Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 29-11-2011) 02-12-2011, n. 44893

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 7.10.2010, il GIP. del Tribunale di Verona, fra l’altro, applicò a C.S.D. la pena di anni 2 di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa, pena sospesa.

Avverso tale sentenza ricorrono l’imputato ed il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Venezia.

L’imputato deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata disamina di cause di non punibilità ai sensi dell’art. 129 c.p.p..

Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Venezia deduce violazione di legge in quanto la sospensione condizionale della pena sarebbe stata concessa benchè la pena superasse i limiti di cui all’art. 163 c.p..

Motivi della decisione

Il ricorso dell’imputato per un verso è generico, non essendo indicate le specifiche ragioni per le quali avrebbe dovuto essere pronunziata sentenza di assoluzione, per altro verso è manifestamente infondato.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’obbligo della motivazione, imposto al giudice dall’art. 111 Cost. e dall’art. 125 c.p.p., comma 3, per tutte le sentenze, opera anche rispetto a quelle di applicazione della pena su richiesta delle parti. Tuttavia, in tal caso, esso non può non essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento, rispetto alla quale, pur non potendo ridursi il compito del giudice a una funzione di semplice presa d’atto del patto concluso tra le parti, lo sviluppo delle linee argomentative della decisione è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ne consegue che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’art. 129 c.p.p. deve essere accompagnato da una specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell’enunciazione – anche implicita – che è stata compiuta la verifica richiesta dalle leggi e che non ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento a norma del citato art. 129 c.p.p. (Cass. Sez. 1A sent. n. 752 del 27.1.1999 dep. 22.3.1999 rv 212742).

Ancora: In tema di patteggiamento, la motivazione della sentenza in relazione alla mancanza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 129 c.p.p. può anche essere meramente enunciativa. Invero, poichè la richiesta di applicazione della pena deve essere considerata quantomeno come ammissione del fatto (quando non la si voglia addirittura ritenere ammissione di responsabilità o implicito riconoscimento di colpevolezza), il giudice deve pronunciare sentenza di proscioglimento solo se manchi un quadro probatorio idoneo a definire il fatto come reato o se dagli atti già risultino elementi tali da imporre di superare la presunzione di colpevolezza che il legislatore ricollega proprio alla formulazione della richiesta di applicazione della pena. (Cass. Sez. 5A sent. n. 4117 del 20.9.1999 dep. 29.9.1999 rv 214478).

In ogni caso la sentenza del giudice di merito che applichi la pena su richiesta delle parti, escludendo che ricorra una delle ipotesi di proscioglimento di cui all’art. 129 c.p.p., può essere oggetto di controllo di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, soltanto se dal testo della sentenza impugnata appaia evidente la sussistenza delle cause di non punibilità di cui all’art. 129 c.p.p.. (Cass. Sez. 3A sent. n. 2309 del 18.6.1999 dep. 9.10.1999 rv 215071).

Nel caso in esame il giudice ha motivato l’insussistenza delle ipotesi di cui all’art. 129 c.p.p., richiamando il verbale di fermo.

Il ricorso deve essere perciò dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di Euro 1500,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Il ricorso proposto dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Venezia è fondato.

La pena inflitta è quella di anni 2 di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa, sicchè supera i limiti di cui all’art. 163 c.p..

Il primo giudice avrebbe potuto sospendere condizionalmente la sola pena detentiva atteso che, dopo le modifiche introdotte all’art. 163 c.p., comma 1, ad opera della L. n. 145 del 2004, il giudice può disporre la sospensione della sola pena detentiva, se di per sè non eccedente il limite suddetto, ordinando invece l’esecuzione di quella pecuniaria. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4853 del 15.1.2010 dep. 4.2.2010 rv 246278).

Infatti non consta che l’imputato abbia subordinato la richiesta di applicazione di pena alla sospensione condizionale della pena pecuniaria.

Pertanto la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla sospensione condizionale della pena pecuniaria di cui deve essere ordinata l’esecuzione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso dell’imputato e condanna il ricorrente C.S.D. al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1500,00 alla cassa delle ammende.

In accoglimento del ricorso del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Venezia, annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla sospensione condizionale della pena pecuniaria, di cui ordina l’esecuzione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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