Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 08-07-2011) 01-12-2011, n. 44865

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

– che con ordinanza del 24 gennaio 2011 il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Bologna, investito di una richiesta di applicazione di misura cautelare nei confronti, fra gli altri, di M.A. per tre addebiti di falso in bilancio ex art. 2622 cod. civ. (capi G, H ed I dell’imputazione provvisoria) nonchè per i reati di manipolazione del mercato ed abuso di informazioni privilegiate D.Lgs. n. 58 del 1998, ex artt. 185 e 184 (capi N ed O), ed ancora di aggiotaggio ex art. 2637 cod. civ. (capo Q), accolse la suddetta richiesta soltanto con riguardo a detto ultimo addebito;

– che avverso tale provvedimento proposero appello, per quanto di rispettivo interesse, tanto la locale procura della Repubblica quanto la difesa dell’indagato;

– che, in accoglimento di detto ultimo gravame, il tribunale di Bologna, con ordinanza del 22 febbraio 2011, annullò la misura cautelare disposta relativamente al reato di cui al capo Q;

decisione, questa, avverso la quale la procura della Repubblica propose ricorso per cassazione;

– che, con il provvedimento di cui in epigrafe, datato 28 marzo 2011, lo stesso tribunale di Bologna, in parziale accoglimento del gravame proposto dal pubblico ministero avverso la citata ordinanza del 24 gennaio 2011, dispose l’applicazione, nei confronti del M., degli arresti domiciliari per i reati di cui ai capi G, H, I, N ed O, ritenendo sussistenti, con riguardo a tali reati, tanto i gravi indizi di colpevolezza quanto le esigenze cautelari, individuate essenzialmente in quelle di cui all’art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c);

– che avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione la difesa del M., denunciando:

1) vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, sull’assunto, in sintesi e nell’essenziale, che, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale (adagiatosi pedissequamente – si afferma – senza dare risposta alcuna alle controdeduzioni contenute nella memoria difensiva del 2 marzo 2011, sulle valutazioni operate dalla pubblica accusa, la quale aveva fatto leva, essenzialmente, sulla tipologia delle condotte contestate all’indagato nonchè sul contenuto di alcune missive di posta elettronica risalenti al periodo settembre – novembre 2010, come pure su quello di alcune conversazioni intercettate), nessuno di detti elementi sarebbe stato realmente idoneo a sostenere la decisione adottata sul punto in questione, in quanto: – 1/a) avendo lo stesso tribunale, con la propria pronuncia del 22 febbraio 2011, escluso la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza relativamente al reato di cui al capo Q, non sarebbe dato comprendere come il pericolo di reiterazione di condotte criminose potesse farsi derivare dalla contestazione, a carico dell’indagato, dell’ulteriore reato di cui al capo S, costituito dalla contravvenzione prevista dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 185, comma 2 bis, (per la quale non era stata disposta, nè avrebbe potuto esserlo, alcuna misura cautelare); – 1/b) le missive di posta elettronica, lungi dal dimostrare l’asserita permanenza, in capo al M., della qualità di "assoluto dominus" delle società nell’ambito delle quali egli rivestiva il ruolo di direttore generale, sarebbero state soltanto a significare che lo stesso M. agiva in pura e semplice attuazione dei deliberati del consiglio di amministrazione; – 1/c) dal contenuto delle conversazioni intercettate, poste in essere dal M. successivamente alla sua liberazione (quale riportato nell’atto di ricorso), non sarebbe stata desumibile alcuna attività illecita;

2) violazione di legge, e, segnatamente, dell’art. 274 c.p.p., lett. c), con riguardo, ancora, alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari previste da detta disposizione normativa, sull’assunto che, riferendosi questa soltanto al pericolo di reiterazione di condotte criminose qualificabili come delitti, essa non avrebbe potuto essere invocata con riguardo alla contravvenzione di cui al capo S, rimanendo altresì esclusa con riguardo ai delitti di cui ai capi G, H, I N ed O, dal momento che questi, come posto in evidenza nell’ordinanza del G.I.P. che aveva negato l’applicazione, per essi, della misura cautelare, constavano di "episodi già esauriti";

