Cass. civ. Sez. VI – 3, Sent., 21-06-2012, n. 10348

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p. 1. La s.a.s. Supermercati Sinopoli ha proposto ricorso per cassazione contro il Comune di Davoli avverso la sentenza n. 881 del 7 aprile 2010, con la quale il Tribunale di Catanzaro ha accolto l’appello del Comune avverso la sentenza pronunciata in primo grado inter partes dal Giudice di Pace di Davoli ed ha rigettato la domanda proposta da esso ricorrente riguardo alla mancata debenza al Comune di somme per la fornitura di acqua potabile per l’anno 2000, le quali erano state richieste dal Comune con una fattura.

p. 2. Il Comune non ha resistito al ricorso.

Motivi della decisione

p. 1. Il ricorso appare inammissibile per violazione del requisito di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, cioè della enunciazione dell’esposizione sommaria dei fatti di causa. Invero la struttura del ricorso, nella parte dedicata al fatto è la seguente:

a) nella prima pagina, dopo l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata e una breve premessa enunciativa che con l’atto di citazione introduttivo del giudizio la parte ricorrente aveva agito nella qualità di presunto utente/consumatore del servizio idrico gestito dal Comune di Davoli, rappresentando al Giudice di Pace di aver ricevuto una fattura (non un atto di messa in mora ex art. 2943 c.c.) relativa ad una non identificata fornitura di acqua potabile per l’anno 2000, a partire dall’ultimo terzo della pagina si riporta – con tecnica di utilizzazione di un carattere più piccolo rispetto alla parte effettivamente espositiva del ricorso e che fa sì che ogni pagina consti di oltre cinquanta righe – il contenuto della citazione e la relativa riproduzione termina, con la data e la firma del difensore, all’inizio della pagina sei;

b) seguono sei righe nelle quali si dice che il ricorrente, "nella qualità di preteso debitore (attore formale, ma convenuto in senso sostanziale)", aveva contestato e negato decisamente l’esistenza della fornitura di acqua, che tale fatto non era stato valutato dal primo giudice e poi dal Tribunale, aveva eccepito in subordine la prescrizione, "la non dovutezza della soma, come indicata dal Comune arbitrariamente in fattura, oltre che, la non potabilità dell’acqua, per modo che era stata contestata in toto la richiesta di pagamento;

c) quindi, vengono enunciate riassuntivamente le difese svolte dal Comune fino al termine della pagina sette;

d) si riassumono, quindi, i contenuti della decisione del giudice di pace, si enuncia che il Comune ebbe a proporre appello e di esso si riassumono schematicamente i motivi fino a metà della pagina otto;

e) quindi si riproduce, sempre con il solito carattere il contenuto dell’appello incidentale della ricorrente fino ad un quarto della pagina diciassette, nuovamente con la data e la firma del difensore;

f) di seguito si enuncia che il giudizio di appello venne trattenuta in decisione con termine per deposito di note e repliche ex art. 190 c.p.c. all’udienza del 19 marzo 2010, si riportano le conclusioni precisate dal ricorrente e, quindi, le motivazioni della sentenza impugnata.

3.1. Ora, siffatta tecnica espositiva appare inidonea per evidente eccessività ad integrare il requisito dell’art. 366 c.p.c., n. 3 perchè si risolve nel costringere la Corte, per percepire il fatto sostanziale e lo svolgimento del fatto processuale alla lettura integrale di una parte rilevante degli atti di causa, quali sono l’atto introduttivo del giudizio e l’atto di appello incidentale.

D’atro canto, le parti enunciative inframmezzate fra di esse risultano del tutto insufficienti ai fini della individuazione del fatto sostanziale e processuale cui allude la norma.

Di recente, ribadendo affermazioni consolidate di numerosissime precedenti decisioni (anche delle Sezioni Unite) facendone espresso richiamo, Cass. n. 1905 del 2012, con riguardo ad esposizioni del fatto simili a quella di cui al ricorso, ha statuito che "E’ inammissibile, per inosservanza del necessario requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa di cui all’art. 363 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, il ricorso per cassazione che si limiti a riprodurre, in via diretta o indiretta, il testo integrale di una serie di atti dello svolgimento processuale, così onerando la Corte di cassazione di procedere alla lettura di tali atti, similmente a quanto avviene in ipotesi di mero rinvio ad essi, non potendosi ritenere assolta da elementi estranei al ricorso la funzione riassuntiva sottesa alla previsione della sommarietà dell’esposizione del fatto".

