Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-06-2012, n. 10331 Giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Potenza, confermando la sentenza di primo, dichiarava il proprio difetto di giurisdizione in ordine alla domanda con la quale il dipendente dell’ENEA,indicato in epigrafe, cessato da servizio prima del 30 giugno 1998, chiedeva la declaratoria del suo diritto, quale assicurato e beneficiario della polizza collettiva stipulata dall’ente con l’INA, a percepire il connesso trattamento assicurativo, con la condanna dell’ENEA a corrispondere i relativi importi, o, in subordine, i rendimenti conseguenti alla predetta polizza.

I giudici d’appello rilevavano, innanzitutto, che la violazione imputata all’ENEA era quella relativa all’obbligo di esatta liquidazione del t.f.r., poichè la prestazione dovuta non sarebbe stata quella liquidata dall’ente, bensì quella, maggiore, corrispondente a quella versata dall’INA, e dunque la pretesa riguardava – all’interno del rapporto di lavoro – gli effetti retributivi (propri del t.f.r.) derivanti dall’inadempimento dell’ENEA in relazione all’obbligo – previsto dall’art. 14 della polizza stipulata con l’Istituto di assicurazione – di corrispondere al dipendente gli importi versati da quest’ultimo. Nella specie, osservavano poi i predetti giudici, il comportamento asseritamente lesivo dell’Ente era venuto meno, in maniera definitiva, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, in data anteriore al 30 giugno 1998, allorchè non erano state erogate somme aggiuntive oltre all’indennità di fine rapporto, nè, peraltro, erano stati prospettati comportamenti rilevanti dell’ente successivamente a tale data, sì che si configurava la giurisdizione del giudice amministrativo alla stregua della disciplina transitoria dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001.

Avverso questa sentenza il nominato dipendente ricorreva in cassazione sulla base di due motivi.

Resisteva con controricorso la parte intimata.

La causa, in considerazione della questione di giurisdizione, veniva rimessa, per l’eventuale assegnazione alle sezioni Unite, al Primo Presidente il quale,ritenendo la sussistenza dei presupposti ex art. 374 c.p.c., per la trattazione della causa a Sezione Semplice, disponeva la restituzione degli atti a questa Sezione.

Parte resistente deposita memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso viene denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c., domandandosi alla Corte, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., se la sentenza impugnata sia incorsa nel vizio di ultrapetizione nell’interpretare e qualificare la domanda quale richiesta di adempimento dell’obbligo retributivo di esatta liquidazione del t.f.r., nascente dal rapporto di impiego, là dove il dipendente aveva fondato la sua pretesa sulla qualità di assicurato beneficiario della polizza stipulata nell’interesse del dipendente e sul comportamento lesivo dell’ENEA – costituente anche ipotesi di reato – e aveva chiesto la condanna dell’ente al pagamento del trattamento assicurativo, maturato per effetto della polizza individuale, anche a titolo di risarcimento del danno ai sensi degli artt. 2043 e 2059 c.c..

Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 1 c.p.c., e della disciplina del riparto di giurisdizione, dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, chiedendosi alla Corte di affermare che la controversia è devoluta al giudice ordinario, a prescindere dalla data di cessazione del rapporto, in considerazione della natura extracontrattuale dell’azione proposta e, comunque, in ragione della permanenza dell’illecito oltre la data del 30 giugno 1998.

Le censure, che in quanto strettamente connesse dal punto di vista logico-giuridico vanno trattate congiuntamente, sono infondate alla luce dei principi, di seguito riportati, già enunciati dalle Sezioni Unite (cfr. Cass. S.U. n. 8834 del 2010, n. 16630 del 2011 e n. 16631 del 2011) in fattispecie analoghe, principi che devono essere integralmente confermati.

La determinazione della giurisdizione consegue all’accertamento della natura giuridica dell’azione di responsabilità in concreto proposta, in quanto, se è fatta valere la responsabilità contrattuale della P.A. datrice di lavoro, la cognizione della domanda rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, nel caso di controversia relativa a rapporto di pubblico impiego soggetta ratione temporis alla disciplina anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 80 del 1998, mentre, se è stata dedotta la responsabilità extracontrattuale, la giurisdizione spetta al giudice ordinario (cfr., per tutte, Cass. S.U. n. 5785 del 2008); e non rileva, ai fini della configurazione dell’azione, la qualificazione formale data dalla parte, in termini di responsabilità contrattuale o extracontrattuale, e mediante il richiamo di specifiche disposizioni relative all’uno o all’altro tipo di responsabilità, trattandosi di indizi di per sè non decisivi rispetto alla individuazione dei tratti propri dell’elemento materiale della condotta posta a base della pretesa (Cfr. Cass. S.U. n. 18623 del 2008).

Nella specie, i giudici di merito hanno accertato che la domanda traeva fondamento dal dedotto inadempimento dell’ENEA in relazione agli obblighi previsti dalla polizza assicurativa stipulata con l’INA e hanno ritenuto, mediante l’interpretazione delle relative clausole, che la convenzione assicurativa stipulata dall’ente datore di lavoro trovava la sua giustificazione causale esclusivamente nel rapporto lavorativo, non configurandosi una funzione direttamente previdenziale degli importi garantiti dalla polizza e dovendosi escludere altresì, per mancanza di causa, che il favor garantito ai dipendenti fosse riconducibile a un diverso rapporto giuridico, comportante un’obbligazione autonoma rispetto al rapporto di lavoro e tuttavia avente ad oggetto emolumenti corrisposti direttamente dall’ENEA. Siffatta esegesi si sottrae alle censure sollevate in ricorso, peraltro generiche e prive di specifiche indicazioni in ordine a eventuali vizi di motivazione o violazioni di canoni ermeneutici idonei a inficiare il procedimento logico-esegetico dei giudici di merito; e, d’altra parte, una uguale configurazione del complessivo meccanismo contrattuale in esame è stata già sottoposta alle Sezioni unite che, in analoghe controversie, ne hanno confermato la correttezza sotto il profilo giuridico essendosi precisato come la previsione di eventuali utili economici derivanti dalla convenzione assicurativa fosse funzionale all’interesse proprio dell’ente pubblico e, in particolare, alla gestione del suo patrimonio, sì che non poteva configurarsi alcuno spazio per ulteriori vantaggi per i dipendenti, oltre a quello della garanzia del trattamento di fine rapporto, i quali, così come ipotizzati, avrebbero finito per configurarsi come un’indebita e anche illegittima integrazione del trattamento di fine rapporto (V. Cass. S.U. n. 21553 del 2009).

Sulla base di tale puntuale accertamento, deve assumersi che la domanda sia stata esattamente qualificata e valutata e va, pertanto, escluso che la sentenza impugnata sia incorsa nella violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, così come denuncia il ricorrente assumendo l’erronea identificazione del petitum.

Nè può rilevare, d’altro canto, la proposizione di una specifica domanda di risarcimento, anche in relazione al danno morale conseguente al comportamento denunciato, atteso che per le controversie devolute alla sua giurisdizione il giudice amministrativo, ai sensi della L. n. 205 del 2000, art. 35, dispone anche con riguardo al risarcimento del danno ingiusto cagionato dalla pubblica amministrazione (cfr. Cass. S.U. n. 5468 del 2009; Cass. S.U. n. 15849 del 2009).

Per i profili risarcitori, infine, non si prospetta alcuna permanenza dell’illecito oltre la data di cessazione del rapporto lavorativo, con la quale coincide l’asserito inadempimento dell’ente datore di lavoro, non essendo stati adeguatamente dedotti, peraltro, successivi comportamenti datoriali rilevanti ai fini in esame, così come puntualmente accertato nella decisione impugnata.

Il ricorso, in conclusione, va rigettato essendo corretta la declaratoria di carenza di giurisdizione adottata dal giudice d’appello. Le parti devono pertanto essere rimesse dinanzi al giudice amministrativo per lo svolgimento del giudizio di merito, verificandosi le conseguenze della translatio judicii per cui gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservano, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione.

La natura della controversia e l’oggettiva difficoltà della questione inducono alla compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo; rimette le parti dinanzi al T.A.R. competente per territorio. Compensa fra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2012

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