Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 21-07-2011) 01-12-2011, n. 44665

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 25/l/2011 la Corte di Appello di Catania rigettava l’istanza di autorizzazione al lavoro dell’imputato agli arresti domiciliari P.M..

Con provvedimento del 4/4/2011 il Tribunale del Riesame di Catania confermava l’ordinanza di rigetto. Osservava il giudice di merito che l’indagato non versava in situazione di indigenza considerato che abitava la casa di proprietà dei genitori. Inoltre, da informativa dei Carabinieri emergeva che l’attività di lavoro era incompatibile con una vigilanza efficiente, attesa la gravita dei reati per cui si procedeva di traffico di stupefacenti ed armi.

2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, lamentando il difetto di motivazione in relazione alla valutazione delle condizioni economiche del P. ed al suo positivo comportamento durante il periodo di custodia cautelare.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è manifestamente infondato.

3.1. Va ricordato preliminarmente quali siano i limiti del sindacato della Corte di Cassazione in materia cautelare. In particolare è stato più volte ribadito che "l’ordinamento non conferisce alla Corte alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, nè alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive degli indagati, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo ed insindacabile del giudice cui è stata richiesta l’applicazione delle misura cautelare e del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è perciò circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro di carattere negativo, il cui possesso rende l’atto insindacabile: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza nel testo dell’esposizione di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento" (Cass. 4, n. 2050/96, imp. Marseglia, rv. 206104).

3.2. Con specifico riferimento all’autorizzazione al lavoro, questa Corte di legittimità, con consolidato orientamento, ha statuito che "Ai sensi dell’art. 284 c.p.p., comma 3, il giudice può autorizzare l’imputato sottoposto agli arresti domiciliari ad assentarsi per provvedere alle sue "indispensabili esigenze di vita", quando questi non possa provvedere altrimenti, ovvero per esercitare un’attività lavorativa, quando versi in una "situazione di assoluta indigenza".

Dal testo normativo, dai lavori preparatori e dalla qualificazione dei presupposti autorizzativi in termini di "indispensabilità" e di "assolutezza", emerge che la valutazione del giudice deve essere improntata a criteri di particolare rigore, di cui deve essere dato conto nella motivazione del relativo provvedimento" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3649 del 17/11/1999 Cc. (dep. 23/02/2000), Verde, Rv.

215522; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 34235 del 15/07/2010 Cc. (dep. 22/09/2010), Gatti, Rv. 248228).

Inoltre il giudice, nel concedere il beneficio di recarsi al lavoro, deve valutare la compatibilità dell’attività lavorativa proposta rispetto alle esigenze cautelari poste a base della misura coercitiva.

Nel caso di specie il Tribunale ha evidenziato come la circostanza che il P. vivesse in famiglia, escludeva l’indigenza e la necessità del lavoro; inoltre che la gravita ed eterogeneità delle imputazioni, lasciavano trasparire una pericolosità sociale del prevenuto che imponeva una continuità di controllo che l’autorizzazione al lavoro non avrebbe consentito.

La coerenza e logicità della motivazione, la rende incensurabile in questa sede di legittimità e, unitamente alla manifesta infondatezza dei motivi di ricorso, impone la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione. Segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00 (mille).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00= in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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