Questo principio di diritto ha trovato conferma ancora più di recente da parte di Cass. sez. un. n. 5698 del 2012, la quale si è così espressa: "1.- Queste Sezioni Unite hanno già affermato che, nel ricorso per cassazione, una tecnica espositiva dei fatti di causa realizzata mediante la pedissequa riproduzione degli atti processuali non soddisfa il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, che prescrive "l’esposizione sommaria dei fatti della causa" a pena di inammissibilità. Con sentenza n. 16628/2009 è stato infatti osservato che quella prescrizione è preordinata allo scopo di agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa, l’esito dei gradi precedenti con eliminazione delle questioni non più controverse, ed il tenore della sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi di censura. Con la successiva ordinanza n. 19255/2010 è stato ribadito che l’assolvimento del requisito in questione è considerato dal legislatore come un’attività di narrazione del difensore che, in ragione dell’espressa qualificazione della sua modalità espositiva come sommaria, postula un’esposizione finalizzata a riassumere sia la vicenda sostanziale dedotta in giudizio che lo svolgimento del processo. Nello stesso senso si sono più volte espresse anche le sezioni semplici. In particolare, tra le altre: – la sezione lavoro, con sentenza n. 2281/2010, ha osservato che la prescrizione relativa all’esposizione sommaria dei fatti di causa non può ritenersi rispettata quando il ricorrente non riproduca alcuna narrativa della vicenda processuale, nè accenni all’oggetto della pretesa, limitandosi ad allegare, mediante "spillatura" al ricorso, l’intero ricorso di primo grado ed il testo integrale di tutti gli atti successivi, rendendo particolarmente complessa l’individuazione della materia del contendere; – la sezione tributaria, con sentenza n. 15180/2010, ha ritenuto che la sommarietà dell’esposizione implica un lavoro di sintesi e di selezione dei profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice in un’ottica di economia processuale che evidenzi i profili rilevanti ai fini della formulazione dei motivi di ricorso, i quali altrimenti si risolvono in censure astratte e prive di supporto; – la sesta sezione, con sentenza n. 6279/2011, ha ribadito che il ricorso per cassazione è inammissibile se il ricorrente, anzichè narrare autonomamente i fatti di causa ed esporre l’oggetto della pretesa, si limiti a trascrivere integralmente gli atti dei precedenti gradi del giudizio ovvero ad allegare, mediante "spillatura", tali atti al ricorso; – la terza sezione, con sentenza n. 1905/2012, ha da ultimo chiarito che, se si ammettesse che la Corte di cassazione proceda alla lettura integrale degli atti assemblati per estrapolare la conoscenza del fatto sostanziale e processuale, si delegherebbe alla stessa un’attività che, inerendo al contenuto del ricorso quale atto di parte, è di competenza di quest’ultima; e che, inoltre, non agevolerebbe il rispetto del canone di ragionevole durata del processo. 2.- Il precipitato di tali enunciazioni è che costituisce onere del ricorrente operare una sintesi funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure mosse alla sentenza impugnata in base alla sola lettura del ricorso. La pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali è dunque, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale s’è articolata; per altro verso, è inidonea a tener il luogo della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non serve affatto che sia informata), la scelta di quanto effettivamente rileva in relazione ai motivi di ricorso. Il rilievo che la sintesi va assumendo nell’ordinamento è del resto attestato anche dall’art. 3, n. 2, del codice del processo amministrativo (di cui al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104), il quale prescrive anche alle parti di redigere gli atti in maniera chiara e sintetica. La testuale riproduzione (in tutto o in parte) degli atti e dei documenti è invece richiesta quante volte si assuma che la sentenza è censurabile per non averne tenuto conto e che, se lo avesse fatto, la decisione sarebbe stata diversa: la Corte deve poter bensì verificare che quanto il ricorrente afferma trovi effettivo riscontro negli atti (è questa la ragione per cui va domandata la trasmissione del fascicolo d’ufficio e vanno prodotti gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda), ma non è tenuta a cercarli, a stabilire essa stessa se ed in quale parte rilevino, a leggerli nella loro interezza per poter comprendere, valutare e decidere. La selezione di ciò che integralmente rileva in funzione della pedissequa riproduzione, nonchè la esposizione sommaria dei fatti di causa, entrambe correlate ai motivi di ricorso, vanno insomma fatte dal difensore del ricorrente che, per essere iscritto all’albo speciale di cui al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 33 (convertito in L. 22 gennaio 1934, n. 36, come successivamente modificata), ha l’esperienza e la competenza necessarie ad un non delegabile compito di sintesi, non sempre del tutto agevole e, tuttavia, assolutamente ineludibile. 3.- Le osservazioni che precedono non equivalgono ad affermare che anche la riproduzione del fatto mediante l’esclusiva, testuale esposizione dell’intera sentenza impugnata o della parte di essa dedicata allo "svolgimento del processo" (come spesso accade), necessariamente comporta l’inammissibilità del ricorso per inosservanza del disposto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3. Quel che appare in tal caso determinante è che la concisa esposizione dello svolgimento del processo (prescritta per la sentenza fino all’entrata in vigore della novella di cui alla L. n. 69 del 2009 e da allora non più prevista in relazione alla nuova formulazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4) possa ritenersi equivalente in concreto alla esposizione sommaria dei fatti della causa, la quale soltanto è funzionalmente collegata ai motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza. In altri termini, riproducendo il fatto come riportato nella sentenza impugnata, il ricorrente assume il rischio sia di una rappresentazione non sufficientemente chiara sia della sua inadeguatezza funzionale in relazione ai motivi per i quali la sentenza stessa è censurata. La riproduzione totale o parziale della sentenza impugnata può dunque ritenersi idonea ad integrare il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, soltanto quando se ne evinca una chiara esposizione dei fatti rilevanti alla comprensione dei motivi di ricorso (Cass., n. 5836/2011). Per converso, il ricorso non può dirsi inammissibile quand’anche difetti una parte formalmente dedicata all’esposizione sommaria del fatto, se l’esposizione dei motivi sia di per sè autosufficiente e consenta di cogliere gli aspetti funzionalmente utili della vicenda sottostante al ricorso stesso".

