Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-06-2012, n. 10337 Licenziamento disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1- La sentenza attualmente impugnata respinge l’appello di I. S. avverso la sentenza del Tribunale di Genova n. 1826/2008, di rigetto delle domande dello I. volte all’annullamento e/o alla revoca del licenziamento disciplinare intimatogli dall’AMIU s.p.a. nonchè delle quattro sanzioni disciplinari conservative irrogategli in precedenza dalla suddetta società, con le consequenziali pronunce.

La Corte d’appello di Genova, per quel che qui interessa, precisa che:

a) preso atto che nel corso del giudizio di primo grado non è stata espletata – sebbene ammessa – prova testimoniale sull’affissione del codice disciplinare si è provveduto al relativo espletamento, con l’escussione di nove testi e all’esito di tale prova è risultata smentita la circostanza dedotta dallo I. della mancata affissione del codice disciplinare nell’impianto di Scarpino;

b) deve anche precisarsi che la AMIU s.p.a. ha fornito la prova della sussistenza degli illeciti disciplinari contestati al dipendente rispetto ai quali in considerazione della loro gravità e reiterazione – le sanzioni inflitte (compreso il licenziamento per giusta causa) non appaiono sproporzionate;

c) quanto alle condotte contestate, è emersa dall’istruttoria l’esistenza di una direttiva della società avente ad oggetto l’obbligo della redazione da parte di ciascun capo-squadra (quale era il ricorrente) di almeno 5 report durante il turno di servizio ed è anche stato accertato che lo I. ha opposto e reiterato il proprio rifiuto a rispettare tale direttiva, salvo negare, in sede giudiziaria, la stessa esistenza della direttiva medesima;

d) comunque è stato accertato che, a causa del suddetto atteggiamento, il lavoratore ha redatto un numero insufficiente di report, onde le violazioni disciplinari sono risultate sussistenti;

e) inoltre, le contestazioni disciplinari non appaiono intempestive, in considerazione dei tempi necessari per le relative verifiche dei tabulati dei capo-squadra;

f) per quel che riguarda la contestazione del mancato passaggio delle consegne la vicenda è stata compiutamente ricostruita grazie alla testimonianza resa da B.M., che ha consentito di appurare la sussistenza dell’addebito, visto che anche in questo caso lo I. non si è attenuto ad una specifica direttiva del superiore gerarchico a fronte di una altrettanto specifica necessità contingente, quella di consentire lo svolgimento regolare del lavoro nonostante il cambio del caposquadra tra un turno e l’altro;

g) infine, la contestazione relativa all’abbandono del piano discarica è risultata fondata, visto che l’inserimento dei dati al computer è un’operazione che va fatta in ufficio, ma richiede pochi minuti, mentre i testimoni hanno precisato di non aver più visto il ricorrente nel piano discarica dopo l’ora indicata nella lettera di contestazione;

h) nella predetta situazione tutte le sanzioni irrogate allo I. appaiono proporzionate agli addebiti e applicate in modo graduale, tanto che l’azienda è giunta a determinarsi a risolvere il rapporto solo dopo la constatazione di una reiterata recidiva del dipendente;

i) va anche precisato che l’eventuale sussistenza di rapporti tesi tra il ricorrente e il B. (suo superiore gerarchico) è del tutto ininfluente ai fini della presente controversia, visto che è stata accertata la fondatezza degli addebiti e l’adeguatezza delle sanzioni disciplinari.

2.- Il ricorso di I.S. domanda la cassazione della sentenza per nove motivi; resiste, con controricorso, la AMIU GENOVA s.p.a. – Azienda Multi servizi e d’Igiene Urbana.

Le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

1 – Sintesi dei motivi di ricorso.

1.- Con il primo motivo si denunciano, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 e n. 5; a) omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; b) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., degli artt. 113, 115, 116 cod. proc. civ., della L. 20 maggio 1970, n. 300, artt. 7 e ss. e degli artt. 2104 e 2119 cod. civ..

Si sottolinea che sia le sanzioni conservative sia il licenziamento disciplinare sono stati comminati non in conseguenza della pretesa violazione di norme di legge e/o di doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro da parte dello I., ma per la asserita violazione di specifiche disposizioni impartite dal datore di lavoro per l’esecuzione e la disciplina del lavoro, indicate nel codice disciplinare. Conseguentemente, la mancata produzione in giudizio di tale codice e la mancata verifica, da parte del Giudice, della correttezza dell’uso del potere disciplinare da parte del datore di lavoro renderebbero nulle ed illegittime tutte le sanzioni compreso il licenziamento.

