Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-06-2012, n. 10336 Licenziamento per giustificato motivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- La sentenza attualmente impugnata conferma la sentenza del Tribunale di Palermo n. 3156/08 del 25 settembre 2008, che in accoglimento parziale delle domande proposte da V.M.:

1) ha riconosciuto al ricorrente (inquadrato come operaio comune nel 6^ livello del c.c.n.l. del settore commercio) il diritto ad essere inquadrato, in base alle mansioni di fatto svolte, nel 5^ livello contrattuale a decorrere dal 20 marzo 2001 (con le corrispondenti differenze retributive); 2) ha respinto le domande dirette ad ottenere, rispettivamente, l’inquadramento nel 4^ livello contrattuale, come magazziniere, con le correlative differenze retributive nonchè l’accertamento della illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, intimatogli il 6 ottobre 2004 dalla datrice di lavoro EMODIALISI di Palermo s.r.l., con le conseguenti statuizioni.

La Corte d’appello di Palermo, per quel che qui interessa, precisa che:

a) la statuizione della sentenza di primo grado con la quale è stato riconosciuto al V. soltanto il diritto all’inquadramento nel 5^ livello e non quello rivendicato nel 4^ livello, come magazziniere, è corretta e va confermata;

b) dalla lettura delle declaratorie contrattuali emerge con chiarezza che la differenza tra i due suddetti livelli è rappresentata dal grado delle conoscenze tecniche e delle capacità tecnico-pratiche rispettivamente richiesto per l’esecuzione dei relativi compiti: nel 4^ livello tali conoscenze e capacità devono essere "specifiche e particolari", mentre per il 5^ livello è sufficiente che siano "normali ed adeguate";

c) ciò vale anche per la qualifica di "magazziniere" (di cui al n. 11 dell’elenco dei profili del IV livello), che anche nel linguaggio aziendale identifica l’addetto alla custodia, vigilanza o gestione di un magazzino;

d) dall’istruttoria processuale non è emerso che i compiti svolti dal V. possano farsi rientrare in quelli propri del "magazziniere", in particolare è stato accertato che al ricorrente non possa essere riconosciuto il diritto all’inquadramento nel 4^ livello, in considerazione del grado delle cognizioni e capacità tecnico-pratiche e del grado di responsabilità assunto nello svolgimento dei propri compiti;

e) deve essere confermata anche la decisione del primo giudice di respingere l’impugnativa del licenziamento;

1) va, infatti, osservato che, nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, al giudice spetta soltanto il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore, la cui libertà di iniziativa economica deve essere rispettata, ai sensi dell’art. 41 Cost.;

g) nella specie, la documentazione prodotta dalla società, consente di affermare che sono reali le ragioni economiche che hanno determinato la razionalizzazione dell’organizzazione aziendale al fine di ridurre i costi del personale;

h) tanto basta per ritenere il recesso datoriale legittimo, senza che assuma alcun rilievo la circostanza che i compiti svolti dal V., dopo la soppressione del posto dallo stesso occupato, siano stati ripartiti tra lavoratori di livello inferiore rispetto all’assetto precedente.

2.- Il ricorso di V.M. domanda la cassazione della sentenza per sette motivi; resiste, con controricorso, la EMODIALISI di Palermo s.r.l..

Le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

1 – Sintesi dei motivi di ricorso.

1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, nullità della sentenza per violazione dell’art. 3, Parte 2, Titolo 1, del c.c.n.l. di terziario e commercio, siglato il 22 settembre 1999, con riferimento all’interpretazione delle declaratorie contrattuali relative ai livelli 4^ e 5^.

2.- Con il secondo e il terzo motivo si denuncia in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, nullità della sentenza per violazione dell’art. 3, Parte 2, Titolo 1, del c.c.n.l. di terziario e commercio, siglato il 22 settembre 1999, con riferimento all’interpretazione ed individuazione delle mansioni riconducibili alla figura professionale del "magazziniere" (4^ livello).

Si contesta l’interpretazione adottata dalla Corte territoriale della normativa contrattuale ove sono descritti i requisiti per la appartenenza, rispettivamente, al 4^ e al 5^ livello e si sostiene che si tratta di una interpretazione scorretta e non corrispondente al dato letterale.

Si sostiene, inoltre, che la Corte d’appello ha errato nella valutazione delle mansioni svolte di fatto dal V., giungendo all’illogica conclusione che fosse corretto il suo inquadramento nel 5^ livello, il che sarebbe dimostrato con chiarezza dal riferimento fatto alle mansioni di tenuta di registri e bollettari numerati, come mansioni "ordinariamente" tipiche della figura del magazziniere.

3.- Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, nullità della sentenza per illogica, insufficiente e omessa motivazione circa un fatto controverso del giudizio.

Si sostiene l’illogicità dell’argomentazione secondo cui al V. non può essere attribuita la qualifica di magazziniere solo perchè le chiavi del locale adibito a magazzino erano a disposizione anche di altri dipendenti che, fuori dall’orario di lavoro del ricorrente, prelevavano direttamente i prodotti dal magazzino, circostanza che invece è del tutto ininfluente, tanto più in considerazione del tipo di attività svolta dal Centro Emodialisi.

Del pari illogica sarebbe l’affermazione secondo cui il locale dove prestava servizio il V. non potrebbe neppure essere qualificato come "magazzino", perchè alcune parti del locale erano adibite ad usi diversi.

Si fa rilevare che l’art. 2 del decreto dell’Assessore regionale alla Sanità del 2004 include tra i requisiti strutturali obbligatori dei centri per la dialisi extracorporea il possesso di "un locale per il deposito del materiale d’uso, attrezzature, strumentazioni, adeguate al numero dei posti rene".

Ne consegue che il locale dove lavorava il ricorrente non può non essere qualificato come "magazzino", senza che assuma rilievo i contrario la circostanza che, data l’ampiezza del locale, la società ha utilizzato la superficie non occupata dal magazzino per collocarvi altri servizi.

4.- Con il quinto e il sesto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, nullità della sentenza per omessa valutazione delle risultanze istruttorie (riportate nel presente ricorso).

Si sostiene che la Corte d’appello sia incorsa in una grave omissione della valutazione delle risultanze della prova testimoniale, senza motivare in modo esaustivo le ragioni del proprio convincimento, ma facendo generico richiamo a presunte "incongruenze nelle dichiarazioni dei testi", in realtà inesistenti visto che tutti i testi sentiti nel giudizio di primo grado(le cui deposizioni non sono state valutate dalla Corte palermitana) hanno concordemente confermato che il V. svolgeva mansioni di magazziniere, descrivendone l’attività.

5.- Con il settimo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, nullità della sentenza per violazione dell’art. 2119 cod. civ. e omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Si contesta il rigetto dell’impugnativa del licenziamento.

Si sostiene che la Corte palermitana, pur muovendo da un’esatta ricostruzione del quadro giurisprudenziale di riferimento, non ha però rispettato i principi richiamati in quanto ha omesso di valutare l’effettiva sussistenza e veridicità dei motivi addotti dalla società a sostegno del licenziamento.

In particolare, si rileva che la datrice di lavoro, nel corso del giudizio, ha sostenuto di avere assunto il V., in ottemperanza del decreto dell’Assessorato regionale alla Sanità del 19 novembre 1997, che per le strutture specialistiche ambulatoriali private erogatrici di prestazioni di dialisi stabiliva che "fino a 12 posti rene occorre la presenza di n. 2 unità di personale ausiliario socio- sanitario, durante lo svolgimento di ciascun turno di attività dialitica". La società, oltre ad avere dedotto la crisi economica dell’azienda, ha anche richiamato il decreto dell’Assessorato regionale alla Sanità del 9 agosto 2004, il quale, nel modificare i requisiti minimi strutturali per le strutture specialistiche ambulatoriali erogatrici di prestazioni dialitiche, ha ridotto il numero degli ausiliari per ogni dodici paziente ad una sola unità.

Ad avviso della società, infatti, essendo stato il ricorrente assunto in un periodo in cui era obbligatorio avere due ausiliari ogni per ogni dozzina di pazienti e avendo il ricorrente svolto in prevalenza mansioni di pulizia, sarebbe stato necessario licenziarlo a causa del calo del fatturato, tanto più che, nel frattempo, la normativa di settore aveva ridotto il numero degli ausiliari necessari per i centri di dialisi.

A fronte di tale situazione, la Corte d’appello avrebbe dovuto verificare la sussistenza, al momento del recesso, di tutti i suindicati elementi e non limitarsi, come ha fatto, a constatare la veridicità del generico motivo rappresentato dalla contrazione dei ricavi e dalla necessità di contenere i costi del personale.

Tale considerazione, ad avviso del ricorrente, rende evidente il collegamento logico-funzionale tra l’accertamento delle mansioni di fatto svolte e la valutazione del licenziamento impugnato, mentre la Corte d’appello ha esaminato tale ultimo aspetto della controversia senza porlo in collegamento con l’altro.

Se la Corte territoriale avesse effettuato il suddetto collegamento, non avrebbe potuto ignorare che il V. non ha svolto mansioni da ausiliario/inserviente, ma ha svolto mansioni di un livello superiore (di magazziniere o anche di 5^ livello), conseguentemente per sopprimerne il posto non si poteva fare riferimento alle disposizioni dei decreti assessoriali richiamate dalla società datrice di lavoro e quindi il licenziamento non può non essere considerato palesemente illegittimo, perchè non supportato da un giustificato motivo oggettivo.

2 – Esame delle censure.

6.- I motivi del ricorso non sono da accogliere, per le ragioni di seguito precisate.

6.1.- I primi tre motivi – come rilevato anche dalla controricorrente – devono considerarsi improcedibili.

Con essi, infatti, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3, si denuncia – ipotizzando impropriamente una "nullità della sentenza – la violazione dell’art. 3, Parte 2, Titolo 1, del c.c.n.l. di terziario e commercio, siglato il 22 settembre 1999, con riferimento all’interpretazione delle declaratorie contrattuali relative ai livelli 4^ e 5^, ma la relativa formulazione – a parte la suindicata improprietà – non è conforme al consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, in quanto in base all’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, il ricorrente (principale od incidentale) che prospetta un vizio di violazione e/o falsa applicazione di norme contenute in contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro di diritto privato ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, (nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2) deve, a pena di improcedibilità del ricorso, depositare i suindicati contratti od accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda e il deposito suddetto deve avere ad oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l’integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofìlattica assegnata alla Corte di cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale (vedi, per tutte: Cass. SU 23 settembre 2010, n. 20075;

Cass. 15 ottobre 2010, n. 21358; Cass. 19 ottobre 2011, n. 21621).

Nella specie, invece, il ricorrente si è limitato a riprodurre nel corpo del ricorso alcuni stralci del richiamato art. 3, senza provvedere al suindicato prescritto deposito, 6.2.- I motivi dal quarto al sesto – da esaminare congiuntamente, data la loro intrinseca connessione – non sono da accogliere.

Va precisato, infatti, che – a parte il richiamo alla ipotizzata "nullità della sentenza", che peraltro compare in tutti i motivi e che risulta improprio, nella forma e nella sostanza (vedi, sul punto:

Cass. 17 gennaio 2003, n. 604; Cass. 21 febbraio 2006, n. 3672; Cass. 11 febbraio 2009, n. 3357; Cass. SU 18 gennaio 2001, n. 15982) – le censure formulate nei motivi dal quarto al sesto si risolvono in realtà nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti.

Al riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicchè le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486;

Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio 2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).

Infatti, la prospettazione da parte del ricorrente di un coordinamento dei dati acquisiti al processo asseritamente migliore o più appagante rispetto a quello adottato nella sentenza impugnata, riguarda aspetti del giudizio interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti che è proprio del giudice del merito, in base al principio del libero convincimento del giudice, sicchè la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394;

Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. 20 giugno 2006, n. 14267; Cass. 12 febbraio 2004, n. 2707; Cass. 13 luglio 2004, n. 12912; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965; Cass. 18 settembre 2009, n. 20112).

Nella specie le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal Giudice di appello sono congruamente motivate e, l’iter logico argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione.

Dalla sentenza impugnata risulta, in particolare, che la Corte palermitana è pervenuta alla conclusione del riconoscimento al V. del diritto ad essere inquadrato nel 5^ livello (anzichè nel 4^ preteso) – conclusione che, peraltro, si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato, come accade nella specie attenendosi al consolidato e condiviso orientamento di questa Corte secondo cui "nel procedimento logico- giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato non si può prescindere da tre fasi successive, e cioè, dall’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dalla individuazione delle qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda" (vedi per tutte, da ultimo: Cass. 27 settembre 2010, n. 20272).

Nè va omesso di ricordare che è jus receptum che ai fini dell’adeguata motivazione della sentenza, secondo le indicazioni desumibili dal combinato disposto dall’art. 132, comma 2, n. 4, artt. 115 e 116 cod. proc. civ., è necessario che il raggiunto convincimento del giudice risulti da un esame logico e coerente di quelle che, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo, mentre non si deve dar conto dell’esito dell’esame di tutte le prove prospettate o comunque acquisite (Cass. 4 marzo 2011, n. 5241; Cass. 27 luglio 2006, n. 17145).

A fronte di questa situazione, le doglianze mosse dal ricorrente si risolvono sostanzialmente nella prospettazione di un diverso apprezzamento delle stesse prove e delle stesse circostanze di fatto già valutate dal Giudice di merito in senso contrario alle aspettative della medesima ricorrente e si traducono nella richiesta di una nuova valutazione del materiale probatorio, del tutto inammissibile in sede di legittimità.

6.3.- Il settimo motivo è inammissibile per genericità.

In esso, infatti, il ricorrente, nel contestare la statuizione di rigetto dell’impugnativa dell’irrogato licenziamento per giustificato motivo oggettivo, si limita a sostenere che la Corte territoriale avrebbe omesso di verificare la sussistenza, al momento del recesso del V., di tutti gli elementi addotti dalla società a sostegno del licenziamento stesso e che avrebbe soltanto constatato la veridicità della contrazione dei ricavi della società e della necessità di contenere i costi del personale, ma non dimostra di avere ritualmente lamentato la mancanza di prova, da parte della datrice di lavoro, della necessità di procedere alla soppressione proprio del posto occupato dal V. e dell’impossibilità di effettuare utilmente il repechage del lavoratore licenziato, anche attraverso l’adibizione a mansioni diverse.

Va precisato, infatti, che gli elementi che il ricorrente ha omesso di indicare – e di cui si è detto sopra – sono fondamentali per la valutazione della legittimità, in questa sede, del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Invero, costituisce "diritto vivente" il principio secondo cui il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, L. 15 luglio 1996, n. 604, ex art. 3 è determinato non da un generico ridimensionamento dell’attività imprenditoriale, ma dalla necessità di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore, soppressione che non può essere meramente strumentale ad un incremento di profitto, ma deve essere diretta a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti; il lavoratore ha quindi il diritto che il datore di lavoro (su cui incombe il relativo onere) dimostri la concreta riferibilità del licenziamento individuale ad iniziative collegate ad effettive ragioni di carattere produttivo-organizzativo, e non ad un mero incremento di profitti, e che dimostri, inoltre, l’impossibilità di utilizzare il lavoratore stesso in altre mansioni equivalenti a quelle esercitate prima della ristrutturazione aziendale (vedi per tutte: Cass. 26 settembre 2011, n. 19616; Cass. 2 ottobre 2006, n. 21282).

D’altra parte – poichè il ricorso per cassazione non introduce una terza istanza di giudizio con la quale si può far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata ma invece si configura come un rimedio impugnatorio a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti – in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:

a) non solo il singolo motivo assume una funzione identificativa condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative di censura formalizzate con una limitata elasticità dal legislatore (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202);

b) il che comporta che, in ogni motivo deve essere indicato, in maniera precisa e completa, in che cosa consista la ipotizzata violazione di legge o il rilevato vizio di motivazione che sarebbero alla base dell’erroneità della decisione assunta nella sentenza impugnata, senza limitarsi ad una affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione, ma invece precisando in modo analitico le considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 6 luglio 2007, n. 15263), anche illustrando – in modo adeguato (Cass. SU 16 aprile 2012, n. 5941; Cass. 8 febbraio 2011, n. 3142) – eventuali profili di conformità o meno della decisione presa con riguardo alle questioni di diritto esaminate rispetto alla giurisprudenza di legittimità, secondo quanto prescritto dall’art. 360 bis cod. proc. civ., n. 1, (ove applicabile ratione temporis, come accade nella specie);

c) ma è anche necessario, a pena di inammissibilità, che, dalla formulazione del motivo, risulti la specifica attinenza delle censure con esso prospettate a questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili d’ufficio (Cass. 24 maggio 2003, n. 8247; Cass. 20 luglio 2004, n. 13443; Cass. 28 luglio 2000, n. 9936; Cass. 9 aprile 2003, n. 5582).

Ne consegue che il motivo in esame per come è formulato, si pone in contrasto con i suddetti principi in quanto non solo, nella relativa illustrazione, il ricorrente ha omesso di fare riferimento agli indicati elementi – che sono fondamentali per la valutazione della legittimità, in questa sede, del licenziamento per giustificato motivo oggettivo ma neppure ha adeguatamente precisato quali siano state le questioni ritualmente sottoposte all’attenzione della Corte palermitana con la censura relativa al rigetto dell’impugnazione del licenziamento, di cui si assume una superficialità di valutazione, facendo riferimento ad elementi che – pur consentendo di inquadrare in modo più approfondito la situazione economica dell’azienda datrice di lavoro – non sono idonei a giustificare la cassazione della sentenza sul punto.

Va, infatti, considerato che anche l’applicazione dell’orientamento consolidato e condiviso di questa Corte secondo cui in tema di licenziamento, sebbene il giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive sia rimesso alla valutazione del datore di lavoro, come espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost, esso deve essere pur sempre contemperato con il rispetto della dignità umana, trattandosi di diritto fondamentale della persona – richiamato dalla stessa norma costituzionale nonchè dalla legislazione del lavoro anche in relazione al diritto alla conservazione del posto di lavoro sul quale si fondano sia l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori che sia l’art. 30 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, entrato in vigore dal 1 gennaio 2009 (Cass. 27 ottobre 2010, n. 21967; Cass. 14 ottobre 2011, n. 21279), presuppone pur sempre che, nel dibattito processuale nelle fasi di merito, sia emerso che il datore di lavoro non abbia adeguatamente dimostrato sia la sussistenza di un nesso individualizzante tra le effettive ragioni di carattere economico- produttivo poste a base del recesso e la scelta di sopprimere proprio il posto occupato dal lavoratore licenziato sia l’impossibilità del repechage, di cui si è detto.

3 – Conclusioni.

7 – Per le suesposte considerazioni, il ricorso deve essere respinto.

Le spese – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 30,00 (trenta/00) per esborsi, Euro 2000,00 (duemila/00) per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 24 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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