Alla luce delle ragioni indicate dalle Sezioni Unite la tecnica espositiva con cui il ricorso ha inteso assolvere all’onere di cui all’art. 366, n. 3, appare inidonea a soddisfare il requisito previsto da tale norma, tanto più in una controversia il cui valore viene in chiusura del ricorso indicato in Euro 66,90.

p. 4. Peraltro, se accantonando l’assorbente rilievo della causa di inammissibilità, si procedesse alla (non dovuta, secondo l’arresto delle Sezioni Unite, che hanno lasciato aperta la possibilità di desumere il requisito dell’art. 366, n. 3, dall’illustrazione dei motivi solo nel caso di riproduzione della sentenza impugnata) lettura integrale del ricorso, si evidenzierebbero riguardo ai sette motivi su cui esso si fonda le seguenti considerazioni, che paleserebbero complessivamente l’infondatezza del ricorso:

aa) il primo motivo con cui si denuncia che erroneamente il Tribunale abbia escluso l’improcedibilità dell’appello, prospettata all’udienza di precisazione delle conclusioni dalla parte qui ricorrente sotto il profilo che sulla nota di iscrizione a ruolo vi sarebbe stata solo l’apposizione di un timbro della cancelleria e non la sottoscrizione del cancelliere, si paleserebbe infondato, perchè – fermo che la legge non prevede espressamente la sottoscrizione della nota di iscrizione a ruolo da parte del cancelliere – esso attribuisce valore decisivo, ai fini della individuazione del momento della costituzione in giudizio, alla ricezione della nota da parte del cancelliere, piuttosto che all’iscrizione nell’apposito registro cronologico e nell’apposita rubrica alfabetica, olim disciplinati dall’art. 30 disp. att. c.p.c., ed ora, quanto al primo, dal D.M. Giustizia 27 marzo 2000 n. 264, art. 13, comma 1, n. 1 e quanto alla seconda dal comma 2 della stessa norma: al riguardo, per evidenziare l’eventuale tardività della costituzione sarebbe stato, in realtà, necessario fare riferimento alle risultanze di detti registri (in termini Cass. n. 6028 del 1988);