Infatti da tale mancata produzione – rispetto alla quale la pretesa prova testimoniale sulla relativa affissione non può considerarsi sanante, essendo del tutto priva di significato – si desume che la Corte territoriale ha violato le norme suindicate perchè non ha tenuto conto che il relativo onere incombeva sul datore di lavoro e inoltre non ha controllato la correttezza e congruità delle contestazioni e delle sanzioni irrogate, oltretutto a fronte della violazione di obblighi sconosciuti al lavoratore perchè contemplati nel codice disciplinare, avente contenuto diverso rispetto alla parte del contratto collettivo sulla disciplina (come riferito dai testi escussi).

1- Con il secondo motivo si denunciano, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 e n. 5; a) omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia;

b) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., degli artt. 113, 115, 116, 208, 209, 244 e 346 cod. proc. civ..

Si sostiene che la Corte genovese ha fondato il proprio convincimento su prove testimoniali -relative all’esistenza e alla avvenuta affissione del codice disciplinare presso l’impianto di Scarpino – che sono state assunte nel giudizio di appello, benchè la AMIU fosse decaduta dalla prova nel giudizio di primo grado e quindi illegittimamente.

Si precisa che la Corte d’appello, con ordinanza del 20 novembre 2009, ha confermato l’ordinanza ammissiva della prova sul capitolo n. 58 della memoria di costituzione in primo grado dell’AMIU ed ha fissato le udienze per il relativo espletamento. In questo modo la Corte territoriale ha violato le norme su richiamate perchè, in base alla giurisprudenza di legittimità, dopo la dichiarazione di chiusura dell’istruttoria (avvenuta nella specie con ordinanza del 6 ottobre 2008 del Tribunale, nel corso del giudizio di primo grado) le parti decadono dai mezzi istruttori non assunti, senza che sia necessaria un’espressa dichiarazione in tal senso (tanto più quando, come avviene nella specie, il capo della sentenza di primo grado sul punto non sia stato specificamente impugnato).

3.- Con il terzo motivo si denunciano, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 e n. 5,; a) omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia;

b) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 115, 116 e 244 cod. proc. civ..

Si sostiene che l’indicato capitolo di prova (riprodotto nel presente ricorso) illegittimamente ammesso era comunque inammissibile perchè generico e indeterminato e, quindi, non formulato secondo quanto richiesto dall’art. 244 cod. proc. civ..

4." Con il quarto motivo si denunciano, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 e n. 5; a) omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia;

b) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 101, 112, 115, 116 e 421 cod. proc. civ..

In subordine rispetto alle precedenti censure, si sottolinea che la Corte genovese ha anche effettuato una valutazione viziata delle contestazioni disciplinari, per molteplici ragioni (indicate nei motivi dal quarto all’ottavo).

In primo luogo, si sostiene che la Corte territoriale ha omesso di pronunciarsi sullo specifico motivo di appello dello I. riguardante la scorretta applicazione da parte del Tribunale dell’art. 421 cod. proc. civ. e dei principi in materia di onere della prova, con riferimento alla citazione e all’escussione del teste G.F.. L’audizione di tale teste – non indicato dall’AMIU – è stata disposta d’ufficio del Tribunale su elementi di prova non dedotti dal datore di lavoro e che sono serviti per dimostrare la legittimità del licenziamento e quindi per colmare un evidente difetto probatorio della società.

5.- Con il quinto motivo si denunciano, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 e n. 5; a) omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia;

b) violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7.

Il ricorrente sottolinea che in tutte le contestazioni che rispettivamente hanno comportato l’irrogazione delle sanzioni disciplinari del 23 febbraio 2007 (5 giorni di sospensione) e del 19 aprile 2007 (10 giorni di sospensione) nonchè del licenziamento per giusta causa (del 28 maggio 2007) la AMIU ha fatto testuale riferimento a: "la mancata effettuazione di controlli sui conferimenti di rifiuti", viceversa la Corte genovese ha ritenuto provata la sussistenza di violazioni disciplinari aventi ad oggetto la redazione di un numero insufficiente di report, da parte dello I., nella sua qualità di capo-squadra.

Ne consegue che non vi è coincidenza tra le condotte contestate e quanto la Corte afferma essere stato provato in giudizio, con conseguente violazione dell’art. 7 St. lav., che statuisce l’immutabilità delle contestazioni disciplinari 6.- Con il sesto motivo si denunciano, in relazione all’art. 360cod. proc. civ., n. 3 e n. 5; a) omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; b) violazione e/o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5 della L. n. 300 del 1970, artt. 7 e 18 nonchè dell’art. 1218 cod. civ..

