Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-11-2011) 02-12-2011, n. 44904

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 16 gennaio 2008 il Tribunale di Palermo assolveva, perchè il fatto non costituisce reato, A.F. dal reato previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 13, accertato in (OMISSIS). L’addebito trovava il suo fondamento nel fatto che il ricorrente era rientrato in Italia, senza una speciale autorizzazione del Ministro dell’Interno, con le false generalità di C.F., dopo essere stato espulso con provvedimento del Prefetto di Caltanissetta emesso nei confronti di A.F. (vere generalità dell’imputato) l’1 dicembre 1999 (notificato in pari data), effettivamente eseguito il 27 febbraio 2004 mediante accompagnamento alla frontiera.

Il Tribunale argomentava che l’imputato, espulso dal territorio dello Stato, era sicuramente rientrato in Italia in un periodo di tempo compreso tra il 27 febbraio 2004 e il 17 ottobre 2005, data quest’ultima in cui aveva presentato alla Questura di Palermo, usando le sue vere generalità, il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi familiari, essendo coniugato con una cittadina italiana.

Sottolineava, altresì, che, ai fini del rientro in Italia, A. F. non aveva chiesto alcuna autorizzazione al Ministero dell’Interno, la cui esistenza, persaltro, non era stata neppure prospettata dalla difesa.

Sulla base di queste premesse fattuali, il giudice di primo grado osservava che non si poteva escludere che A., approfittando del fatto che il provvedimento di espulsione recava le sue false generalità, fosse riuscito ad ottenere un visto d’ingresso per motivi familiari, facendo valere il diritto all’unità familiare ex D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 28, comma 2, e che, quindi, sussistesse una situazione analoga a quella disciplinata dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 2, comma 1, lett. c), che, nell’aggiungere l’art. 13, comma 2, stabilisce che la norma non trovi applicazione nei confronti dello straniero già espulso ai sensi dell’art. 13, comma 2, lett. a), per il quale è stato autorizzato il ricongiungimento familiare ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 29. 2. L’1 marzo 2010 la Corte d’appello di Palermo, in riforma della decisione di primo grado, impugnata dal Procuratore generale presso la Corte d’appello di Palermo, dichiarava l’imputato colpevole del reato ascrittogli e, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di dieci mesi di reclusione.

La Corte fondava la sua decisione sulle seguenti argomentazioni.

Il provvedimento prefettizio di espulsione, a differenza dell’ordine di allontanamento emesso dal Questore, non deve contenere la specifica indicazione di ogni singola conseguenza penale derivante dalla sua inosservanza. Pertanto devono trovare applicazione le regole generali circa l’obbligatorietà della legge penale vigente al momento del fatto, tra cui, in particolare, quella della inescusabilità dell’ignoranza della legge penale.

Lo straniero che, espulso dal territorio dello Stato e accompagnato alla frontiera pure in epoca antecedente all’introduzione della L. n. 271 del 2004, rientri in Italia dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina è assoggettato al più severo trattamento sanzionatorio della legge sopravvenuta e non può invocare l’ignoranza della legge penale, così come pure non può richiedere l’applicazione della norma più favorevole vigente al momento della sua espulsione.

La violazione dell’ordine di espulsione mediante intimazione ad allontanarsi nel termine di quindici giorni, come previsto dall’art. 13, comma 5, non può ritenersi sanzionata esclusivamente ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter, ma anche ai sensi della norma tipica.

Alla diversità delle conseguenze derivanti dall’inosservanza dell’intimazione non si è mai accompagnata alcuna differenza con riguardo al divieto di rientro, una volta ottemperato l’ordine di allontanamento, nè alla sanzione, in caso di violazione dello stesso.

La nuova condotta risultava interamente commessa in costanza della normativa che aveva trasformata detta violazione in delitto.

3. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione personalmente l’imputato, il quale formula le seguenti censure.

Lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, dovendosi assimilare la posizione dell’imputato all’ipotesi disciplinata dal D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 5, art. 2, comma 1, lett. c).

Deduce, inoltre, inosservanza della legge penale e vizio della motivazione con riferimento al diniego della sospensione condizionale della pena.

Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

1. Il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 13, prevedeva, in origine, come contravvenzione la condotta dello straniero già espulso ed effettivamente uscito dal territorio nazionale che, in assenza di specifica autorizzazione del Ministro dell’interno, vi rientrasse durante il periodo di interdizione di cui al successivo comma 14.

Con le modifiche apportate dalla L. 30 luglio 2002, n. 189 la pena – ferma restando la configurazione come reato contravvenzionale – è stata inasprita e il periodo di interdizione portato da cinque a dieci anni.

Infine, la L. 12 novembre 2004, n. 271, di conversione del D.L. 14 settembre 2004, n. 271, ha trasformato l’illecito in delitto punito con la reclusione da uno a quattro anni. Di conseguenza, il cittadino extracomunitario che, allontanato dallo Stato prima dell’entrata in vigore della L. n. 271 del 2004, vi rientri sotto la vigenza della nuova disciplina, risponde della fattispecie delittuosa, anche se in ipotesi non al corrente dell’innovazione legislativa, salvo che un’erronea, ma autorevole ed univoca "informazione" o un’altra causa analoga abbiano determinato un’inevitabile ignoranza della illiceità penale della condotta (e non già dell’entità della sanzione irrogabile);

Tale approdo ermeneutico è coerente con i principi enunciati dalla Corte Costituzionale (cfr. sentenza n. 364 del 1998) che ha chiarito che, sebbene non sia configurabile un autonomo dovere di conoscenza delle singole leggi penali, gravano (ex art. 2 Cost.) sui destinatari dei precetti gravano doveri di attenzione, informazione, diligenza, strumentali all’osservanza dei medesimi. La Consulta ha, inoltre, osservato che dall’adempimento o meno di tali doveri dipende la qualificazione dell’ignoranza della legge come inevitabile (e, dunque, scusabile) ovvero come evitabile (e, pertanto, inescusabile).

Ha, infine, precisato che deve di regola ritenersi inevitabile l’ignoranza allorchè l’assenza di dubbi sulla liceità del fatto dipenda dalla personale e non colpevole carenza di socializzazione del soggetto.

2. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di questi principi, mettendo in luce la circostanza che la condotta illecita è stata interamente commessa in costanza della normativa, che ha trasformato la violazione in delitto, e che non poteva applicarsi in via analogica l’eccezionale disciplina derogatoria che la giurisprudenza ha individuato riguardo alla diversa figura criminosa prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5 ter, concernente la differente ipotesi dello straniero espulso e non accompagnato alla frontiera il quale, in assenza di giustificato motivo, si intrattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartito dal Questore ai sensi del comma 5 bis; ordine che, per quanto da quest’ultima disposizione espressamente stabilito, deve essere dato con provvedimento scritto recante l’indicazione delle conseguenze penali della sua trasgressione.

Un analogo sistema informativo non è invece previsto dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, quanto alle conseguenze del rientro dell’espulso in Italia dopo il suo definitivo allontanamento, e ciò in coerenza con il suo onere di informarsi delle condizioni per il legittimo ingresso nello Stato al momento in cui questo avviene.

In tale ipotesi, quindi, riprendono pieno vigore i principi generali del codice penale (art. 3 c.p., comma 1, e art. 5 c.p.), alla stregua dei quali, così come letti e interpretati dalla Corte Costituzionale, la condotta trasgressiva non è scusata nè attenuata dall’eventuale errore sulla sanzione irrogabile (Sez. 1, 17 giugno 2008, n. 25713).

3. Sotto altro profilo, criteri di interpretazione letterale e logico sistematica della disciplina in tema di immigrazione e il divieto di applicazione in via analogica di una previsione (D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 13, così come modificato dal D.Lgs. n. 5 del 2007) riservata ad una diversa situazione, di cui nella specie mancano i presupposti costitutivi, impediscono di ritenere estensibili al caso in esame le regole poste dal D.Lgs. n. 5 del 2007, art. 2, comma 1, lett. c), come invece prospettato dal ricorrente.

4. Non merita accoglimento neppure l’ultima censura, atteso che la sentenza impugnata, ai fini del diniego della sospensione condizionale della pena, ha correttamente valorizzato, come desumibile dal complessivo contesto motivazionale, la qualità del reato commesso e la negativa personalità del ricorrente che ha fatto ricorso a false generalità per eludere le disposizioni in tema di immigrazione.

5. Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2011
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