bb) il secondo motivo, là dove addebita, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, alla sentenza impugnata di avere omesso di motivare o di aver motivato contraddittoriamente o in modo insufficiente sulla "eccepita inesistenza dell’allaccio alla rete idrica comunale e conseguente fruizione del servizio di fornitura come indicato in fattura", sarebbe inammissibile, perchè, pur riproducendo prima una parte della citazione di primo grado e, quindi, dell’appello incidentale, non individua in modo preciso con quale specifica allegazione nel giudizio e particolarmente in detti atti la deduzione di tale circostanza fattuale era stata fatta; ed anzi, in essi si parla di inesistenza di un rapporto contrattuale di somministrazione, ma non si coglie alcuna deduzione circa l’inesistenza di un allaccio alla rete idrica; ed inoltre, nella parte finale dell’esposizione il motivo svolge considerazioni evocative di una omessa pronuncia su "domanda" svolta nell’atto di appello incidentale, che avrebbe dovuto censurarsi ai sensi dell’art. 360, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c.;

cc) il terzo motivo imputa al Tribunale di avere violato l’art. 2697 c.c., là dove avrebbe trascurato che era stata contestata l’esistenza del rapporto di somministrazione nella sua seconda parte il secondo motivo, in ragione dell’inammissibilità della sua prima parte quanto all’affermazione del Tribunale che la parte ricorrente non aveva dedotto di non aver beneficiato dell’erogazione, rimane a sua volta inammissibile, perchè resta consolidata quella affermazione e, quindi, non è possibile sostenere che il Tribunale abbia violato l’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., giacchè, argomentando che il rapporto poteva essere sorto in via di fatto, avrebbe trascurato che la fornitura era stata comunque contestata: ebbene, fermo che anche a questo proposito viene in rilievo la mancata indicazione della sede processuale in cui era avvenuta la contestazione dell’inesistenza fattuale della fornitura per l’ano di riferimento, cioè dell’inesistenza dell’allaccio, cui alludeva il motivo precedente, e fermo che le due sedi processuali indicate (nuovamente quelle ci fa riferimento il motivo precedente) non rivelano in alcun modo tale contestazione, si dovrebbe comunque osservare che avendo parte qui ricorrente agito in azione di accertamento negativo, incombeva ad essa dimostrare quel fatto, mentre si pretende di addebitare alla sentenza, sulla base della comunque indimostrata allegazione di quel fatto, che essa avrebbe considerato esistente la fornitura ancorchè incombesse al Comune di doverla provare;

dd) il quarto motivo, tendente a sostenere che il Tribunale avrebbe erroneamente escluso che l’appello fosse a motivi limitati, appare privo di fondamento, giacchè del tutto inammissibilmente vorrebbe che l’individuazione dei limiti dell’appello dovesse derivare dalla contestazione dell’esistenza del rapporto di fornitura posta a base dell’azione, così non considerando che anche un’azione di accertamento negativo dell’esistenza di un rapporto di massa è da decidere secondo diritto e, peraltro, invocando a torto Cass. sez. un. n. 13917 del 2006, senza considerare il rilievo da essa attribuito alla necessità di una pronuncia espressa sulla natura della causa da parte del giudice di pace;

ee) il quinto motivo lamenta che erroneamente il Tribunale abbia ritenuto che nella specie non occorresse la prova della conclusione per iscritto del contratto, pur trattandosi di contratto concluso dalla P.A., in quanto nella specie il Comune era erogatore del servizio e le norme che prescrivono la forma scritta dei contratti della p.a. non si riferirebbero alla P.A. quando eroga un servizio:

si tratta di motivo del quale non è dimostrata la decisività, nel senso che, se anche l’affermazione del Tribunale fosse errata (sul che, trattandosi di controversia inerente una vicenda relativa all’erogazione di un servizio comunale obbligatorio, sarebbe necessario un approfondimento circa la necessità della forma scritta di conclusione e comunque circa le possibili modalità di essa, nella specie con riferimento a quelle di allacciamento alla rete idrica) ed effettivamente dovesse ritenersi che un rapporto contrattuale fra la parte ricorrente ed il Comune necessitasse della conclusione per iscritto, non risulterebbe in alcun modo come e perchè, acclarata l’inesistenza del rapporto contrattuale concluso per iscritto, tale inesistenza dovrebbe risultare ipoteticamente decisiva in funzione dell’accoglimento della domanda di accertamento dell’inesistenza del credito formulata da parte attrice contro la pretesa del Comune.