Si rileva che, benchè fosse stato formulato un apposito motivo di appello sul punto, la Corte genovese non si è pronunciata sul fatto che – muovendo dalla premessa che lo I. non sia stato licenziato per non aver effettuato i controlli sui conferimenti dei rifiuti sul piano della discarica dell’impianto di Scarpino e non per non avere redatto un numero sufficiente di rapporti scritti sugli stessi – il licenziamento risulta essere configurato come dipendente dallo scarso rendimento del lavoratore e ciò comporta l’onere del datore di lavoro di provare la particolare gravità del suddetto inadempimento del dipendente, tale da determinare la totale perdita di interesse alla relativa prestazione.

1.- Con il settimo motivo si denunciano, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 e n. 5; a) omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia;

b) violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, nonchè degli artt. 115, 116 e 246 cod. proc. civ..

Si sottolinea che, in merito alla prima sanzione disciplinare del 3 novembre 2006 – relativa all’omessa annotazione sul giornale di discarica del passaggio delle consegne al capo-squadra del turno successivo – la Corte genovese ha basato la propria decisione esclusivamente sulla testimonianza del teste B.M. e non ha considerato la genericità della contestazione.

Quanto al teste B., si fa presente che la difesa dello I. ne ha sostenuto, fin dal giudizio di primo grado, l’incapacità a testimoniare, perchè tutte le domande risarcitorie per condotte vessatorie subite vedevano come protagonista proprio il B., legittimato quindi a partecipare al giudizio in qualità di parte.

Inoltre, è stata anche tempestivamente contestata l’attendibilità del suddetto teste, dati i rapporti tesi avuti con lo I..

Quanto alla genericità della contestazione si rileva che solo a seguito della testimonianza del B. è stato è stato specificato quali fossero le consegne che lo I. avrebbe omesso di trasmettere al capo-squadra del turno successivo (riguardanti la modifica del tracciato della pista), mentre nella lettera di contestazione non vi era alcuna indicazione puntuale sul punto, tale da consentire al destinatario il pieno esercizio del suo diritto di difesa, ai sensi dell’art. 7 St. lav..

8.- Con l’ottavo motivo si denunciano, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 e n. 5; a) omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; b) violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, degli artt. 115, 116 cod. proc. civ. nonchè dell’art. 2697 cod. civ..

Si sostiene che, per quel che riguarda l’ultima contestazione disciplinare (abbandono ingiustificato del piano di discarica del 23 gennaio 2007, ore 17, 15, con sanzione irrogata il 13 febbraio 2007), la Corte territoriale, valutando in modo incongruo le risultanze probatorie e violando le norme suindicate, ha tratto l’erroneo convincimento che l’addebito fosse fondato dalla circostanza che nel corso del processo non sarebbe stato provato dove si trovava lo I. dopo le ore 17,15 del giorno considerato (cioè se stava o meno lavorando nel suo ufficio).

Tuttavia, in base all’art. 7 St. lav. e ai principi generali in materia di onere della prova (che, rispettivamente, impongono al datore di lavoro di effettuare contestazioni precise e complete e di fornire la prova di quanto contestato) la rilevata mancanza di prova avrebbe dovuto portare all’annullamento della sanzione in oggetto, tanto più che mentre la contestazione si riferiva ad un abbandono del posto di lavoro alle ore 17,15 del giorno indicato, le prove testimoniali avevano consentito di accertare che quell’ora lo I. era al lavoro, anche se nel suo ufficio e non al piano di discarica.

9.- Con il nono motivo si denunciano, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3 e n. 5; a) omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; b) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 65 del c.c.n.l. per i dipendenti di aziende di servizi pubblici per l’igiene ambientale.

Da ultimo si fa presente che la Corte genovese ha del tutto ignorato due specifici motivi di appello riguardanti: 1) la tardività della contestazione dell’addebito del 12 ottobre 2006 (sanzione del 3 novembre 2006 di 5 giorni di sospensione), derivante dal fatto che essa si riferisce a condotte (mancato controllo sui conferimenti dei rifiuti) che avrebbero avuto inizio nel gennaio 2006; 2) mancanza dei presupposti per l’irrogazione del licenziamento (sia senza sia con preavviso), delineati dall’art. 65 del contratto collettivo suindicato, con conseguente illegittimità del licenziamento stesso.

3 – Esame delle censure.

10.- I motivi di ricorso non sono da accogliere per le ragioni di seguito esposte.

10.1.- Per quel che riguarda la generale impostazione del ricorso, va precisato che nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge, contenuto nell’intestazione di tutti i numerosi motivi, le censure si risolvono in realtà nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti.

Al riguardo va ricordato che la deduzione, con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicchè le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare uria lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486;

Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio 2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3. ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).

Infatti, la prospettazione da parte del ricorrente di un coordinamento dei dati acquisiti al processo asseritamente migliore o più appagante rispetto a quello adottato nella sentenza impugnata, riguarda aspetti del giudizio interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti che è proprio del giudice del merito, in base al principio del libero convincimento del giudice, sicchè la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394;

Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. 20 giugno 2006, n. 14267; Cass. 12 febbraio 2004, n. 2707; Cass. 13 luglio 2004, n. 12912; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965; Cass. 18 settembre 2009, n. 20112).

10.2- Tale tipo di difetto appare prevalente e assorbente con riferimento ai motivi dal quarto al nono, con i quali il ricorrente si duole della valutazione delle contestazioni disciplinari che hanno portato all’irrogazione delle sanzioni conservative, chiedendo il realtà a questa Corte di procedere ad una inammissibile ricostruzione dei fatti diversa rispetto a quella adottata nella sentenza impugnata e più appagante rispetto alle proprie aspettative, mentre nella specie le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal Giudice di appello, al suddetto riguardo, sono congruamente motivate e l’iter logico-argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione.

Sicchè esse risultano immuni dalle censure formulate nel ricorso, visto che la conclusione cui è pervenuta la Corte d’appello, di regolare contestazione degli addebiti e di adeguatezza e proporzionalità delle diverse sanzioni – conclusione che, peraltro, si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato, come accade nella specie – risulta essere il frutto di un’attenta valutazione da un lato della gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro della proporzionalità fra tali fatti e le diverse sanzioni inflitte, ponendosi l’attenzione, in particolare, sul fatto che tutte le condotte addebitate, pur parzialmente diverse, sono risultate essere il frutto di un ripetuto atteggiamento complessivamente poco rispettoso delle direttive date dai superiori e anche poco collaborativo, con negativi riflessi sull’attività svolta, in un crescendo che ha preparato il terreno anche alla finale intimazione del licenziamento, cui si è pervenuti con gradualità.

10.3.- Nè va omesso di considerare, per quel che riguarda in particolare i controlli .sui conferimenti dei rifiuti, che le osservazioni del ricorrente – basate sulla differenza tra controllo e report – appaiono del tutto ininfluenti ai fini del presente giudizio.

Infatti, l’AMIU esercita l’attività di smaltimento dei rifiuti, la quale è fortemente procedimentalizzata, in base a norme di legge, alcune delle quali di derivazione Eurounitaria, come il D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36 (di attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti).

Nell’ambito di tale disciplina, sono stabilite con precisione le caratteristiche proprie dei rifiuti che il gestore dell’impianto deve ammettere e non ammettere nella discarica.

In particolare, l’art. 11, comma 3, del suddetto D.Lgs. n. 36 del 2003, prevede che: "3. Ai fini dell’ammissione in discarica dei rifiuti il gestore dell’impianto deve:

a) controllare la documentazione relativa ai rifiuti, compreso, se previsto, il formulario di identificazione di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 15 e, se previsti, i documenti di cui al regolamento n. 259/93/CEE del 1 febbraio 1993, del Consiglio, relativo alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti all’interno della Comunità Europea;

b) verificare la conformità delle caratteristiche dei rifiuti indicate nel formulario di identificazione, di cui allegato B al D.M. 1 aprile 1998, n. 145 del Ministro dell’ambiente, ai criteri di ammissibilità previsti dal presente decreto;

c) effettuare l’ispezione visiva di ogni carico di rifiuti conferiti in discarica prima e dopo lo t scarico e verificare la conformità del rifiuto alle caratteristiche indicate nel formulario di identificazione di cui al citato D.M. n. 145 del 1998 del Ministro dell’ambiente;

d) annotare nel registro di carico e scarico dei rifiuti tutte le tipologie e le informazioni relative alle caratteristiche e ai quantitativi dei rifiuti depositati, con l’indicazione dell’origine e della data di consegna da parte del detentore, secondo le modalità previste dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 12, comma 1, lett. d), e comma 2. Nel caso di deposito di rifiuti pericolosi, il registro deve contenere apposita documentazione o mappatura atta ad individuare, con riferimento alla provenienza ed alla allocazione, il settore della discarica dove è smaltito il rifiuto pericoloso;

e) sottoscrivere le copie del formulario di identificazione dei rifiuti trasportati;

f) effettuare le verifiche analitiche della conformità del rifiuto conferito ai criteri di ammissibilità, come indicato all’art. 10, comma 1, lett. g), con cadenza stabilita dall’autorità territorialmente competente e, comunque, con frequenza non superiore ad un anno. I campioni prelevati devono essere opportunamente conservati presso l’impianto a disposizione dell’autorità territorialmente competente per un periodo non inferiore a due mesi;

g) comunicare alla regione ed alla provincia territorialmente competenti la eventuale mancata ammissione dei rifiuti in discarica, ferma l’applicazione delle disposizioni del citato regolamento n. 259/93/CEE riguardante le spedizioni transfrontaliere di rifiuti".

In questa situazione, ben si comprende che non vi sia in realtà, come ha sottolineato anche la Corte genovese, la prospettata differenza – ai fini della contestazione degli addebiti – tra "controlli effettuati" e "report" compilati, visto che questi ultimi servono a documentare l’avvenuta effettuazione di un certo numero – minimo – di controlli (tra i tanti che normalmente sono svolti solo visivamente nel corso della giornata lavorativa) e va aggiunto che tale documentazione è necessaria per dare prova della regolarità del servizio dell’azienda, come non può non sapere un dipendente dell’azienda stessa, avente oltretutto la qualifica di capo-reparto.

10.4.- Quanto al profilo di censura (prospettato nel nono motivo) relativo alla asserita sproporzione del licenziamento senza preavviso e alla non corrispondenza della condotta contestata allo I. a quelle per le quali la normativa collettiva prevede tale tipo di licenziamento, è sufficiente ricordare – in aggiunta a quanto si è detto sulla ricomprensione della relativa valutazione all’ambito di discrezionalità proprio del giudice del merito – che, in base a consolidati e condivisi indirizzi di questa Corte:

a) la previsione di ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta in un contratto collettivo non vincola il giudice – in quanto l’elencazione delle ipotesi di giusta causa contenuta nei contratti collettivi ha valenza esemplificativa e non già tassativa – pertanto il giudice deve sempre verificare, stante la inderogabilità della disciplina dei licenziamenti, se quella previsione sia conforme alla nozione di giusta causa, di cui all’art. 2119 cod. civ., e se, in ossequio al principio generale di ragionevolezza e di proporzionalità, il fatto addebitato sia di entità tale da legittimare il recesso, tenendo anche conto dell’elemento intenzionale che ha sorretto la condotta del lavoratore (vedi per tutte: Cass. 19 agosto 2004, n. 16260; Cass. 14 novembre 1997, n. 11314);

b) infatti, in linea generale, la giusta causa di licenziamento quale fatto "che non consente la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto", è una nozione che la legge – allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura, giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, invece l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli standard conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (giurisprudenza consolidata, vedi, da ultimo: Cass. 2 marzo 2011, n. 5095; Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 15 maggio 2004, n. 9299).

Nella specie, la Corte territoriale ha spiegato in modo coerente e logico le ragioni per le quali ha ritenuto che, dopo tante infrazioni disciplinari che non hanno portato il lavoratore a cambiare il proprio comportamento, il licenziamento in tronco sia da considerare una sanzione adeguata, essendosi ormai determinata una irreparabile lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro.

Tanto basta per respingere i motivi dal quarto al nono.

10.5.- Per quel che riguarda il primo motivo, va ricordato che, in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:

a) la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ., si configura soltanto nell’ipotesi che il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poichè in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 24 febbraio 2004, n. 3642; Cass. 14 febbraio 2001, n. 2155; Cass. 10 febbraio 2006, n. 2935);

b) poichè l’art. 116 cod. proc. civ. prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, la sua violazione e, quindi, la deduzione in sede di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4 è concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure che il legislatore prevede per una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi). La circostanza che il giudice, invece, abbia male esercitato il prudente apprezzamento della prova è censurabile solo ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965; Cass. 18 settembre 2009, n. 20112).

Nella specie è da escludere che si siano verificate le suddette evenienze e quindi il motivo -nei limiti in cui è ammissibile – risulta infondato, tanto più che i comportamenti reiteratamente posti essere dallo I. – come ha sottolineato dalla Corte genovese – sono da considerare gravi, soprattutto in considerazione del tipo di attività svolta dall’AMIU e della qualifica dello I., di cui si è già detto.

10.6.- In merito al secondo e al terzo motivo – da esaminare congiuntamente data la loro intima connessione va ricordato che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità:

a) la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (vedi, per tutte: Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412; Cass. 24 luglio 2007, n. 16346);

b) in relazione all’ammissibilità di nuove prove in appello, ex art. 345 cod. proc. civ., qualora la parte dimostri di non aver potuto proporre la prova in primo grado per causa non imputabile, potrà ottenerne l’ammissione a prescindere dal requisito dell’indispensabilità, mentre l’eventuale valutazione di indispensabilità della prova non potrà servire a superare la preclusione nella quale sia incorsa la parte in primo grado in quanto il potere del Collegio di ammettere nuove prove in appello non può essere esercitato per sanare preclusioni e decadenze già verificatesi nel giudizio di primo grado (Cass. 1 giugno 2004, n. 10487);

c) la censura contenuta nel ricorso per cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale (o, reciprocamente alla irregolare ammissione della prova testimoniale avversaria) è inammissibile se il ricorrente, oltre a trascrivere i capitoli di prova e ad indicare i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare – elementi necessari a valutare la decisività del mezzo istruttorio richiesto – non alleghi e indichi la prova della tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione (o reciprocamente della relativa istanza di non ammissione) e la fase di merito a cui si riferisce, al fine di consentire ex actis alla Corte di cassazione di verificare la veridicità dell’asserzione (arg. ex Cass. 23 aprile 2010, n. 9748;

Cass. 31 gennaio 2007, n. 2201);

d) l’integrazione ex officio della prova testimoniale ai sensi dell’art 257 cod. proc. civ., comma 1 – norma applicabile anche nel rito del lavoro – costituisce una facoltà discrezionale che il giudice può esercitare quando ritenga che dall’escussione di altre persone, non indicate dalle parti ma presumibilmente a conoscenza dei fatti, possa trarre elementi per la formazione del proprio convincimento. Ne consegue che la chiamata dei testimoni, nel caso che ad essi altri testi si siano riferiti per la conoscenza dei fatti, costituendo esercizio di una facoltà siffatta, che presuppone un apprezzamento di merito delle risultanze istruttorie, è incensurabile in sede di legittimità, anche sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. 4 maggio 2009, n. 10239; Cass. 1 agosto 2000, n. 10077);

e) il giudizio sulla idoneità della specificazione dei fatti dedotti nei capitoli di prova – che va comunque condotto non solo alla stregua della letterale formulazione dei capitoli medesimi, ma anche ponendo il loro contenuto in relazione agli altri atti di causa ed alle deduzioni dei contendenti – costituisce apprezzamento di merito non suscettibile di sindacato in sede di giudizio di cassazione se correttamente motivate (Cass. 31 gennaio 2007, n. 2201).

Dai suddetti principi si desume che:

1) la censura relativa all’asseritamente irregolare espletamento nel giudizio di appello della prova testimoniale non espletata in primo grado – sebbene ammessa – sull’affissione del codice disciplinare (prova che, peraltro, non sembra avere nell’ambito della decisione il ruolo "fondante" che le attribuisce il ricorrente) risulta generica e, quindi inammissibile, perchè formulata senza l’allegazione e l’indicazione della prova della tempestività e ritualità della relativa istanza di non ammissione e della fase di merito in cui è stata formulata, al fine di consentire ex actis a questa Corte di verificare la veridicità dell’asserzione e anche che, in appello, la AMIU non abbia dimostrato di non aver potuto espletare la prova in primo grado per causa a sè non imputabile;

2) l’integrazione ex officio della prova testimoniale (con riguardo a G.) ai sensi dell’art. 257 cod. proc. civ., comma 1, – norma applicabile anche nel rito del lavoro – costituisce una facoltà discrezionale, non censurabile in sede di legittimità;

3) non sono censurabili in questa sede, perchè correttamente motivate, sia la scelta di ammettere il capitolo di prova relativo all’esistenza e all’avvenuta affissione del codice disciplinare sia quella di sentire come teste B.M., del pari ampiamente e logicamente giustificata.

4 – Conclusioni.

11.- Per le suesposte considerazioni il ricorso deve essere respinto.

Le spese – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 30,00 (trenta/00) per esborsi, Euro 2000,00 (duemila/00) per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 24 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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