seguito rispettava il disposto dell’art. 7, L. n. 241 del 1990, poiché con nota prot. 64120 del 2010 erano convocate tutte le associazioni e fondazioni di categoria. Ulteriormente, la Regione ribadiva la necessità della programmazione e la natura autoritativa della pianificazione della spesa sanitaria.

Con ordinanza n. 3868 del 2010 veniva accolta l’istanza cautelare proposta dalla Fondazione ricorrente.

Tuttavia, con il successivo decreto commissariale n. 89 del 2010, il fabbisogno assistenziale di riabilitazione estensiva era definito omettendo di riconoscere l’attività prestata dalla ricorrente sui 55 posti di riabilitazione non residenziale destinati a complesse disabilità dell’età infantile.

Pertanto, l’istante gravava con i motivi aggiunti il predetto decreto, deducendo le medesime censure già rivolte avverso il decreto n. 38 del 2010 e chiedendone l’annullamento per:

1 – violazione dell’art. 21 septies L. n. 241 del 1990, in quanto contrastante con l’ordinanza cautelare sopra citata;

2 – violazione dell’art. 7, L. n. 241 del 1990 per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento;

3 – eccesso di potere per erroneità dei presupposti, omessa ed insufficiente istruttoria, manifesta irragionevolezza e contraddittorietà.

A seguito dell’adempimento istruttorio, con deposito della nota prot. 80160 del 2011 e della produzione delle memorie, la causa era trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 19.12.2011.

Motivi della decisione

1 – Il ricorso in esame prende le mosse dal mancato riconoscimento del numero complessivo di posti letto destinati alla riabilitazione estensiva semiresidenziale, originariamente attribuiti in sede di accreditamento all’Istituto S.L., ai fini della determinazione del budget per il 2010.

La questione trae origine (a seguito della nota con cui gli organi regionali ritenevano non appropriata la destinazione di 55 posti di tipologia semiresidenziale per la modalità riabilitativa di tipo estensivo in relazione all’applicazione della D.G.R. n. 424 del 2006) dalla richiesta, rivolta dalla Fondazione ricorrente, di conversione dei predetti 55 posti (costituenti parte dei 187 posti letto destinati alla riabilitazione ex art. 26, L. n. 833 del 1989) da semiresidenziali a non residenziali in ragione della necessità di consentire, in particolare, la prosecuzione del trattamento multidisciplinare specializzato degli utenti in età neonatale ed infantile nel periodo temporale nel quale l’intervento di tipo riabilitativo può far emergere le abilità potenziali (come evidenziato dall’istante medesima nelle note, allegate in atti, dirette alle competenti Direzioni e Aree della Regione Lazio prot. 5101/A del 2001, 151/A del 2008, 295/A del 2008 e 218/A del 2009).

Infatti, nonostante la comunicazione dei progetti riabilitativi in argomento nel 2009, il budget era calcolato nel decreto impugnato senza tenere in considerazione i 55 posti letto in argomento né la richiesta di trasformazione rivolta dalla Fondazione.

2 – Con il primo motivo di ricorso l’Istituto ricorrente censura il decreto n. 38 cit. per non aver preso in considerazione la particolare natura dell’I.R.C.C.S. nell’ambito della programmazione sanitaria operata dalla Regione, avendolo equiparato, ai fini della determinazione del tetto massimo delle prestazioni e del relativo budget, alle strutture private. Ciò al fine di stabilire una soglia massima sopra la quale non siano remunerabili ulteriori prestazioni rese dall’Istituto.

Sul punto la Regione è ferma nel ribadire la necessità che l’erogazione dei servizi sanitari da parte delle strutture private avvenga nell’ambito di quanto autorizzato dall’amministrazione in base alla pianificazione della spesa, anche alla luce dei vincoli stabiliti dal Piano di rientro imposto dal Governo.

Il Collegio si è recentemente pronunciato sulla questione, ribadendo un orientamento già espresso dal Consiglio di Stato, pur a seguito delle modifiche intervenute sul D.Lgs. n. 502 del 1992, che appare senz’altro condivisibile. Al riguardo la Sezione ha avuto modo di rilevare che "con riferimento alla specificità degli I.R.C.C.S……già con la sentenza n. n. 4640 del 2011, il Tribunale aveva richiamato l’orientamento del Consiglio di Stato (Sez. V, 16 marzo 2010, n. 1514) che affermava che "ai fini dell’operatività del meccanismo dei cd. tetti di spesa, da un lato stanno le strutture pubbliche e quelle ad esse equiparate (Ospedali classificati, I.R.C.C.S., etc.), dall’altro quelle private accreditate. Solo per le seconde, invero, ha senso parlare di imposizione di un limite alle prestazioni erogabili; mentre per le strutture che risultano consustanziali al sistema sanitario nazionale (Ospedali pubblici, Ospedali classificati, I.R.C.C.S., etc.) non è neppure teorizzabile l’interruzione delle prestazioni agli assistiti al raggiungimento di un ipotetico limite eteronomamente fissato" (cfr. Cons. St., Sez. V, 22.4.2008, n. 1858)….." Infatti, la struttura ospedaliera "non può sottrarsi al dovere, non negoziabile, di erogare il servizio pubblico a tutti gli utenti", dovendo, dunque, ricondursi il tetto delle prestazioni erogabili al limite strutturale dell’ospedale".

Come nella fattispecie allora esaminata (sentenza n. 8938 del 2011), il decreto impugnato con l’atto introduttivo del giudizio non tiene in alcuna considerazione la specificità della posizione degli I.R.C.C.S. nell’ambito del servizio sanitario regionale. Ne consegue che l’imposizione di una riduzione del budget assegnato, per quanto concerne l’Istituto in causa, equiparato – secondo l’orientamento espresso – agli ospedali pubblici, comporta l’impossibilità per lo stesso di far fronte alla richiesta di prestazioni in contravvenzione al dovere imposto di rendere il servizio. Ma vi è di più, poiché, nella fattispecie in esame, il rifiuto di trasformazione e la mancata considerazione della originaria dotazione di posti per la riabilitazione di cui all’accreditamento, non consente la valutazione da parte dell’Istituto erogatore in ordine alla modalità più idonea per rendere la prestazione.

Ora, se da un lato deve essere riconosciuta alla Regione, sulla base delle disposizioni ordinamentali contenute nel D.Lgs. n. 502 del 1992 come successivamente integrato e modificato, la facoltà di procedere alla programmazione ed alla pianificazione sanitaria, tuttavia tale potere deve essere interpretato in modo da non collidere con la necessità per gli Istituti pubblici e per quelli ad essi equiparati di prestare le cure richieste nei limiti delle loro potenzialità strutturali e di individuare i trattamenti terapeutici migliori per i pazienti, essendo in ogni caso l’economicità nell’impiego delle risorse e l’uniformità dei trattamenti, a cui è finalizzata la programmazione regionale, dirette a garantire la tutela della salute come interesse della collettività e diritto dell’individuo (come ribadito dall’art. 1, D.Lgs. n. 502 del 1992).

Alla luce del disposto di cui all’art. 8 bis, D.Lgs. n. 502 più volte menzionato, infatti, le Regioni assicurano i livelli essenziali e uniformi di assistenza avvalendosi in primo luogo delle ASL, delle aziende ospedaliere, delle aziende universitarie e degli I.R.C.C.S., "nonché" – precisa separatamente la norma – dei "soggetti accreditati ai sensi dell’articolo 8 quater, nel rispetto degli accordi contrattuali di cui all’articolo 8 quinquies". E, altresì, la norma da ultimo citata dispone che le Regioni definiscano "accordi" con le strutture pubbliche e con quelle a esse equiparate, mentre "stipulano contratti con quelle private". La differenza di dizione non può avere un significato puramente formale, dovendosi al contrario individuare una sostanziale diversità nella differente qualificazione pubblica o privata delle strutture, in forza della quale su quelle pubbliche ed equiparate grava l’obbligo di fornire le prestazioni richieste, con ovvio rispetto delle potenzialità strutturali delle medesime.

Nello stesso senso vale la pena di menzionare quanto da ultimo evidenziato dal TAR Campania a riguardo: "Il modello negoziale contemplato per gli operatori pubblici ed equiparati, ossia l’accordo, è formalmente diverso da quello previsto per gli altri soggetti privati accreditati, cioè il contratto, distinzione che trova la sua ragione sostanziale nel fatto che i presidi sanitari pubblici, a differenza degli altri soggetti privati accreditati, hanno l’obbligo di rendere le prestazioni agli assistititi anche oltre il tetto preventivato, nei limiti ovviamente della loro capacità operativa determinata dall’assetto strutturale e organizzativo. In definitiva, le strutture private, pur prestando un servizio pubblico del tutto analogo sotto ogni altro aspetto, sono vincolate a erogare le prestazioni sanitarie richieste nell’ambito del S.S.N. unicamente nei limiti stabiliti negozialmente. Di conseguenza, esiste un diverso regime operativo tra le strutture ospedaliere – siano esse pubbliche o private equiparate – e soggetti provvisoriamente accreditati per l’erogazione di prestazioni sanitarie, solo questi ultimi essendo con ogni probabilità attratti nella logica di mercato voluta della riforma sanitaria del 1992, principio che trova indubbi compromessi proprio nell’esigenza costituzionale di tutela della salute pubblica, oltre che in costanti limitazioni finanziarie nei termini di contenimento della spesa. Invece, proprio il carattere di irrinunciabilità dell’assistenza di tipo ospedaliero pubblico o equiparato, tra cui figura quella propria di assicurare prestazioni sanitarie immediate in situazioni di urgenza, quali le funzioni di pronto soccorso, tendono ad estromettere siffatte strutture da logiche programmatorie di prevalente contenimento dei costi, dovendosi attestare sull’individuazione di un fabbisogno che sia piuttosto calcolabile sulle effettive necessità di spesa e di approvvigionamento di risorse umane e mezzi, come tali ben lontane da prospettive di mercato e di un regime di concorrenza se non addirittura insussistente, nella fattispecie quantomeno assai sfumato."

(T.A.R. Campania Napoli, Sez. I, 04 novembre 2010, n. 22690).

3 – Per ragioni di coerenza argomentativa, deve trovare di seguito esame il quarto motivo di ricorso, laddove, la Fondazione istante censura la ragionevolezza della scelta operata dal decreto in termini eminentemente di economicità.

Infatti, come più volte evidenziato dalla Sezione, le scelte programmatorie e di pianificazione della Regione e del Commissario incaricato dal Consiglio dei Ministri attengono evidentemente a profili che concernono aspetti di discrezionalità tecnica dell’amministrazione e che, pertanto, e, come tali, sfuggono al sindacato di legittimità del giudice amministrativo; tuttavia, esse rimangono esposte all’esame di questo giudice ove appaiano inficiate, ictu oculi, da eccesso di potere, sub specie delle figure sintomatiche dell’arbitrarietà, dell’irragionevolezza, irrazionalità e travisamento dei fatti, come ampiamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa (da ultimo, ex multis, T.A.R. Lazio Roma, Sez. I, 18 aprile 2011 , n. 3359).

Orbene, sotto tale profilo, lungi dall’affrontare un esame delle scelte programmatorie del commissario ed in qualche modo determinate dalla necessità di attuare disposizioni coerenti con i limiti di bilancio imposti dal Piano di rientro, il provvedimento gravato non appare suffragato da idonea istruttoria e motivazione proprio perché non prende in esame la specificità della natura degli I.R.C.C.S. e – con particolare attenzione alla fattispecie in argomento – l’economicità della richiesta trasformazione delle prestazioni da semiresidenziali a non residenziali, in considerazione del minor aggravio per la spesa pubblica e della maggiore efficacia della prestazione con riguardo alla specifica tipologia di pazienti.

Ne’ pare condivisibile quanto prospettato dalla difesa della Regione, in sede di discussione, in relazione alla eventuale necessità di ridistribuzione dei pazienti tra differenti strutture. Invero, proprio in considerazione della specificità dei trattamenti in argomento e del principio di maggior economicità, appare allo stato illogico l’allontanamento dei pazienti già seguiti dalla struttura istante, che risulta documentalmente già qualificata a riguardo (anche in ragione della avvenuta presa d’atto dei progetti riabilitativi presentati dalla stessa).

Deve rilevarsi, peraltro, che lo stesso art. 8 quinquies, D.Lgs. n. 502 cit., che disciplina gli accordi, prescrive che la Regione operi le scelte "attraverso valutazioni comparative della qualità e dei costi".

Con riferimento alla mancata conversione dei posti di riabilitazione in non residenziali va rilevato che, contrariamente a quanto asserito da parte istante, l’art. 3 del Regolamento regionale n. 2 del 2007, recante "Disposizioni relative alla verifica di compatibilità e al rilascio dell’autorizzazione all’esercizio, in attuazione dell’articolo 5, comma 1, lettera b), della L.R. 3 marzo 2003, n. 4 (Norme in materia di autorizzazione alla realizzazione di strutture e all’esercizio di attività sanitarie e socio-sanitarie, di accreditamento istituzionale e di accordi contrattuali) e successive modificazioni" dispone per le rimodulazioni o variazioni di cui al comma 1 del medesimo articolo e che dunque non comportano interventi di carattere edilizio, la sottoposizione sia al "nulla osta di compatibilità rispetto al fabbisogno di assistenza risultante dall’atto programmatorio" che "al rilascio dell’autorizzazione all’esercizio".

Tuttavia, nella controversia in esame non viene in contestazione il provvedimento della Regione in ordine ad un eventuale diniego di autorizzazione, ma la mancata considerazione della specifica fattispecie ai fini dell’assegnazione dei budget individuali ex art. 26 cit., di cui all’allegato 1 del decreto n. 38 impugnato.

4 – Sul punto assume, dunque, rilievo la censura di cui al terzo motivo del ricorso introduttivo. Infatti, tale censura merita apprezzamento proprio con riguardo al decreto n. 38 del 2010, che, nonostante sia definito dalla difesa regionale quale atto programmatorio, come più volte affermato dalla giurisprudenza (da ultimo, T.A.R Lazio Roma, Sez. III, 01 marzo 2011, n. 1909) con riguardo ad altri provvedimenti adottati dallo stesso Commissario che la Sezione ha avuto occasione di esaminare in relazione ad altre vicende contenziose portate al suo esame, ha invece un duplice contenuto (uno programmatorio e uno provvedimentale). Nella fattispecie in esame, invero, il provvedimento impugnato incide immediatamente sulla sfera giuridica dei suoi destinatari proprio nella parte in cui individua il budget assegnato alle singole strutture. Ed in ragione di ciò appare fondata la doglianza della ricorrente per il mancato coinvolgimento partecipativo; è nei confronti di detta parte che la ricorrente muove le proprie doglianze, sul rilievo che la riduzione del budget, senza considerare la specificità dei trattamenti effettuati dalla struttura è fondata su elementi di fatto a suo avviso palesemente errati ed irragionevoli. Ne deriva che la partecipazione diretta (e non solo tramite le Associazioni di categoria) della ricorrente alla formazione dell’atto avrebbe comportato il necessario approfondimento istruttorio, di cui il provvedimento si appalesa carente.

5 – Per quanto riguarda il decreto n. 89 del 2010 gravato con i motivi aggiunti, non risulta contestato in fatto che lo stesso abbia annoverato i 55 posti di cui si controverte tra quelli "non attivi"escludendoli dalla definizione del fabbisogno.

Tale decreto è stato emanato pur dopo l’ordinanza cautelare n. 3868 del 2010 di questo Tribunale, con cui si evidenziava il pericolo derivante dalla "mancata erogazione del servizio per i bambini con disabilità complesse".

Tuttavia, la Regione, con nota del 19.12.2011, sottolinenando l’avvenuta consultazione delle principali Associazioni di categoria e manifestando la volontà della Regione di voler incontrare le singole strutture, ha evidenziato che in data 25.1.2011 era comunicato che il decreto impugnato non era stato validato dal Ministero della Salute di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, come previsto dall’Accordo stipulato dalla Regione Lazio ai sensi dell’art. 1, comma 180, L. n. 311 del 2004 ai fini del perseguimento dell’equilibrio economico.

Sicchè la Regione, pur evidenziando la validità del decreto per gli aspetti organizzativi, dichiarava la mancanza di efficacia dello stesso proprio con riferimento alle disposizioni relative al’attuazione del Piano di rientro.

Con memoria del 18.11.2011, poi la Fondazione ricorrente, pur precisando che con decreto n. 85 del 2010 in esecuzione del provvedimento cautelare sopra menzionato, era stato modificato il budget ex art. 26 fino alla concorrenza di quello attribuito nel 2009, ribadiva l’interesse alla decisione sul ricorso e sui motivi aggiunti in ragione del mancato riconoscimento dell’attività prestata dalla ricorrente medesima sui 55 posti di riabilitazione.

Osserva il Collegio che l’attualità della lesione lamentata è riscontrabile soltanto al momento della pubblicazione o della comunicazione del provvedimento divenuto perfetto ed efficace. Nella specie, come si evince dalla menzionata nota regionale il decreto n. 89 impugnato con i motivi aggiunti non è stato validato dai Ministeri competenti e, di conseguenza, non è divenuto efficace.

Ne deriva la mancanza di interesse all’impugnazione del medesimo.

6 – Per quanto sin qui evidenziato, il ricorso introduttivo deve essere accolto e, salve restando le ulteriori determinazioni dell’amministrazione, deve essere annullato per i motivi esposti, in parte qua, il decreto impugnato n. 38/2010, nella parte in cui non riconosce l’attività prestata dalla ricorrente sui 55 posti di riabilitazione non residenziale destinati a complesse disabilità dell’età infantile. Mentre i motivi aggiunti devono essere dichiarati inammissibili per difetto di interesse.

Vista la complessità della fattispecie esaminata, sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, fatte salve le ulteriori determinazioni dell’amministrazione, annulla nei limiti precisati in motivazione il decreto n. 38/2010. Dichiara inammissibili i motivi aggiunti. Compensa le spese di lite tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 dicembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Italo Riggio, Presidente

Maria Luisa De Leoni, Consigliere

Solveig Cogliani, Consigliere, Estensore
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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