3) ulteriore violazione di legge, sempre con riferimento al citato art. 274 c.p.p., lett. c), sull’assunto che sarebbe mancata la possibilità di ritenere sussistente il requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione di condotte criminose, a fronte del fatto che il M., ormai privo della qualifica di amministratore, si limitava all’esercizio di una lecita attività lavorativa nell’ambito di una società commerciale nella quale era socio di maggioranza e che erano inoltre intervenuti il sequestro di tutte le azioni di cui egli era proprietario nonchè la sospensione della contrattazione dei titoli della medesima società;

4) vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sull’assunto che: – 4/a) quanto ai reati di cui ai capi G, H ed L, il tribunale si sarebbe posto in contraddizione con quanto da esso stesso affermato nella precedente ordinanza del 22 febbraio 2011, secondo cui non vi sarebbe stata la sopravvalutazione del terreno nella quale sarebbe consistita la contestata falsità in comunicazioni sociali; – 4/b) quanto al reato di cui al capo N, sarebbero stati pressochè del tutto ignorati i rilievi difensivi contenuti nella memoria presentata nel corso del procedimento davanti al tribunale; – 4/c) quanto al reato di cui al capo O, il tribunale lo avrebbe confuso con quello, di carattere contravvenzionale, di cui al capo P, previsto dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 167, per il quale non era stata (nè avrebbe potuto esserlo) chiesta e disposta alcuna misura cautelare; – 4/d) quanto ai reati di cui ai capi L ed M (violazioni dell’art. 373 c.p.) non sarebbe stato tenuto conto del fatto che non era stata chiesta, per essi, l’applicazione di alcuna misura cautelare nei confronti del M..

Motivi della decisione

– che il ricorso appare meritevole di accoglimento per quanto di ragione, e cioè nella misura in cui le censure in esso contenute, a prescindere dal fondamento che possa o meno riconoscersi a ciascuna di esse, singolarmente considerata, si richiamano, esplicitamente o implicitamente, agli elementi ed alle argomentazioni sulla cui base il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Bologna aveva respinto, a suo tempo, la richiesta di misura cautelare nei confronti del M. relativamente agli addebiti di cui alle lettere G, H, I, L, N dell’imputazione provvisoria; elementi ed argomentazioni che il tribunale ben poteva (come, in effetti ha dimostrato di voler fare) ritenere privi di validità, a condizione, però, di prenderli adeguatamente il esame ed illustrare le specifiche ragioni del dissenso, rispetto alle valutazioni motivatamente operate dal primo giudice; ciò in linea con il principio, più volte enunciato da questa Corte, secondo cui, nell’ipotesi di condanna pronunciata all’esito del giudizio d’appello nei confronti di imputato assolto in primo grado (alla quale ipotesi, per evidente analogia di "ratio", va assimilata quella della ritenuta applicabilità di una misura cautelare, negata invece dal primo giudice), il giudice d’appello non può limitarsi ad una, sia pur valida (in sè e per se considerata) motivazione a sostegno della propria decisione, ma come affermato, ad esempio, da Cass. 5 17 ottobre – 11 novembre 2008 n. 42033, Pappalardo, RV 242330, deve confutar specificamente, per non incorrere nel vizio di motivazione le ragioni poste a sostegno della decisione riformata, dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti ivi contenuto anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati" (nello stesso senso: Cass. 4, 9 giugno – 29 luglio 2005, n. 28583, Baia, RV 232441; Cass. S.U. 12 luglio – 20 settembre 2005 n. 33748, Mannino RV 231679; Cass. 6, 29 aprile – 27 maggio 2009 n. 22120, Tatone ed altri RV 243946); principio, questo, che, nella specie, risulta totalmente disatteso non rinvenendosi, nella pur ampia motivazione dell’ordinanza impugnata, il benchè minimo riferimento alle ragioni sulla base delle quali il giudice di prime cure era pervenuto alla propria decisione;

che l’impugnata ordinanza non può, quindi, che essere annullata con rinvio, per nuovo esame, allo stesso tribunale di Bologna, il quale, in assoluta libertà di valutazione degli elementi di fatto a sua disposizione, dovrà, tuttavia, ove ritenga di conferire la propria precedente decisione, aver cura di non discostarsi dal principio di diritto dianzi richiamato.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo esame, al tribunale di Bologna.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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