Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 27-09-2011) 01-12-2011, n. 44641

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D.M.S., mentre era alla guida di un’auto "Mercedes" su strada a scorrimento veloce tamponava violentemente un’auto "Twingo" condotta da R.L. e con a bordo il passeggero B.L.;

in conseguenza dell’impatto decedevano entrambi gli occupanti della "Twingo"; riportava lesioni il D.M. il quale, condotto in ospedale, veniva sottoposto anche ad analisi del sangue che evidenziavano un tasso di alcolemia pari a 200,4 mg/dl. In relazione a tale vicenda il D.M. veniva condannato dal GUP del Tribunale di Chieti – all’esito di giudizio celebrato con il rito abbreviato – alla pena ritenuta di giustizia per i reati di omicidio colposo, commesso per colpa generica nonchè per violazione delle norme sulla circolazione stradale, e guida in stato di ebbrezza. Il giudicante ancorava il proprio convincimento, circa l’individuazione della causa dell’incidente nella condotta del D.M., in particolare alla relazione del consulente del P.M. il quale aveva indicato in 149 km/h – e probabilmente superiore a 180 km/h -la velocità alla quale viaggiava il D.M. al momento dell’incidente ed aveva altresì escluso, sulla scorta della valutazione delle deformazioni dei veicoli incidentati, l’ipotesi di una improvvisa immissione della "Twingo" sulla carreggiata percorsa dal D.M. come invece dichiarato ai verbalizzanti dal teste F.A. che era in auto con l’imputato. Il GUP precisava poi che doveva escludersi che il risultato positivo delle analisi, circa lo stato di ebbrezza del D.M., potesse essere stato determinato dall’assunzione da parte dell’imputato di un antistaminico circa un’ora prima dell’incidente, posto che: a) la circostanza, riferita dall’imputato, era risultata priva di riscontro; b) in ogni caso l’elevatissimo tasso alcolemico non poteva essere giustificato da detta eventuale assunzione, avendo tra l’altro lo stesso imputato ammesso di aver bevuto del vino prima dell’incidente. Quanto al trattamento sanzionatorio, il GUP riteneva l’imputato non meritevole delle attenuanti generiche avuto riguardo ai suoi precedenti ed all’elevato grado della colpa.

A seguito di gravame ritualmente proposto nell’interesse dell’imputato, la Corte di Appello di L’Aquila, con sentenza in data 8 ottobre 2010, confermava la decisione del primo giudice e in risposta alle deduzioni dell’appellante – sostanzialmente ripetitive delle tesi già sostenute in primo grado – motivava il proprio convincimento seguendo un percorso argomentativo che può così sintetizzarsi: a) le conclusioni del primo giudice circa la dinamica dell’incidente apparivano del tutto condivisibili posto che solo una velocità elevatissima dell’auto condotta dal D.M., una disattenzione da parte di quest’ultimo e le menomate condizioni di lucidità dovute al marcato stato di ebbrezza, potevano spiegare il violentissimo tamponamento; b) nulla dimostrava che lo stato di ebbrezza potesse essere riconducibile all’assunzione di compresse del medicinale Polaramin, trattandosi di farmaco che non contiene alcol e quindi non incide sul tasso alcolemico; l’effetto di tale medicinale può essere uno stato di sonnolenza, ragion per cui tra le indicazioni riportate nel "bugiardino" vi è il suggerimento di non porsi alla guida in caso di assunzioni ripetute o consistenti del farmaco: trattavasi anzi di un ulteriore profilo di colpa a carico del prevenuto per essersi costui posto alla guida dell’auto, non solo in stato di ebbrezza, ma anche in una condizione di pericolo a causa dell’assunzione di quel farmaco; c) l’imputato non appariva meritevole della concessione delle attenuanti generiche, avuto riguardo ai suoi precedenti penali ed all’elevato grado di colpa tale da poter far ritenere configurabile l’ipotesi della colpa cosciente "benevolmente non contestata" (cfr. ultima pagina della sentenza della Corte d’appello); e) nemmeno poteva essere riconosciuta l’attenuante dell’avvenuto risarcimento del danno, posto che il risarcimento, ove effettuato, certamente non era avvenuto "prima del giudizio" come richiesto dalla legge ai fini della configurabilità dell’attenuante stessa.

Ricorre per cassazione il D.M., denunciando violazione di legge e vizio di motivazione con censure che si possono così sintetizzare:

1) nullità della sentenza di primo grado posto che – dopo aver il D.M. personalmente chiesto il rito abbreviato, condizionato all’esame di un esperto in materia di infortunistica stradale da lui indicato – a tale incombente istruttorie vi era stata rinuncia con l’assenso del difensore dell’imputato ed in assenza di quest’ultimo;

2) nullità della sentenza di secondo grado, per omesso avviso al difensore di fiducia dell’imputato, avv. Zappacosta, dello slittamento dell’udienza rinviata dal 30 aprile 2010 al 10 ottobre 2010; 3) inutilizzabilità del referto sanitario contenente il risultato della presenza del tasso alcolemico nel sangue, essendo stato annotato in detto documento che "il valore riscontrato nello screening non ha valore medico legale" (cfr. pag. 9 del ricorso); 4) vizio di motivazione in ordine alla ritenuta colpevolezza dell’imputato relativamente all’incidente stradale, avendo omesso i giudici del merito di tener conto di elementi e circostanze pur rilevabili dagli accertamenti svolti dal consulente del P.M., ed in assenza di dati certi per ritenere che fosse proprio il D.M. alla guida dell’auto e non una delle altre persone – B. A. e F.A. – che erano sulla "Mercedes"; 5) vizio di motivazione in ordine al diniego dell’attenuante del risarcimento del danno; pur essendo intervenuto il risarcimento nel corso del giudizio, tale ritardo non potrebbe ricadere sull’imputato, posto che il risarcimento del danno era avvenuto ad opera della società di noleggio e leasing proprietaria dell’auto condotta dal D.M. il quale non aveva quindi alcuna disponibilità in proposito; 6) vizio di motivazione anche per il diniego delle attenuanti generiche perchè ricondotto a precedenti di scarso rilievo penale.

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.

Per il loro evidente carattere pregiudiziale, vanno preliminarmente esaminate le censure in rito.

Quanto alla rinuncia all’incombente istruttorie al cui espletamento era stata condizionata la richiesta di rito abbreviato, mette conto sottolineare che dagli atti relativi al giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale si rileva che era stata avanzata richiesta di rito abbreviato condizionato all’esame del consulente di parte dell’imputato, la cui relazione era stata allegata ad un foglio che presentava, su un lato, la richiesta di rito abbreviato condizionato a detto incombente – e sottoscritta personalmente dall’imputato in data 27 ottobre 2008 – e, sul retro, la procura speciale al difensore, in data 25 ottobre 2008, per l’eventuale richiesta di giudizio abbreviato, considerando rato e valido il suo operato senza ulteriore ratifica per il procedimento penale; dunque, la rinuncia all’incombente istruttorio deve ragionevolmente ritenersi operata dal difensore nella sua veste di procuratore speciale in virtù della procura rilasciatagli dall’imputato il 25 ottobre 2008 – anche perchè evidentemente riconducibile ad una scelta di strategia difensiva, di carattere specificamente tecnico – ed a nulla rilevando quindi che la richiesta di rito abbreviato era stata poi sottoscritta il 27 ottobre 2008 dall’imputato personalmente, posto che non risulta che la procura speciale fosse stata revocata: nel verbale di udienza si legge che "le parti concordemente fanno rilevare che non hanno alcun interesse all’esame del teste la cui relazione risulta depositata". A ciò aggiungasi che peraltro in proposito nulla era stato eccepito e dedotto con i motivi di appello, di tal che la questione risulta posta per la prima volta in questa sede.

Passando al vaglio della seconda eccezione in rito (concernente il giudizio di appello) si osserva che dagli atti emerge quanto segue:

alla prima udienza del 30 aprile 2010 l’imputato presente chiese un rinvio per motivi di salute dei suoi due difensori avv.ti Di Gregorio e Battisti; la Corte, anche perchè il giudice designato quale relatore non faceva parte del collegio, rinviò all’udienza dell’8 ottobre 2010; a tale udienza, assistito da un difensore di ufficio (il cui nome non è decifrabile sul verbale) era presente l’imputato il quale in data 29 settembre 2010 (dunque solo pochi giorni prima dell’udienza dell’8 ottobre 2010) aveva frattanto depositato in cancelleria la nomina dell’avv. Zappacosta con contestuale revoca degli avv.ti Di Gregorio e Battisti: nell’occasione, tale avvocato Giorgio Rocca, pur precisando di non aver formale titolo di rappresentanza, fece presente che l’avv. Zappacosta, nominato appunto il 29 settembre, non poteva essere presente perchè impegnato in altro procedimento in territorio libico ed aveva peraltro chiesto un rinvio dell’udienza sul presupposto che non gli era stato notificato alcun avviso per quell’udienza dell’8 ottobre 2010; la Corte – evidenziando che gli avvisi ai precedenti avvocati, per l’udienza dell’8 ottobre 2010, risultavano notificati agli stessi (a mani proprie) il 6 settembre, e che la revoca della loro nomina, con la contestuale nomina dell’avv. Zappacosta, era stata depositata successivamente, e cioè il 29 settembre 2010 – rigettò l’istanza di rinvio. Orbene, sulla scorta delle circostanze così desumibili dagli atti processuali, risulta del tutto infondata l’eccezione di nullità, non spettando alcun avviso all’avv. Zappacosta per l’udienza dell’8 ottobre 2010 essendo stato detto legale nominato solo il 29 settembre 2010, data fino alla quale l’imputato risultava assistito da due difensori di fiducia, entrambi ritualmente avvisati per l’udienza dell’8 ottobre 2010 e poi revocati il 29 settembre 2010 contestualmente alla nomina dell’avv. Zappacosta.

Per quel che riguarda le doglianze nel merito, valgono le ragioni di seguito indicate.

Relativamente alla ricostruzione della dinamica del sinistro, ed alla individuazione delle condotte dei protagonisti dell’incidente, la Corte di Appello ha fornito logica e congrua motivazione, richiamando le risultanze processuali, in particolare gli accertamenti e le conclusioni del consulente del P.M.. Sicchè i rilievi mossi dal ricorrente alla sentenza impugnata, quanto alla dinamica del sinistro, si risolvono in censure – peraltro basate su mere ipotesi e congetture – concernenti per lo più apprezzamenti di merito che tendono sostanzialmente ad una diversa valutazione delle risultanze processuali non consentita in sede di legittimità. Giova sottolineare che, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità deve, per espressa previsione normativa, risultare dal testo del provvedimento impugnato, o – a seguito della modifica apportata all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8 – da "altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame"; il che vuoi dire – quanto al vizio di manifesta illogicità – per un verso, che il ricorrente deve dimostrare in tale sede che Iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e che, per altro verso, questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un’altra interpretazione o di un altro iter, quand’anche in tesi egualmente corretti sul piano logico: ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano ad una diversa lettura o interpretazione, ancorchè munite di eguale crisma di logicità (cfr. Sez. U, n. 30 del 27/09/1995 Cc. – dep. 14/12/1995 – Rv. 202903). Ed è stato altresì precisato nella giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite (cfr: Sez. Un., ric. Spina, 24/11/1999, RV. 214793; Sez. Un. ric. Jakani, ud. 31/5/2000, RV. 216260; Sez. Un., ric. Petrella, ud. 24/9/2003, RV. 226074), che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. Con riguardo alla specifica materia della circolazione stradale, nella giurisprudenza di legittimità è stato altresì enunciato, e più volte ribadito, il principio secondo cui "la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia – valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, accertamento delle relative responsabilità, determinazione dell’efficienza causale di ciascuna colpa concorrente – è rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione" (in tal senso, tra le tante, Sez. 4, N. 87/90, imp. Bianchesi, RV. 182960). Non sono ravvisabili, dunque, i profili di violazione di legge e vizio di motivazione prospettati dal ricorrente, posto che, avuto riguardo al testo della sentenza impugnata, si rileva che la Corte distrettuale, attraverso il percorso motivazionale sopra ricordato (nella parte narrativa), da intendersi qui integralmente richiamato onde evitare superflue ripetizioni, ha analizzato – mediante la rivisitazione della sentenza di primo grado ed il richiamo ai suoi contenuti, ed all’esito dell’esame dei motivi di appello – tutti gli aspetti concernenti le problematiche relative alla dinamica del grave incidente stradale oggetto del procedimento ed ai profili di colpa ravvisabili nella specifica condotta dell’imputato, non mancando di esprimere anche proprie valutazioni in aggiunta a quanto argomentato dal primo giudice: così svolgendo considerazioni che consentono di ritenere acquisita la prova della colpevolezza dell’imputato. Per completezza argomentativa, va sottolineato che l’ipotesi formulata dal ricorrente – secondo cui alla guida della "Mercedes" potesse non trovarsi il D.M. – si risolve in una mera congettura e, comunque, non era stata sottoposta al vaglio dei giudici di seconda istanza con i motivi di appello e quindi non potrebbe essere presa in esame in questa sede.

Circa il ritenuto stato di ebbrezza del D.M. al momento dell’incidente, non possono sussistere dubbi di sorta in proposito tenuto conto di quanto riportato nel referto ospedaliero redatto all’esito degli accertamenti ai quali il D.M. era stato sottoposto a seguito dell’incidente "de quo"; è appena il caso di aggiungere, in risposta a quanto dedotto dal ricorrente al riguardo, che: a) deve ritenersi certamente utilizzabile il citato referto, ai fini del libero convincimento del giudice, perchè acquisito nel rispetto del protocollo all’uopo previsto, ed a nulla rilevando che sullo stesso vi fosse l’annotazione "il valore riscontrato nello screening non ha valore medico legale"; b) il giudizio di primo grado si è svolto con il rito abbreviato, con conseguente utilizzabilità degli atti di indagine, non potendo in alcun modo parlarsi, in ordine al referto in argomento, di inutilizzabilità cd. "patologica"; c) nessun rilievo era stato mosso dalla difesa dell’imputato in proposito con i motivi di appello; d) lo stesso D.M. aveva ammesso di aver bevuto del vino poco prima del verificarsi dell’incidente (cfr. pag. 3 della sentenza di primo grado), salvo ad attribuire l’alterazione delle analisi del sangue all’assunzione del farmaco Polaramin, circostanza, quest’ultima, motivatamente esclusa dai giudici di merito come innanzi ricordato.

Parimenti prive di fondamento sono le doglianze relative al trattamento sanzionatorio avendo i giudici di merito dato adeguatamente conto del proprio convincimento, laddove hanno valorizzato la gravità del fatto e la negativa personalità dell’imputato; per quel che riguarda il diniego dell’attenuante del risarcimento del danno, la decisione impugnata si pone assolutamente in sintonia con il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, secondo cui presupposto per il riconoscimento dell’attenuante in parola è che il risarcimento avvenga prima del giudizio senza possibilità di eccezione alcuna.

Un’ultima annotazione: con il ricorso nulla è stato dedotto in ordine alla sospensione condizionale della pena che era stata sollecitata con i motivi di appello; mette conto peraltro sottolineare che dagli atti risulta che il D.M. – al quale in relazione al presente procedimento è stata inflitta la pena complessiva di anni due e mesi due di reclusione e giorni venti di arresto ed Euro 600,00 di ammenda – ha già usufruito di una sospensione condizionale in relazione ad una pena di anni uno, mesi quattro e giorni dieci di reclusione oggetto di sentenza di applicazione della pena.

Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *