Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 21-06-2012, n. 10325 Categoria, qualifica, mansioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L.V., ex dipendente dell’Aeronautica Militare, transitato all’Azienda Autonoma Assistenza al Volo per il Traffico Aereo Generale (poi diventata ente pubblico economico con la denominazione di Ente Nazionale Assistenza al Volo – ENAV) ha convenuto in giudizio il proprio datore di lavoro chiedendo, fra l’altro, che venisse accertato il proprio diritto alla qualifica dirigenziale a decorrere dal 1.1.1996 o dalla data ritenuta di giustizia, con la condanna dell’ENAV al pagamento delle relative differenze retributive fino al mese di ottobre 2000 (data del suo collocamento a riposo).

Il Tribunale di Roma ha respinto la domanda con sentenza che è stata confermata dalla Corte d’appello della stessa città, che ha ritenuto che la domanda non potesse trovare accoglimento nè sotto il profilo della qualificazione dell’ufficio al quale era stato preposto il ricorrente come ufficio dirigenziale, posto che tale qualifica era stata attribuita al suddetto ufficio con la Delib. n. 300 del 1996, ma l’ufficio era divenuto operativo solo nel marzo 1998, contestualmente alla nomina dei nuovi dirigenti; nè sulla base dello svolgimento di fatto di mansioni dirigenziali, perchè non era stato dimostrato che il ricorrente fosse stato preposto ad un settore, ramo, servizio o ufficio con poteri in grado di incidere sull’andamento dell’azienda e sugli obiettivi generali dell’impresa, e così pure, per quanto riguarda il periodo aprile-dicembre 2000 – in relazione al quale il ricorrente aveva dedotto di avere svolto funzioni di responsabile dell’Ufficio di Presidenza per essere stato il dirigente destinato ad altro incarico – non era stato provato che vi fosse stata una preposizione piena alle funzioni di reggente del predetto ufficio, anche perchè il dirigente aveva mantenuto l’esercizio del potere gerarchico (come desumibile dalla sottoscrizione di atti di competenza propria del titolare dell’ufficio) e nel luglio 2000 era intervenuto il commissariamento dell’ENAV, con lo scioglimento degli organi dell’ente, sicchè il L. poteva, al più, avere esercitato funzioni vicarie del dirigente da giugno a luglio 2000, per un periodo quindi, inferiore a quello previsto dall’art. 2103 c.c. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione L.V. affidandosi a sei motivi di ricorso cui resiste con controricorso l’ENAV spa. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo si denuncia omessa pronuncia su un motivo di gravame, nonchè vizio di motivazione, relativamente all’affermazione della sentenza impugnata secondo cui non sarebbe stato oggetto di contestazione il fatto che l’Ufficio di Presidenza fosse diventato operativo solo a marzo 1998, e che pertanto il ricorrente non potesse far valere, ai fini del riconoscimento del diritto alla qualifica superiore, l’incarico svolto nel precedente assetto organizzativo dell’Ente, laddove il L. aveva contestato fin dal giudizio di primo grado la ricostruzione fattuale operata dall’ENAV ed aveva poi impugnato sullo specifico punto la sentenza di primo grado continuando sempre a sostenere di essere stato preposto ad un ufficio di rango dirigenziale, riconosciuto come tale dall’ENAV, con assunzione delle relative responsabilità.

2.- Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 2103 c.c., sostenendo che la Corte territoriale, nell’affermare l’irrilevanza del periodo dal 18.9.1996 al 25.3.1998 ai fini del conseguimento della qualifica dirigenziale, avrebbe erroneamente subordinato l’acquisizione del diritto alla qualifica superiore al potere organizzativo dell’Ente o al verificarsi di condizioni esterne al rapporto di lavoro, quali le norme regolamentari dell’ENAV che disciplinano le formalità procedimentali di approvazione dello statuto.

3.- Con il terzo motivo si denuncia l’illogicità della motivazione con cui la Corte d’appello ha escluso che, anche per il periodo dal 21.4.2000 a 1.6.2000, il L. avesse svolto mansioni di livello dirigenziale – e ciò in quanto nello stesso periodo il direttore dell’Ufficio di Presidenza avrebbe mantenuto l’esercizio di un potere gerarchico, che si esprimeva nella firma di atti di competenza del titolare dell’ufficio – osservando che la decisione sul punto era fondata sulla errata percezione del contenuto di un documento – quello relativo alla pretesa concessione di un periodo di ferie – che non dimostrava affatto la sottoposizione gerarchica del ricorrente al direttore dell’Ufficio di Presidenza, trattandosi in realtà di una mera ricognizione dei giorni di festività non fruiti dal ricorrente.

4.- Con il quarto motivo si denuncia violazione dell’art. 2697 c.c., nonchè vizio di motivazione, relativamente alla statuizione della sentenza impugnata concernente il periodo successivo al maggio 2000, sostenendo che, ancora una volta, il giudice d’appello avrebbe attribuito alle risultanze processuali e alle deduzioni svolte dal ricorrente un significato non conforme al senso espresso dai termini usati e dalla loro connessione logica.

5.- Con il quinto motivo si denuncia violazione dell’art. 2103 c.c. nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che il ricorrente non avesse sufficientemente specificato il contenuto delle mansioni concretamente svolte, onde poterne apprezzare il rilievo dirigenziale, omettendo di considerare che la "riclassificazione" delle mansioni svolte dal L. (operata con la Delib. n. 300 del 1996 e confermata con le successive delibere di carattere organizzativo) determinava, di per sè, in dipendenza della maggiore importanza dell’unità organizzativa, anche una modificazione in melius della posizione professionale del lavoratore, integrando così gli estremi previsti ai fini della promozione automatica dall’art. 2103 c.c..

6.- Con il sesto motivo si denuncia il vizio motivazionale della sentenza impugnata nella parte in cui avrebbe (implicitamente) rigettato le deduzioni svolte dall’appellante in ordine alle argomentazioni con cui il primo giudice aveva ritenuto che il direttore dell’Ufficio di Presidenza avesse mantenuto la titolarità dello stesso ufficio anche dopo il conferimento dell’incarico di direttore della Divisione del Sistema Aeroportuale N.E. e l’assegnazione al L. dell’incarico di svolgere provvisoriamente le attività dell’Ufficio di Presidenza.

7.- Il primo motivo è infondato. Questa Corte ha già avuto modo di affermare (cfr. ex plurimis Cass. n. 10592/2008, Cass. n. 10696/2007, Cass. n. 10636/2007) che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto. Tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata con il capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia. Ed ha ulteriormente precisato che il vizio di omessa pronuncia – configurarle allorchè risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (Cass. n. 16788/2006, Cass. n. 10052/2006). D’altra parte, il vizio di omessa pronuncia, censurabile ai sensi dell’art. 112 c.p.c., non ricorre allorchè una pronuncia sul capo di cui si lamenta l’omissione sia stata adottata dal giudice del merito, sia pure con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura sul punto (Cass. n. 6656/2004). Ciò in quanto il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice d’appello è configurarle allorchè manchi completamente l’esame di una censura mossa al giudice di primo grado; la violazione non ricorre nel caso in cui il giudice d’appello fondi la decisione su un argomento che totalmente prescinda dalla censura o necessariamente ne presupponga l’accoglimento o il rigetto: infatti nel primo caso l’esame della censura è inutile, mentre nel secondo essa è stata implicitamente considerata (Cass. n. 11756/2006).

8.- Nella fattispecie in esame, la Corte territoriale non ha omesso di pronunciare in ordine allo specifico punto di cui il ricorrente lamenta l’omesso esame, che anzi il giudice d’appello ha avuto cura di precisare che "tale ricostruzione fattuale" – e cioè quella del giudice di primo grado, secondo cui alla Delib. n. 300 del 1996 non era stata data immediata attuazione, essendone stata differita l’efficacia alla data di entrata in vigore dello Statuto – "non è stata specificamente contestata dall’attuale appellante, che non ha difatti mai sostenuto che l’Ufficio di Presidenza fosse divenuto operativo anteriormente al marzo 1998, epoca delle nomine dirigenziali contestate in giudizio" (pag. 12 della sentenza impugnata), precisando, più oltre (pag. 13), che, sullo stesso punto, l’appello era del tutto generico, non avendo il ricorrente opposto "validi argomenti atti ad inficiare la soluzione seguita dal primo giudice", secondo cui l’Ufficio di Presidenza aveva concretamente assunto "rango dirigenziale" solo contestualmente alla nomina dei dirigenti di cui alla delibera del 25.3.1998. Non sussiste, quindi, il denunciato vizio di omessa pronuncia; nè sussiste il vizio di motivazione denunciato al punto 1b) del primo motivo, posto che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte – cfr. ex plurimis Cass. n. 18885/2008 – il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, si configura soltanto quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto alla base della decisione, mentre tale vizio non è certamente ravvisabile quando il giudice di merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte, così come è riscontrabile nella fattispecie in esame. Nè può sottacersi, al riguardo, che il ricorrente, pur avendo trascritto al punto la) del primo motivo le censure formulate con i motivi di appello per contestare la ricostruzione fattuale operata dal giudice dì primo grado, non ha poi riportato nel ricorso per cassazione il testo integrale delle delibere alle quali ha fatto riferimento nei suddetti motivi di appello (e dalle quali dovrebbe trarsi la conferma che l’ufficio al quale era stato preposto il ricorrente aveva assunto rilievo dirigenziale quanto meno dal 1.12.1997), derivandone, per questa parte, l’inammissibilità delle censure svolte sotto il profilo del vizio di motivazione per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

9.- Anche il secondo motivo è infondato, non potendo configurarsi una violazione dell’art. 2103 c.c. a fronte di un accertamento di fatto della Corte territoriale che, escludendo che l’ufficio al quale era preposto il ricorrente avesse concretamente assunto rilievo dirigenziale prima di una determinata data, abbia conseguentemente escluso che le mansioni svolte dal ricorrente presso lo stesso ufficio potessero venire in rilievo, prima di quella data, ai fini del riconoscimento del diritto alla qualifica dirigenziale.

10.- Il terzo motivo deve ritenersi inammissibile per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non avendo il ricorrente riportato nel ricorso il contenuto esatto del documento di cui si lamenta l’errata percezione da parte del giudice di merito (sull’onere di riproduzione nell’impugnazione del tenore esatto del documento di cui si lamenta l’omesso o inadeguato esame, cfr. ex plurimis Cass. n. 9987/2008); e tutto ciò a prescindere dalla pur assorbente considerazione che la denuncia di una errata percezione degli atti di causa si risolve in una censura di travisamento del fatto che non può costituire motivo di ricorso per cassazione, poichè, risolvendosi in una inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, costituisce un errore denunciabile unicamente con il mezzo della revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4 (cfr. ex plurimis Cass. n. 10123/2009, Cass. n. 213/2007).

11 – Il quarto motivo è infondato. Invero, a prescindere dalla considerazione che, anche in questo caso, il ricorrente fa valere sotto il profilo del vizio di motivazione la denuncia di una errata percezione, da parte del giudice di merito, degli atti processuali, va rilevato che, a quanto risulta dal motivo di impugnazione, il ricorrente in primo grado, oltre a contestare la rilevanza del fatto che, a seguito dello scioglimento degli organi dell’Ente, fosse venuta meno la funzione dell’Ufficio di Presidenza, si era limitato a dedurre che "l’eventuale soppressione di un ufficio dirigenziale avrebbe dovuto essere formalizzato per iscritto ad substantiam" il che è esattamente quanto rilevato dalla Corte territoriale nella motivazione della sentenza (pag. 19) per inferirne che non vi era contestazione tra le parti circa l’effettività del commissariamento dell’Ente e "il venir meno della unità organizzativa cui afferiva la pretesa" (pag. 20). Quanto alla dedotta violazione dell’art. 2697 c.c., deve considerarsi che, come già affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 8025/2003), il lavoratore che agisce in giudizio per ottenere l’inquadramento in una qualifica superiore ha l’onere di allegare e provare gli elementi posti a base della domanda, dovendo tenersi conto, in particolare, che il lavoratore che rivendica nei confronti del datore di lavoro una superiore qualifica professionale in relazione alle mansioni svolte ha l’onere di dimostrare la natura e il periodo di tempo durante il quale le mansioni sono state svolte, il contenuto delle disposizioni individuali, collettive o legali in forza delle quali la superiore qualifica viene rivendicata, la coincidenza delle mansioni svolte con quelle descritte dalla norma individuale, collettiva o legale (Cass. n. 1012/2003). Nella fattispecie in esame, è comunque assorbente il rilievo che, come già sopra accennato, la Corte territoriale ha fondato il proprio convincimento sulla ritenuta incompatibilità della posizione difensiva assunta dal lavoratore con la negazione dell’effettivo venir meno, a decorrere dal 1 agosto 2000, delle funzioni dell’Ufficio di Presidenza, sicchè non può configurarsi una violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. (che ricorre soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una eventualmente incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere: cfr. Cass. n. 19064/2006, Cass. n. 2155/2001).

Anche il quarto motivo deve essere pertanto respinto.

12.- Alla stregua delle considerazioni che precedono, e richiamato in particolare quanto sopra detto sub punti 9) e 11), anche il quinto motivo deve essere rigettato, avendo comunque la sentenza, come detto, escluso che l’Ufficio di Presidenza fosse divenuto operativo prima del mese di marzo 1998 e, così, che il riconoscimento della qualifica dirigenziale potesse collegarsi alle previsioni di cui alla Delib. n. 300 del 1996.

13.- Le censure svolte con il sesto motivo devono ritenersi inammissibili, trattandosi di problematiche che, come riconosce anche il ricorrente, non sono state espressamente trattate dalla sentenza impugnata e non ne costituiscono, sul punto, la ratio decidenti.

14.- In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 50,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari, oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2012

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