Cass. civ. Sez. I, Sent., 21-06-2012, n. 10379 Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1 – Con sentenza del 31 novembre 187 il Tribunale di Ancona condannava il Comune di Falconara Marittima, rimasto contumace, in relazione alla occupazione acquisitiva di un fondo appartenente alla Parrocchia della Beata Vergine del Rosario di (OMISSIS), cui sarebbe poi subentrato l’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero, al pagamento delle somme di L. 8.480.00 e accessori, a titolo di indennità di occupazione, e di L. 831.179.500 in accoglimento della pretesa risarcitoria relativa alla perdita di detto bene a seguito della intervenuta sua irreversibile trasformazione.

1.1 – Proponeva appello il Comune, eccependo, fra l’altro, l’intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno, e contestando i criteri di valutazione del bene, ritenuti incongrui per eccesso.

1.2.a – Con decisione del 22 ottobre 1991 (n. 26 del 1992) la Corte di appello di Ancona dichiarava la prescrizione del diritto al risarcimento del danno relativamente al terreno trasformato attraverso l’edificazione di due fabbricati costruiti in base a licenza del 28 agosto 1968, disponendo in merito alla prosecuzione del giudizio in relazione alle rimanenti aree ablate.

1.2.b – Con sentenza definitiva n. 474 del 1999 la stessa corte distrettuale, a seguito di nuovi accertamenti peritali, ritenuta la natura agricola delle aree in relazione alle quali non era stata accolta l’eccezione di prescrizione, determinava l’importo dovuto in L. 2.444.420 oltre accessori.

1.3 – Con sentenza n. 4925 del 2003 questa Corte, premesso che dovevano ritenersi coperti dal giudicato i punti inerenti alla durata decennale della prescrizione e alla data iniziale della stessa, individuata, sulla scorta del rilascio del certificato di abitabilità in data 27 novembre 1970, nell’anno 1970, affermava che doveva attribuirsi efficacia interruttiva all’offerta dell’indennità espropriativa nel febbraio del 1980, e, quanto alla ricognizione giuridica dei terreni, che la loro inclusione in zona PEEP ne determinava la natura edificatoria. Avverso tale decisione veniva proposta impugnazione per revocazione, dichiarata inammissibile con sentenza n. 21401 del 2004.

1.4 – La Corte di appello di Ancona, pronunciando in sede di rinvio, rilevava che, sulla base della pronuncia di questa Corte, dovesse attribuirsi efficacia interruttiva all’offerta dell’indennità e che quindi, non essendo possibile rimettere in discussione il termine iniziale del decorso della prescrizione, la relativa eccezione dovesse essere respinta.

Sulla base della rinnovata consulenza tecnica d’ufficio veniva altresì determinata in Euro 246.866,83, con riferimento alle diverse date di acquisizione dei terreni occupati, la complessiva somma dovuta a titolo risarcitorio, con gli interessi e rivalutazione decorrenti dalle singole date di acquisizione, come indicate nell’elaborato peritale, al quale si faceva esplicito riferimento.

1.5 – Per la cassazione di tale decisione il Comune di Falconara Marittima propone ricorso, affidato a due motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso l’Istituto Diocesano che propone ricorso incidentale, affidato ad unico motivo, parimenti illustrato da memoria.

Motivi della decisione

2 – Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056. 1223 e 1224 c.c.; D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis convertito nella L. n. 359 del 1992, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Si afferma che, avendo il consulente tecnico d’ufficio determinato i valori delle singole aree ablate comprendendo in essi quanto dovuto a titolo di interessi e rivalutazione fino alla data della relazione, vale a dire fino al 26 settembre 2005, l’attribuzione, nella sentenza impugnata, della complessiva somma determinata dal consulente, "oltre a interessi di legge e rivalutazione monetaria su base ISTAT con decorrenza dalle singole date di acquisizione dei fondi in capo alla P. A., come riportate nell’elaborato peritale" comportava, nei limiti testè precisati, una nuova attribuzione di interessi e rivalutazione su una somma che già li comprendeva. Tale statuizione comporterebbe, oltre alla sostanziale violazione delle disposizioni inerenti all’attribuzione degli interessi legali e alla rivalutazione monetaria dei debiti di valore (ed al riguardo si formula idoneo quesito di diritto), contraddittorietà della motivazione, consistente nell’affermazione, da un lato, della piena adesione alle risultanze peritali, e, dall’altro, nel loro recepimento in maniera del tutto difforme dalle conclusioni dell’esperto e dai chiarimenti dallo stesso forniti.

2.1 – Il motivo è fondato. Il ricorrente in via principale, trascrivendo, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso, la relazione – nella parte rilevante ai fini in esame – del consulente tecnico d’ufficio, ha posto in evidenza come la sentenza impugnata, stabilendo la decorrenza della rivalutazione monetaria e degli interessi a far tempo dall’acquisizione dei singoli fondi, essendo tali voci già ricomprese nella somma complessivamente attribuita, ne ha determinato una inammissibile duplicazione, così determinando una ristorazione del pregiudizio illegittimamente incongrua per eccesso.

3 – Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2944 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

Si sostiene, in particolare, che non sarebbe stato precluso l’accertamento relativo alla data in cui si sarebbe verificata – con riferimento all’occupazione acquisitiva dell’area di mq 4.032, sulla quale risulta effettuato l’intervento edilizio previsto dalla licenza del 28 agosto 1968, in quanto la data del 27 novembre 1970, posta alla base del calcolo del termine prescrizionale nella decisione emessa in sede di rinvio, non sarebbe compresa nella precedente sentenza n. 26 del 1992 della stessa Corte di appello di Ancona, che avrebbe fatto riferimento, in maniera indeterminata, al momento in cui la materiale trasformazione del fondo sarebbe divenuta irreversibile. A tal fine si precisa che la relativa data dovrebbe individuarsi in epoca anteriore a quella del collaudo delle due palazzine, avvenuto nel dicembre del 1969, come risulta dal decreto con cui il Prefetto di Ancona, in data 1 ottobre 1970, rilasciava la licenza d’uso di tali edifici.

3.1 – Il motivo è infondato. Il giudice del rinvio, compiendo una doverosa ricognizione dei propri limiti alla luce della sentenza di questa Corte n. 4925 del 2003, ha rilevato che "la Suprema Corte, in tanto ha esaminato la predetta questione della prescrizione, pur con peculiare riferimento alla valenza dell’atto interruttivo sopra richiamato, in quanto l’intera, unitaria e tematicamente inscindi- bile questione della prescrizione è stata esaminata dalla stessa Suprema Corte dal punto di vista di un giudizio dirimente sull’an sit del dedotto fatto estintivo prescrizionale". Appare allora evidente l’errore di prospettiva in cui si colloca il Comune di Falconara Marittima, focalizzando il proprio esame, ai fini della verifica del giudicato interno, esclusivamente sulla precedente decisione di merito, senza prendere in considerazione la ratio decidendi del provvedimento emesso in sede di rinvio e senza tener conto, quindi, della complessiva valenza della decisione di questa Corte Suprema n. 4925 del 2003. Nella quale, per quanto qui maggiormente rileva, si afferma che "hanno acquistato forza di cosa giudicata due accertamenti, entrambi contenuti nella prima delle sentenze impugnate e non costituenti oggetto di impugnazione : . . la compiuta realizzazione della prima delle due palazzine nell’anno 1970 (confermata dal certificato di abitabilità del 27 novembre 1970)".

Della portata di tale valutazione sicuramente si era reso conto lo stesso ente territoriale, che ebbe ad impugnare per revocazione la menzionata decisione di questa Corte, deducendo che essa era frutto di errore di fatto, "in quanto l’irreversibile trasformazione era stata acclarata, in modo indiscutibile, dal collaudo avvenuto il 15 dicembre 1969, come risultante dall’atto del Prefetto della Provincia di Ancona di rilascio all’I.A.C.P. della licenza d’uso degli edifici". Detto ricorso è stato dichiarato inammissibile con decisione di questa Corte n. 21401 del 2004, in cui si rileva, fra l’altro, che nella sentenza impugnata per revocazione la corte stessa "si era limitata a precisare l’ambito del giudicato interno formatosi a seguito della mancata impugnazione e che tale conclusione appartiene tipicamente all’ambito dei giudizi e delle valutazioni giuridiche". Tanto premesso, mette conto di richiamare il consolidato indirizzo di questa Corte, al quale la sentenza impugnata si è correttamente conformata, secondo cui i limiti e l’oggetto del giudizio di rinvio sono fissati dalla sentenza di annullamento, che non può essere nè sindacata, nè elusa, neppure in caso di constatato errore, dal giudice del rinvio, ragion per cui questi non può compiere un nuovo e diverso accertamento dei fatti che siano stati accertati definitivamente e sui quali (nel caso di specie, per altro, in maniera esplicita) si è fondata la sentenza che ha disposto il rinvio (Cass., 28 giugno 1997, n. 5800; Cass. 25 settembre 2004 n. 19307; Cass. 8 novembre 2005 n. 21664; Cass., 6 marzo 2012, n. 3458).

4 – Con il ricorso incidentale l’Istituto Diocesano denuncia, con unico profilo di censura, violazione di legge, dolendosi della valutazione dei beni sulla base dei criteri dettati dal D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, commi 1, 2 e 7 bis convertito nella L. n. 359 del 1992, ormai superati per effetto delle relative dichiarazioni di incostituzionale contenute nelle decisioni del giudice delle L. n. 348 del 1997 e L. n. 349 del 2007.

Viene, in proposito, formulato il seguente quesito di diritto: " Se, dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale delle sentenze della Corte costituzionale n. 238 e 349 del 22.24 ottobre 2007, nei giudizi risarcitori per occupazione legittima e illegittima in espropriazione per causa di pubblica utilità pendenti a quella data e per occupazioni anteriori al 30 settembre 1996, nell’ipotesi in cui la Suprema Corte di cassazione disponga il rinvio al giudice del merito sulla determinazione degli importi dovuti, il rinvio stesso debba contenere l’indicazione al giudice destinatario di attenersi al nuovo quadro e contesto normativo comunque venutosi a creare".

4.1 – Vanno preliminarmente disattese le eccezioni di inammissibilità sollevate dal Comune ricorrente in relazione all’impugnazione incidentale in esame. Quanto al primo profilo, con il quale si deduce che non sarebbero state chiaramente indicate le norme violate, mentre il quesito non sarebbe stato formulato in maniera pertinente, si osserva che il riferimento – nell’impugnazione incidentale e nello stesso quesito – allo ius superveniens costituito dalle richiamate decisioni della corte costituzionale, con conseguente inapplicabilità degli abrogati criteri riduttivi, indica in maniera chiara ed inequivocabile la volontà della parte di ottenere, sulla base del nuovo quadro normativo, una valutazione del bene conforme ai criteri attualmente vigenti, fondati sul valore di mercato. Neppure coglie nel segno l’eccezione di tardività del ricorso incidentale stesso, dovendosi in proposito richiamare l’orientamento espresso dalle Sezioni unite di questa Corte, al quale il Collegio intende dare continuità, secondo cui l’art. 334 c.p.c., che consente alla parte, contro cui è stata proposta impugnazione (o chiamata ad integrare il contraddittorio a norma dell’art. 331 c.p.c.), di esperire impugnazione incidentale tardiva, senza subire gli effetti dello spirare del termine ordinario o della propria acquiescenza, è rivolto a rendere possibile l’accettazione della sentenza, in situazione di reciproca soccombenza, solo quando anche l’avversario tenga analogo comportamento, e, pertanto, in difetto di limitazioni oggettive, trova applicazione con riguardo a qualsiasi capo della sentenza medesima, ancorchè autonomo rispetto a quello investito dall’impugnazione principale (cfr., per tutte, Cass., 23 gennaio 1998, n. 652; per un’applicazione del principio sotto il profilo soggettivo, cfr. Cass., Sez. un., 27 novembre 2007, n. 24627).

4.2 – Il ricorso incidentale è fondato. Essendosi accertata, in maniera ormai insindacabile, la natura edificatoria del terreno, ed avendo la Corte di appello fatto applicazione del criterio riduttivo introdotto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, deve constatarsi come lo stesso sia venuto meno per effetto della sentenza 349 del 2007 della Corte Costituzionale, la quale ne ha dichiarato l’illegittimità per contrasto con l’art. 117 Cost., in quanto, non prevedendo un ristoro integrale del danno subito per effetto dell’occupazione acquisitiva da parte della p.a., corrispondente al valore di mercato del bene occupato, è in contrasto con gli obblighi internazionali sanciti dall’art. 1 del Protocollo addizionale alla Cedu e per ciò stesso viola l’art. 117 Cost., comma 1. Pertanto dal giorno successivo alla pubblicazione di questa decisione (art. 136 Cost. e L. n. 87 del 1953, art. 30, comma 3), come la Consulta ha espressamente avvertito, non è più possibile applicare il meccanismo riduttivo in esame, a meno che il rapporto non sia ormai esaurito in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l’ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essersi verificate preclusioni processuali, o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d’incostituzionalità (Cass. 16450/2006; 15200/2005; 22413/2004):

così come, del resto, stabiliva l’art. 5 bis citato, con riguardo al passaggio in giudicato della definizione dell’indennità di espropriazione, in sede giudiziale.

Nessuna di queste ipotesi – con riferimento alle questioni che formavano oggetto del giudizio di rinvio – si è verificata nel caso concreto posto che l’Istituto Diocesano con il motivo di impugnazione in esame ha impedito la definitiva ed immodificabile determinazione della liquidazione della posta risarcitoria, ponendone in discussione l’ammontare ancora dovuto, ritenuto incongruo. Non rileva, per altro, che detta parte, non abbia sollevato questione sulla legge applicabile, ma contestato solo la quantificazione in concreto dell’importo liquidato, anzitutto perchè in ordine all’individuazione del criterio legale di stima non è concepibile la formazione di un giudicato autonomo – così come la pronunzia sulla legge applicabile al rapporto controverso non può costituire giudicato autonomo rispetto a quello sul rapporto -, nè l’acquiescenza allo stesso, dato che il bene della vita alla cui attribuzione tende l’opponente alla stima è l’indennità, li guidata nella misura di legge, non già l’indicato criterio legale (Cass., 11 settembre 2008, n. 23399).

4.3 – Tanto premesso, ritiene la Corte che non possa prescindersi – non essendosi formato il giudicato in merito alle concrete modalità di applicazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis – dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 348/07, nel frattempo intervenuta, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale norma, commi 1 e 2, attesa l’efficacia di una tale pronuncia dei giudizi, come quello in esame, in cui sia ancora in discussione la determinazione di detta indennità, la quale non potrebbe certamente essere regolata da norme dichiarate incostituzionali.

Torna quindi nuovamente applicabile, per la determinazione dell’indennizzo, il criterio generale del valore venale del bene, già previsto dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39, che costituisce l’unico ancora rinvenibile nell’ordinamento, non essendo stato abrogato dal T.U. approvato con D.P.R. n. 327 del 2001, art. 58, in quanto detta norma fa espressamente salvo "quanto previsto dall’art. 57, comma 11, (oltre che dall’art. 57 bis) il quale esclude l’applicazione del T.U. relativamente ai progetti per i quali, come è accaduto nel caso in esame, "alla data di entrate in vigore dello stesso decreto sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dell’opera, ribadendo che continuano ad applicarsi tutte le normative vigenti a tale data, fra cui, pertanto, quella contenuta nella Legge Generale n. 2359 del 1865, art. 39.

Deve inoltre precisarsi che nella fattispecie non opera nemmeno lo "ius superveniens" costituito dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89, che prevede la riduzione del 25% dell’indennità allorchè l’espropriazione sia finalizzata ad interventi di riforma economico – sociale, prevedendo la norma intertemporale di cui al successivo comma 90 la retroattività della nuova disciplina di determinazione dell’indennità di esproprio limitatamente ai "procedimenti espropriativi in corso e non anche ai giudizi in corso (Cass., Sez. Un., 28 ottobre 2009, n. 22756).

La somma spettante all’Istituto – ed in tal senso va accolto il ricorso incidentale – deve pertanto calcolarsi con riferimento al valore pieno dell’area occupata, secondo la previsione del richiamato L. n. 2359 del 1865, art. 39.

2.5 – L’impugnata sentenza deve essere quindi cassata in relazione all’aspetto testè evidenziato, nonchè in conseguenza dell’accoglimento del primo motivo del ricorso principale, con rinvio alla corte di appello di Ancona, che, in diversa composizione, applicherà i principi sopra indicati, provvedendo, altresì, al regolamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte, riunisce i ricorsi. Rigetta il secondo motivo del ricorso principale, accoglie il primo e il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, il 13 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2012

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