Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 29-11-2011) 02-12-2011, n. 44874 Imputato dichiarazioni spontanee

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con sentenza in data 6.4.2009, il Tribunale di Palermo dichiarò T.M. responsabile del reati di ricettazione continuata e – concesse le attenuanti generiche, con la diminuente per il rito abbreviato – lo condannò alla pena di anni 1 di reclusione ed Euro 500,00 di multa, pena sospesa.

Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte d’appello di Palermo, con sentenza in data 10.1.2011, confermò la decisione di primo grado.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in quanto l’affermazione di responsabilità si fonda su dichiarazioni auto accusatorie rese dall’imputato senza garanzie difensive e non verbalizzate, ma acquisite tramite la polizia giudiziaria, inutilizzabili ai sensi dell’art. 63 c.p.p.. Tali dichiarazioni sarebbero state rese allo scopo di scagionare il padre auto accusandosi, dopo che questi aveva reso dichiarazioni indizianti a carico del ricorrente.

Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

La Corte territoriale ha rilevato che al momento delle dichiarazioni spontanee rese dal ricorrente non erano ancora emersi a suo carico indizi di reità e che il divieto di testimonianza indiretta non opera rispetto alle dichiarazioni rese da terzi e percepite al di fuori di uno specifico contesto processuale. Tali dichiarazioni de relato possono essere utilizzate nel giudizio abbreviato.

Nel ricorso si afferma che le dichiarazioni indizianti a carico del ricorrente sarebbero quelle rese dal padre, ma non si indica da quale atto sarebbe desumibile che sarebbero state rese prima, posto che di ciò non vi è menzione nella sentenza d’appello, la quale si limita ad indicare anche le dichiarazioni del padre del ricorrente senza precisare se rese prima o dopo che T.M. effettuò dichiarazioni spontanee, se non per quanto affermato nei motivi di appello.

Sotto questo profilo il ricorso è aspecifico violando il principio di autosufficienza del ricorso.

Questa Corte ha affermato anzitutto che "l’assunzione della qualità di "persona nei cui confronti vengono svolte le indagini", ai fini dell’operatività della disciplina contenuta nell’art. 350 c.p.p. e, segnatamente, di quella concernente le dichiarazioni spontanee, di cui al citato articolo, comma 7, non postula la previa iscrizione della persona medesima nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. (Cass. Sez. 1A sent. n. 1650 del 25.2.1997 dep. 07.05.1997 rv 207427. Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto che fossero utilizzabili, ai fini cautelari, come gravi indizi di colpevolezza, le spontanee dichiarazioni rese da soggetto nei cui confronti era stata disposta perquisizione domiciliare, non trovando applicazione, in tale ipotesi, la diversa disciplina di cui all’art. 63 c.p.p.).

Coerentemente con tale principio questa Corte ha ritenuto che il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell’imputato o dell’indagato sancito dall’art. 62 c.p.p. è relativo alle dichiarazioni rese da persona che ha già assunto tale qualità nel corso del procedimento, sicchè non concerne la fattispecie in cui il verbalizzante riferisce di dichiarazioni spontanee rese dal soggetto prima che assumesse tale veste. (Cass. Sez. 3A sent. n. 7844 del 27.5.1998 dep. 3.7.1998 rv 211349).

In armonia con tali affermazioni questa Corte ha indicato (ed il Collegio condivide l’assunto) che il dovere imposto all’autorità giudiziaria ed alla polizia giudiziaria dall’art. 63 c.p.p., comma 2, di non procedere all’esame quale testimone o persona informata sui fatti di colui che debba essere sentito fin dall’inizio in qualità di indagato o imputato, non trova applicazione nell’ipotesi in cui il soggetto sia stato avvertito di tale sua qualità e rilasci dichiarazioni spontanee, le quali, se assunte senza la presenza del difensore, rientrano nella disciplina di cui all’art. 350 c.p.p., comma 7, e dunque, pur non essendo utilizzabili ai fini del giudizio salvo quanto previsto dall’art. 503 c.p.p., comma 3, possono essere utilizzate nella fase delle indagini preliminari ed apprezzate ai fini della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza richiesti per l’applicazione di una misura cautelare, anche nei confronti di terzi.

(Cass. Sez. 2A sent. 2539 del 5.5.2000 dep. 25.5.2000 rv 216298).

Fattispecie relativa a dichiarazioni spontanee rilasciate alla polizia giudiziaria dal soggetto passivo di un’estorsione immediatamente dopo la contestazione del reato di favoreggiamento degli estorsori e di invito a nominare un difensore di fiducia).

Poichè le dichiarazioni spontanee sono utilizzabili, come ogni altra resa in indagini preliminari, ai sensi dell’art. 503 c.p.p., comma 3, ben possono essere utilizzate nel giudizio abbreviato, che implica la rinunzia alla formazione della prova in contraddittorio.

Infatti questa Corte ha affermato che il divieto di utilizzazione delle dichiarazioni spontanee rese alla polizia giudiziaria dalla persona nei cui confronti vengono svolte indagini ( art. 350 c.p.p., u.c.) va riferito al dibattimento e non anche al giudizio abbreviato.

(Cass. Sez. 6A sent. n. 1935 del 19.11.1993 dep. 17.2.1994 rv.

197261).

Il Collegio non ignora che vi è una (sola) pronunzia dissonante (Cass. Sez. 4A sent. n. 25922 del 9.4.2003 dep. 17.06.2003 rv 225851) secondo la quale nel giudizio abbreviato le dichiarazioni spontanee rese da un indagato nell’immediatezza dei fatti, ai sensi dell’art. 350 c.p.p., non possono costituire prova a carico di altro coindagato.

Tuttavia tale pronunzia, a prescindere dalla sua dissonanza, si fonda sul seguente assunto:

"Con il primo motivo di ricorso il… censura la sentenza impugnata per avere fondato il giudizio di colpevolezza nei suoi confronti in base alle spontanee dichiarazioni rese dal coindagato … nell’immediatezza dei fatti, non utilizzabili nel dibattimento ai sensi dell’art. 350 c.p.p., u.c., ed, a maggior ragione, nel giudizio abbreviato ex art. 438 c.p.p..

Sul punto – come dimostrano di essere a conoscenza sia il Collegio giudicante che il ricorrente – si sono pronunciate le sezioni unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16 del 21.6.2000, ritenendo che il giudizio abbreviato costituisce un procedimento "a prova contratta", alla cui base è identificabile un patteggiamento negoziale sul rito, a mezzo del quale le parti accettano che la regiudicanda sia definita alla stregua degli atti di indagine già acquisiti e rinunciano a chiedere ulteriori mezzi di prova, così consentendo di attribuire agli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari quel valore probatorio di cui essi sono normalmente sprovvisti nel giudizio che si svolge, invece, nelle forme ordinarie del dibattimento. Tuttavia, tale negozio processuale di tipo abdicativo può avere ad oggetto esclusivamente i poteri che rientrano nella sfera di disponibilità degli interessati, ma resta privo di negativa incidenza sul potere-dovere del giudice di essere, anche in quel giudizio speciale, garante della legalità del procedimento probatorio. Ne consegue che in esso, mentre non rilevano nè l’inutilizzabilitè c.d. "fisiologica" della prova, cioè quella coessenziale ai connotati peculiari del processo accusatorio, nè le ipotesi di inutilizzabilità "relativa" stabilite dalla legge in via esclusiva con riferimento alla fase dibattimentale, va attribuita piena rilevanza alla categoria sanzionatoria dell’inutilizzabilità c.d. "patologica", inerente, cioè, agli atti probatori, assunti "contra legem", la cui utilizzazione è vietata in modo assoluto non solo nel dibattimento, ma in tutte le altre fasi del procedimento.

Ne consegue, pertanto, che le dichiarazioni spontanee rese da un indagato nell’immediatezza dei fatti ex art. 350 c.p.p., non possono costituire, nel giudizio abbreviato, prova a carico di altro coindagato".

Or bene, se è coerente con quanto affermato dalle Sezioni Unite, sulla distinzione fra inutilizzabilità fisiologica ed inutilizzabilità patologica, va rilevato che l’inutilizzabilità delle dichiarazioni spontanee è appunto fisiologica, in quanto possono essere utilizzate per le contestazioni in caso di esame dibattimentale in contraddittorio di colui che le ha rese.

Se il chiamato in correità o in reità, richiedendo il giudizio abbreviato, rinunzia al dibattimento e quindi all’esame in contraddittorio della persona che ha rilasciato le dichiarazioni spontanee a suo carico, non si comprende perchè queste dovrebbero essere inutilizzabili, tanto più che, spontaneamente o su contestazione, avrebbero potuto essere reiterate in dibattimento.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *