Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-06-2012, n. 10332 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava che tra M.S. e la RAI Radiotelevisione Italiana S.p.A. era sussistito un rapporto di lavoro subordinato con decorrenza dal 4 febbraio 1997 sino al decesso del detto M. con diritto dello stesso all’inquadramento quale redattore ordinario e condannava la società RAI al pagamento delle differenze retributive sino al 30 giugno 2000, nonchè, a titolo risarcitorio, di una somma pari alle retribuzione globale di fatto che sarebbe maturata in favore del M. nel periodo dal 30 giugno 2000 sino al 30 giugno 2003 sempre con riferimento alla qualifica di redattore ordinario ed in base alle previsioni del CCNLG, oltre accessori di legge.

La Corte del merito, per quello che interessa in questa sede, poneva a base del decisum, innanzitutto, il rilievo che, diversamente da quanto previsto nel contratto di lavoro autonomo del 1 dicembre 1997, nel periodo 4 dicembre 1997/28 febbraio 1998 le prestazioni lavorative del M. furono rese in regime di subordinazione e non di autonomia. Tanto secondo la Corte del merito, era desumibile dalle dichiarazioni rese dai testi F. e Fi. da cui era evincibile che il M. aveva lavorato esclusivamente per la trasmissione "(OMISSIS)" condotta dalla F., quotidianamente e partecipando alla preventiva programmazione del contenuto di ciascuna puntata e, soprattutto, realizzando i servizi che la F. gli affidava con la verifica e sotto il controllo della F. stessa con modalità, in tutto e per tutto, sovrapponibili a quelle inerenti il successivo periodo lavorativo, reso dopo la stipulazione del contratto di lavoro subordinato del 30 marzo 1998, come non smentito dal teste B..

Infatti, precisava, la Corte territoriale, il complessivo esame delle risultanze istruttorie portava ad affermare, in difformità al contenuto della scrittura privata, che il rapporto di lavoro si era risolto nella mera messa a disposizione di energie lavorative di natura intellettuale per il conseguimento del fine d’impresa della RAI con assoggettamento ai poteri direttivi e di controllo di un superiore gerarchico e con pieno inserimento nell’organizzazione aziendale. Ciò anche in considerazione, sottolineava la Corte di Appello, della natura oggettivamente giornalistica delle prestazioni lavorative svolte consistite, come attestato dai testi, nella prestazione da parte del M. – giornalista professionista di lungo corso- di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, alla personale ed originale elaborazione od al commento di un fatto destinato a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso organi d’informazione non riconducibile alle mansioni proprie di programmista regista cui i contratti di lavoro a tempo determinato facevano riferimento.

Pertanto, a parere della Corte del merito, conseguiva che sin dal 4 dicembre 1997 si era instaurato tra le parti un contratto di lavoro subordinato di natura giornalistica a tempo indeterminato con conseguente illegittimità dei successivi tre contratti a tempo determinato in quanto stipulati in costanza del precedente rapporto a tempo indeterminato.

La Corte capitolina, inoltre, indicava quali ulteriori autonomi profili d’illegittimità dei predetti contratti a termine: la difformità tra le prestazioni di programmista regista dedotte ad oggetto dei medesimi e quelle giornalistiche effettivamente rese;lo svolgimento dell’attività lavorativa solo per la trasmissione (OMISSIS) e non anche, come previsto dal primo contratto a termine, anche per la trasmissione (OMISSIS); il difetto del requisito della specificità – intesta quale temporaneità dello spettacolo e vincolo di diretta necessità dell’apporto lavorativo sussistente allorchè esso si caratterizzi per un peculiare contributo di professionalità tale da non potere essere fornito dai dipendenti assunti in pianta stabile- avendo il M. continuativamente lavorato per soddisfare una necessità assolutamente ricorrente, stabile ed ordinaria della RAI di un normale apporto professionale.

Conseguentemente riteneva la Corte del merito di dover affermare la sussistenza di un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato – già ab origine determinatosi in ragione della accertata natura subordinata del primo rapporto e comunque da ritenersi tale anche considerando l’insieme dei rapporti (stante la brevità degli intervalli di tempo intercorsi tra l’uno e l’altro e l’elevato numero degli stessi nel periodo interessato con esclusione, stanzialmente, soltanto dei periodi feriali estivi) – e sino al decesso del ricorrente.

Competevano, pertanto, secondo la Corte territoriale, per tutto il periodo in cui il rapporto aveva avuto svolgimento, compreso i tre brevi intervalli non lavorati ma rientranti nella rilevata unificazione del rapporto, le differenze retributive derivanti dall’inquadramento quale redattore ordinario ex art. 11 CCNLG, oltre al risarcimento del danno per il periodo successivo nella misura determinata equitativamente tenendo conto del periodo presumibile fino al ripristino della precedente condizione reddituale e cioè per i tre anni successivi alla scadenza del contratto e dalla decorrenza della messa in mora.

Avverso questa sentenza la società Rai ricorre in cassazione sulla base di sedici censure, precisate da memoria.

Resiste con controricorso M.M.A., unica erede di M. S. la quale deposita, altresì, memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la società, deducendo violazione degli artt. 2094 e 2222 c.c. anche in relazione all’art. 2697 c.c., pone il seguente quesito di diritto: "Dica la Suprema Corte, con riferimento ad una fattispecie nella quale si controverta della natura subordinata o autonoma di un rapporto di lavoro,se violi o applichi falsamente al caso di specie la disposizione dell’art. 2094 c.c., anche in relazione all’art. 2222 c.c. ed all’art. 2697 c.c., la sentenza di merito che ritenga subordinato il rapporto di lavoro attribuendo rilievo ai cd. indici sussidiari della subordinazione, in particolare al dato dell’inserimento del prestatore nell’organizzazione aziendale, senza considerare affatto la scelta delle parti, risultante da una clausola del documento contrattuale, nel senso di costituire tra di esse un rapporto di lavoro autonomo".

Con la seconda censura la Rai denuncia vizio di motivazione in riferimento ai presupposti del cd. vincolo della subordinazione con specifico riferimento alla rilevanza della volontà delle parti in sede di costituzione del rapporto di lavoro.

Con la terza critica la Rai, allegando violazione della L. n. 69 del 1963 anche in relazione all’art. 2575 c.c. ed alla L. n. 633 del 1941, art. 1 nonchè dei principi enunciati dalla Cassazione in tema di qualificazione dell’attività giornalistica, pone il seguente quesito di diritto: "Dica la Suprema Corte, con riferimento ad un’ipotesi di lavoratore che rivendichi la qualifica giornalistica, se violi o applichi falsamente al caso di specie la disciplina della L. n. 69 del 1963 anche in relazione alla L. n. 633 del 1941, art. 1 ed all’art. 2575 c.c., la sentenza che ometta di considerare, quale profilo decisivo ai fini del riconoscimento della qualifica giornalistica, la sussistenza, o meno, del potere del lavoratore, del cui inquadramento si controverta, di firmare il pezzo, respingendo eventuali modifiche apportate da altri".

Con il quarto motivo la Rai prospetta carenza o contraddittrietà della motivazione in ordine all’esistenza in capo al M. del potere, caratteristico della prestazione lavorativa del giornalista di firmare il pezzo, respingendo eventuali modifiche altrui.

Con la quinta censura la Rai denuncia carenza o contraddittrietà della motivazione in punto di corrispondenza delle mansioni espletate dal M. a quelle previste dalla contrattazione collettiva Rai per la qualifica di programmista regista.

Con la sesta critica la società ricorrente, assumendo violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, anche in relazione alla L. n. 230 del 1962, pone il seguente quesito di diritto: "Dica la Suprema Corte, con riferimento ad un accordo collettivo stipulato L. n. 56 del 1987, ex art. 23, che consenta l’apposizione del termine alla durata del contratto anche nelle seguenti ipotesi di assunzioni del personale con qualsiasi qualifica per un programma od una pluralità di specifici programmi quando l’impiego per ciascun programma non esaurisce la prestazione giornaliera e/o settimanale se la circostanza dell’assegnazione del lavoratore ad un solo programma, tra quelli contemplati, determini la nullità del termine apposto al contratto".

Con la settima censura la Rai deduce carenza o contraddittorietà della motivazione in ordine all’assegnazione del M. ad uno solo dei programmi contemplati nella lettera contratto del 30 marzo 1998.

Con l’ottavo motivo la Rai sostenendo violazione della L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. E) anche in relazione all’art. 2697 c.c., formula il seguente quesito di iritto: "Dica la Suprema Corte se la L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2 lett. E) e, in particolare, il requisito di specificità del programma o spettacolo, da esso posto, debbano, o meno, essere interpretati nel senso che il datore di lavoro sia tenuto a provare, al fine di dimostrare la validità del termine apposto al contratto,la sussistenza di elementi ulteriori rispetto a quelli attinenti un nesso di funzionalità necessaria, da commisurarsi, se del caso, al contenuto professionale delle mansioni, così come risultanti dal profilo del lavoratore ed ancora nel senso che possano rilevare, al fine della sussistenza del requisito di specificità gli elementi attinenti alla ripetizione nel tempo di programmi".

Con il nono motivo la Rai denuncia carenza o contraddittorietà della motivazione in riferimento agli elementi attinenti al cd. profilo soggettivo del giudizio di specificità e segnatamente delle mansioni del ricorrente in primo grado.

Con la decima critica la Rai deduce carenza o contraddittorietà della motivazione in ordine al profilo oggettivo del requisito della specificità.

Con l’undicesima censura la Rai, allegando violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, formula il seguente quesito di diritto : "Dica la Suprema corte , con riferimento ad un’assunzione a tempo determinato posta in essere in relazione ad un accordo collettivo L. n. 56 del 1987, ex art. 23, se violi o applichi falsamente al caso di specie la disposizione menzionata la sentenza di appello la quale accrediti la tesi secondo la quale la contrattazione collettiva ex art. 23 cit.

possa, o debba, replicare le previsioni della L. n. 230 del 1962".

Con la dodicesima critica la Rai allega carenza o contriddittorietà della motivazione in punto di contenuto dell’accordo collettivo del 5 aprile del 1997.

Con la tredicesima censura la Rai denuncia carenza o contraddittorietà della motivazione in relazione alla sussistenza di elementi di fatto tali da determinare un ipotesi di uso fraudolento dello strumento del contratto di lavoro subordinato a tempo determinato.

Con il quattordicesimo motivo la Rai, sostenendo violazione della L. n. 230 del 1962, art. 2, comma 2, pone il seguente quesito di diritto:" Dica la Suprema Corte, con riferimento ad un’ipotesi di fatto di sequenza di contratti a termine stipulati nel vigore della L. n. 230 del 1962, se violi o applichi falsamente al caso di specie la previsione della L. n. 230 del 1962, art. 2, comma 2, la sentenza d’appello che reputi configurabile un’ipotesi di frode alla legge sulla base della mera constatazione della frequente stipula, in un certo arco temporale di più contratti a termine e della brevità degli intervalli".

Con la quindicesima critica la Rai, denunciando violazione della L. n. 230 del 1962, art. 2 anche in relazione agli artt. 1218, 1219 e 1223 c.c., pone il seguente quesito di diritti): "Dica la Suprema Corte, con riferimento ad una sentenza declaratoria della conversione a tempo indeterminato di una pluralità di contratti di lavoro a termine, se violi o applichi falsamente al caso di specie la L. n. 230 del 1962, art. 2, comma 2, in relazione agli artt. 1218, 1219 e 1223 c.c., la sentenza di merito che condanni il datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni negli intervalli non lavorati, sulla premessa della brevità dei medesimi".

Con l’ultimo motivo la Rai prospetta vizio di motivazione su fatto decisivo del giudizio.

Rileva, preliminarmente, il Collegio che le censure con le quali si deducono vizi di motivazione sono inammissibili per violazione dell’art. 366 bis c.p.c..

Infatti non può ritenersi soddisfi la prescrizione di cui al citato art. 366 bis epe la mera indicazione del fatto su cui si appunta la critica concernente il vizio di motivazione, atteso che oltre al mero fatto il ricorrente deve indicare, in una sintesi riassuntiva simile al quesito di diritto- nella specie mancante- le ragioni che rendono, in caso d’insufficienza, inidonea la motivazione a giustificare la decisione, in caso di omissione, decisivo il difetto di motivazione e in caso di contraddittorietà, non coerente la motivazione (cfr.

Cass. S.U. 14661/2011, Cass. 4556/2009, Cass. S.U. 16528/2008 e Cass. S.U. 2063/2007).

Così delimitato il devolutum occorre, altresì, premettere che la sentenza impugnata risulta ancorata a due fondamentali distinte rationes decidendi, autonome l’una dalla altra, e ciascuna, da sola, sufficiente a sorreggerne il dictum: da un lato, all’affermazione della natura non autonoma, bensì subordinata, del rapporto di lavoro instaurato a seguito della stipulazione del (primo) contratto -di lavoro autonomo- con conseguente instaurazione tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far tempo dalla conclusione di siffatto contratto; dall’altro, al rilievo dell’illegittimità comunque dei successivi contratti a termine intervenuti tra le parti con relativa conversione del primo di detti ultimi contratti in quello a tempo indeterminato.

Tanto determina, in base alla giurisprudenza di questa Corte, che l’attitudine di una delle indicate rationes decidendi a resistere agli appunti mossigli comporta che la decisione deve essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio mal censurato privando l’impugnazione dell’idoneità al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (cfr., in merito, ex multis, Cass. 4349/01, 24540/2009 e da ultimo Cass. 3386/2011).

Tanto precisato rileva questa Corte che i motivi di ricorso ( primo e terzo) che investono sotto il profilo della violazione di legge (le censure dedotte ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come rilevato sono inammissibili) la prima delle indicate rationes decidendi risultano infondati.

In particolare per quanto riguarda la contestata natura giornalistica della prestazione lavorativa resa a seguito della stipula del contratto di lavoro autonomo, in ordine alla quale secondo la società Rai sarebbe decisiva "la sussistenza o meno del potere del lavoratore di firmare il pezzo respingendo eventuali modifiche apportate da altri" rileva la Corte che la prospettazione non è condivisibile.

La giurisprudenza della Cassazione è, difatti, univocamente orientata nel ritenere che costituisce attività giornalistica la prestazione di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie volte a formare oggetto di comunicazione attraverso gli organi di informazione, ponendosi il giornalista quale mediatore intellettuale tra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso, con il compito di acquisirne la conoscenza, valutarne la rilevanza in relazione ai destinatari e predisporre il messaggio con apporto soggettivo e creativo, ed assumendo rilievo, a tal fine, la continuità o periodicità del servizio nel cui ambito il lavoro è utilizzato, nonchè l’attualità delle notizie e la tempestività dell’informazione, che costituiscono gli elementi differenziatori rispetto ad altre professioni intellettuali e sono funzionali a sollecitare l’interesse dei cittadini a prendere conoscenza e coscienza di tematiche meritevoli di attenzione per la loro novità (Cass. 23625/2010 e Cass. 17723/2011).

Si è così ritenuto da questa Corte che il tele-foto-cine operatore assume la qualifica di giornalista ove lo stesso non si limiti a riprendere immagini destinate ad un giornale, scritto o parlato, ma, dovendo realizzare la trasmissione di un messaggio, effettui con continuità, in condizioni di autonomia tecnica, per il datore di lavoro, riprese di immagini di valenza informativa, tali da sostituire o completare il pezzo scritto o parlato, e, successivamente, partecipi alla selezione, al montaggio e, in genere, all’elaborazione del materiale filmato o fotografato in posizione di autonomia decisionale, come desumibile dell’idoneità del servizio televisivo a svolgere, di per sè, la necessaria funzione informativa (Cass. 19681/2009).

L’attività giornalistica si caratterizza, quindi, non tanto per la sussistenza del potere di firma del pezzo e della possibilità di respingere eventuali modifiche apportate da altri, quanto piuttosto per l’oggetto precipuo della prestazione intellettuale resa consistente nella raccolta, commento ed elaborazione di notizie volte a formare oggetto di comunicazione attraverso gli organi di informazione, valutandone la rilevanza e predisponendone il messaggio con apporto soggettivo e creativo.

A tali principi la Corte del merito si è attenuta sottolineando, ai fini che in questa sede interessano, che il M. realizzava i servizi affidatigli ricercando ed elaborando notizie su avvenimenti di attualità o fatti di cultura legati all’attualità con personale ed originale elaborazione o commento di un fatto destinato a formare oggetto di comunicazione interpersonale nell’ambito di trasmissioni realizzate e condotte da giornalisti sulla base del lavoro di una redazione, consistenti proprio nella presentazione ed elaborazione, attraverso approfondimenti, riflessioni ed interventi di terzi, di notizie.

Relativamente alla ritenuta natura subordinata del rapporto di lavoro, che la società critica per aver la Corte del merito dato rilievo ai cd. indici sussidiari della subordinazione, in particolare al dato dell’inserimento del prestatore nell’organizzazione aziendale, senza considerare affatto la scelta delle parti, risultante da una clausola del documento contrattuale, nel senso di costituire tra di esse un rapporto di lavoro autonomo, osserva il Collegio che la censura non è condivisibile.

Mette conto, innanzitutto, evidenziare, alla luce della sentenza 8068/2009 di questa Corte, pienamente condivisa dal Collegio, che in tema di attività giornalistica la subordinazione non può che essere apprezzata, come più volte ribadito dalla Cassazione (Cfr.per tutte Cass. 3320/08,18660/05, 6983/04 e 6727/01,) avuto riguardo, e al carattere intellettuale e/o creativo della prestazione, e alla peculiarità dell’attività cui la stessa s’inserisce.

Pertanto, proprio in considerazione della peculiarità delle specifiche mansioni svolte che lasciano un certo margine di autonomia e del carattere collettivo dell’opera redazionale cui s’inseriscono (V. Cass. 7494/97 e 5693/98), la subordinazione ex art. 2094 c.c., intesa quale inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale e dal suo assoggettamento ai poteri direttivi e organizzativi nonchè disciplinari del datore di lavoro, risulta attenuata con conseguente difficoltà di cogliere in maniera diretta e immediata i caratteri propri del lavoro subordinato e necessita, quindi, di far ricorso, per distinguerlo da quello autonomo, ad indici rivelatori e ciò tenuto anche conto che, nel lavoro giornalistico, per gli evidenziati aspetti, la subordinazione si concretizza più che altro in collaborazione (V. Cass. 10086/91 e 6727/01).

A tal fine la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare che la subordinazione non è esclusa quando il prestatore goda di una certa libertà di movimento e non sia obbligato al rispetto di un orario predeterminato o alla continua permanenza sul luogo di lavoro, non essendo neanche incompatibile con il suddetto vincolo la commisurazione della retribuzione a singole prestazioni (Cass. 6598/88, 1024/96, 16038/04 e 3320/08 cit.), ovvero allorchè non sia impegnato in un’attività quotidiana, la quale, invece, contraddistingue quella del redattore (Cass. 7012/00), ovvero, altresì, nell’ipotesi in cui l’attività informativa sia soltanto marginale rispetto ad altre diverse svolte dal datore di lavoro, ed impegni il giornalista anche non quotidianamente e per un limitato numero di ore (Cass. 6727/01) ovvero,infine, quando l’esecuzione della prestazione lavorativa sia effettuata a domicilio (Cass. 6598/88).

Rappresentano secondo la Cassazione, di contro, indici rilevatori della subordinazione: lo svolgimento di un’attività non occasionale, rivolta ad assicurare le esigenze informative riguardanti un particolare settore, la sistematica redazione di articoli su specifici argomenti o di rubriche, e la persistenza, nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, dell’impegno di porre la propria opera a disposizione del datore di lavoro, in modo da essere sempre disponibile per soddisfarne le esigenze ed eseguirne le direttive (Cass. 6032/06 e sostanzialmente nello stesso senso 3229/88); la continuità e la responsabilità del servizio, che ricorrono quando il giornalista abbia l’incarico di trattare in via continuativa un argomento o un settore di informazione e metta costantemente a disposizione la sua opera, nell’ambito delle istruzioni ricevute (Cass. 6727/01 e nello stesso senso 7020/00)); la soddisfazione dell’esigenza dell’imprenditore di coprire stabilmente uno specifico settore d’informazione, attraverso la sistematica compilazione di articoli su specifici argomenti o di rubriche ed il permanere della disponibilità del lavoratore, pur nell’intervallo fra una prestazione e l’altra (Cass. 5223/87).

Costituiscono di contro, indici negativi: la pattuizione di prestazioni singole e retribuite in base a distinti contratti che si succedono nel tempo, ovvero la convenzione di singole, ancorchè continuative, prestazioni secondo la struttura del conferimento di una serie di incarichi professionali (Cass. 4770/06 cit. e 18560/05);

la pubblicazione ed il compenso degli scritti solo previo "gradimento" ed a totale discrezione del direttore del giornale ovvero commissionati singolarmente, in base ad una successione di incarichi fiduciari (Cass. 2890/90).

Alla stregua della richiamata giurisprudenza deve, quindi, riaffermarsi che l’elemento caratterizzante la subordinazione nel lavoro giornalistico è rappresentato sostanzialmente dallo stabile inserimento della prestazione resa dal giornalista nella organizzazione aziendale, nel senso che attraverso tale prestazione il datore di lavoro assicura in via stabile o quantomeno per un apprezzabile periodo di tempo la soddisfazione di una esigenza informativa del giornale attraverso la sistematica compilazione di articoli su specifici argomenti o di rubriche e, quindi esige, come tale, il permanere della disponibilità del lavoratore, pur nell’intervallo fra una prestazione e l’altra (Cass. 8068/2009).

A tale principio la Corte del merito si è attenuta rilevando che – come riportato già nella parte in fatto della presente sentenza – diversamente da quanto previsto nel contratto di lavoro autonomo del 1 dicembre 1997, nel periodo 4 dicembre 1997/28 febbraio 1998 le prestazioni lavorative del M. furono rese in regime di subordinazione e non di autonomia. Tanto secondo la Corte del merito, era desumibile dalle dichiarazioni rese dai testi F. e Fi. da cui era evincibile che il M. aveva lavorato esclusivamente per la trasmissione (OMISSIS) condotta dalla F., quotidianamente e partecipando alla preventiva programmazione del contenuto di ciascuna puntata e, soprattutto, realizzando i servizi che la F. gli affidava con la verifica e sotto il controllo della F. stessa con modalità, in tutto e per tutto, sovrapponibili a quelle inerenti il successivo periodo lavorativo reso dopo la stipulazione del contratto di lavoro subordinato del 30 marzo 1998 come non smentito dal teste B..

Infatti, precisava la Corte territoriale, il complessivo esame delle risultanze istruttorie portava ad affermare, in difformità al contenuto della scrittura privata, che il rapporto di lavoro si era risolto nella mera messa a disposizione di energie lavorative di natura intellettuale per il conseguimento del fine d’impresa della RAI con assoggettamento ai poteri direttivi e di controllo di un superiore gerarchico e con pieno inserimento nell’organizzazione aziendale, verso corrispettivo.

La prevalenza accordata dalla Corte del merito allo svolgimento in fatto del rapporto di lavoro rispetto a quanto stabilito nel contratto da conto della correttezza giuridica anche sotto tale profilo, della sentenza impugnata. E’, invero, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato oppure autonomo, in caso di contrasto tra i dati formali di individuazione del medesimo rapporto e quelli fattuali emergenti dal concreto svolgimento della prestazione, è a questi ultimi che deve darsi la prevalenza (V. per tutte Cass. 3831/2003 e Cass. 17455/2009).

Resistendo, quindi, la sentenza impugnata alle critiche mosse in ordine alla prima delle indicate sostanziali rationes decidendi risulta consequenzialmente del tutto ultroneo — come rilevato in precedenza – l’esame degli altri motivi di ricorso afferenti la contestazione dell’alternativa ratio decidendi concernente la ritenuta illegittimità dei contratti a termine intervenuti successivamente alla scadenza del contratto cd. di lavoro autonomo e, quindi, della conversione del primo di detti contratti a termine in contratto a tempo indeterminato ed alle relative censurate conseguenze economiche.

Nè vi è spazio per l’applicazione, invocata in sede di memoria illustrativa, del disposto di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32 punto 5), riguardando la relativa previsione la conversione del contratto a tempo determinato e non, come ritenuto dalla Corte di Appello, la natura subordinata di un rapporto di lavoro instaurato a seguito della stipulazione di contratto di lavoro autonomo con conseguente instaurazione tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far tempo dalla conclusione del relativo contratto.

Dovendosi mantenere ferma la sentenza impugnata in ragione della detta ratio decidendi il ricorso va di conseguenza rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 40,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per onorario oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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