Invero, al riguardo, occorrerebbe sapere se la pretesa dell’amministrazione di fronte alla quale si è reagito con l’azione di accertamento negativo esercitata sia stata esercitata esclusivamente nel presupposto della qualificazione contrattuale della fonte del credito. In tal caso, il giudizio di accertamento negativo si sarebbe instaurato con esclusivo riferimento a tale fonte della pretesa. Ma parte ricorrente non l’ha allegato e, pertanto, essendo in questa sede noto a questa Corte solo che essa ha agito in accertamento negativo del credito di cui alla fattura non meglio qualificato quoad fonte, dell’eventuale cassazione della sentenza in accoglimento del motivo in esame, non è dato conoscere la possibile decisività in funzione della soluzione della controversia, perchè non risulta che l’oggetto di quest’ultima fosse limitato all’accertamento dell’inesistenza del credito in quanto fondato su contratto non concluso per iscritto. E, quindi, deve ritenersi che la domanda di accertamento fosse estesa alla negazione di qualsiasi ragione giustificativa del credito. In tale ottica, essendo rimasto indimostrato che la fornitura dell’acqua non vi fosse stata, potrebbe avere rilievo che, avendone beneficiato la parte ricorrente, Essa non potrebbe comunque pretendere di pagarla, a tacer d’altro ai sensi dell’art. 2041 c.c., ipotesi di accertamento negativo del credito, del quale non è dato sapere se fosse compreso nell’ambito della domanda;

ff) il sesto motivo (con cui ci si duole che sia stata ritenuta l’esistenza di un idoneo atto interruttivo della prescrizione) appare inammissibile sia ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6 perchè si fonda sul contenuto di un documento non meglio identificato, del quale non riproduce il contenuto e non indica se e dove esso sia esaminabile in questa sede di legittimità (si vedano Cass. sez. un. nn. 28547 del 2008 e 7161 del 2010), sia, gradatamente perchè ignora il riferimento al suo contenuto (come avviso di pagamento) a pagina quattro della sentenza impugnata;

gg) il settimo motivo prospetta una prima censura di violazione dell’art. 112 c.p.c., addebitando alla sentenza impugnata di non avere provveduto sulla richiesta di determinare in via equitativa il credito nel presupposto della sua eccessività, richiesta formulata i via subordinata nella citazione di primo grado e, quindi, reiterata nell’appello incidentale, non avendola esaminata il primo giudice: si tratta di censura inammissibile, perchè, se è vero che nell’appello incidentale (come emerge dalla parte riprodotta), si reiterò quella richiesta, tuttavia, nella illustrazione del motivo non ci si preoccupa di precisare se essa venne mantenuta in sede di precisazione delle conclusioni davanti al giudice d’appello e come, così delegando inammissibilmente alla Corte di ricercarlo negli atti, il che contrasta con l’onere del ricorrente in cassazione nell’articolazione di un motivo di ricorso per cassazione basato su un’omessa pronuncia (si veda Cass. n. 5087 del 2010 secondo cui "la parte che, in sede di ricorso per cassazione, deduce che il giudice d’appello sarebbe incorso nella violazione dell’art. 112 c.p.c., per non essersi pronunciato su un motivo di appello o comunque su una conclusione formulata nell’atto di appello, è tenuta, ai fini della astratta idoneità del motivo ad assolvere all’attività assertiva finalizzata all’individuazione della detta violazione, a precisare che il motivo o la conclusione sono stati mantenuti in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di appello. In mancanza, il motivo è inidoneo al raggiungimento dello scopo di individuare la detta violazione e per ciò solo va ritenuto inammissibile"), tanto più in regime di applicazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, che onera il ricorrente di fornire l’indicazione specifica degli atti processuali su cui il ricorso si fonda (da ultimo Cass. sez. un. n. 22726 del 2011);

hh) il settimo motivo prospetta, poi, una seconda censura, che, però, è anch’essa inammissibile, sia perchè si appunta su un passo motivazionale della sentenza impugnata che in essa non si coglie (quello riportato a pagina 47 del ricorso in neretto, seconda proposizione), sia perchè fa riferimento ad argomentazioni basate su un regolamento idrico comunale del quale si postula la disapplicazione anche in relazione al diritto comunitario, ma riguardo al quale non fornisce indicazione specifica sempre ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

p. 5. Conclusivamente il ricorso, stante la prevalenza della ragione di inammissibilità, dev’essere dichiarato inammissibile.

Non è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 11 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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