Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-11-2011) 02-12-2011, n. 44902

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. In data 5.11.2010 la Corte di appello di Brescia in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede emessa il 3.12.2009, per quanto qui interessa, nei confronti di K. M., concedeva allo stesso le circostanze attenuanti generiche e quella di cui all’art. 62 c.p., n. 6 con riferimento al reato di lesioni personali, rideterminando la pena inflitta al predetto in anni cinque e mesi sei di reclusione per i reati di rissa aggravata, tentato omicidio, lesioni personali aggravate dall’uso dell’arma e porto ingiustificato di arma bianca, commessi il (OMISSIS).

2. I Carabinieri di Rovato traevano in arresto tre soggetti avendo accertato che presso un autolavaggio si era verificata una rissa nella quale P.L. riportava due ferite da arma da taglio sulla spalla e sull’avambraccio, mentre H.F. rimaneva colpito al fianco e all’addome, riportando ferite da taglio che richiedevano un immediato intervento chirurgico.

Su indicazione dei testimoni, i Carabinieri procedevano all’inseguimento di un’autovettura a bordo della quale si trovava l’imputato e rinvenivano, nascosto sotto il tappetino dell’auto, un pugnale di 28 cm di lunghezza con lama di 16 cm, sporca di sangue. Lo H. veniva ricoverato con prognosi riservata ed operato d’urgenza per le gravi ferite che gli avevano procurato lesioni interne e shock emorragico.

Dalla ricostruzione dei fatti operata dal giudice di primo grado emergeva che lo H. aveva Incontrato presso l’autolavaggio il suo ex datore di lavoro K.S. col quale aveva iniziato una discussione molto accesa relativamente a compensi arretrati e, quindi, lo aveva colpito con un pugno. Era intervenuto l’imputato, armato di coltello che aveva ferito lo H..

3. K.M. ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, denunciando la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del dolo del reato di tentato omicidio.

Ad avviso del ricorrente, la Corte di merito erroneamente ha fondato la valutazione della sussistenza dell’elemento psicologico tenendo conto anche di elementi estranei e susseguenti al comportamento dell’agente; In particolare, aveva considerato che la vittima aveva corso pericolo di vita a causa di quanto era accaduto dopo il colpo infetto dal ricorrente.

Censura, altresì, che sia il giudice di primo grado che la Corte di appello facciano riferimento alla sussistenza del dolo eventuale che, come è noto, deve ritenersi Incompatibile con il delitto tentato.

Infine, deduce che la valutazione dell’elemento psicologico è stata desunta anche dal numero di coltellate infette alla vittima;

tuttavia, dalla documentazione in atti emerge un dato divergente in ordine al numero delle ferite riportate come si rileva dalla referto del pronto soccorso, allegato al ricorso, nel quale viene indicata la parola ferita al singolare.

Motivi della decisione

Il ricorso, ad avviso del collegio, è manifestamente infondato.

Le doglianze del ricorrente, in gran parte aspecifiche, si risolvono in censure in fatto – del tutto sovrapponibili a quelle poste a fondamento dei motivi di appello – volte ad una valutazione alternativa rispetto a quella del giudice di merito. Il giudice dell’appello, invero, ha operato una valutazione compiuta ed approfondita, ripercorrendo dettagliatamente la motivazione della sentenza di primo grado che ha ritenuto di confermare anche alla luce delle contestazioni difensive che sono state puntualmente esaminate e valutate con argomenti logici, coerenti e privi di contraddizioni.

Il giudice di prime cure aveva ritenuto configurabile il reato di tentato omicidio evidenziando la parte del corpo attinta e l’arma utilizzata dai quali poteva desumersi il dolo diretto dell’imputato a colpire l’avversario in maniera invasiva e pericolosa come risultava dalla documentazione sanitaria in atti. Pertanto, doveva ritenersi sussistente l’elemento psicologico del reato contestato sotto il profilo del dolo alternativo.

Riteneva, conformemente, la Corte territoriale che non potesse revocarsi in dubbio che gli atti posti in essere dall’imputato fossero idonei a provocare la morte del soggetto cui erano indirizzati: era stato utilizzato un pugnale della lunghezza di ben 28 cm. con lama acuminata di 16 cm ed impugnata con fermamano che consente di imprimere ai colpi adeguata forza; tale arma era stata utilizzata indirizzando il colpo alla zona toraco-addominale. La Corte, precisato che nessuna indicazione sul punto era stata fornita dall’imputato, rilevava come dovendosi desumere l’elemento soggettivo dalle caratteristiche della condotta, le sottolineate potenzialità letali dell’arma e la circostanza che l’imputato avesse sferrato ben due pugnalate nei confronti della vittima, come risulta dalla documentazione sanitaria in atti (dimissione del 14 aprile 2008), dovevano far concludere per la sussistenza del dolo omicidiario (p.12). Infatti, la vittima era stata attinta da un colpo al fianco destro penetrante nella cavità addominale dalla quale era derivata una duplice lesione del colon, nonchè, da un colpo parimenti penetrante alla base emltoracica sinistra responsabile della rottura del rene sinistro che fu asportato con un intervento eseguito tre giorni dopo il primo.

Invero, la natura delle ferite dimostrava che i colpi erano stati inferti con violenza e ripetitività; inoltre, la diversa sede attinta da ciascuno dei colpi è significativa dell’intensità dell’atteggiamento aggressivo dell’imputato che, all’evidenza, dopo il primo colpo non aveva desistito affondando la lama del pugnale nuovamente nel corpo del suo antagonista. Tanto dimostrava, ad avviso della Corte, che l’imputato non aveva agito soltanto animato dall’intento di salvaguardare l’incolumità propria e del fratello, quanto per portare offesa all’avversario con le modalità appena indicate.

Sullo specifico punto relativo alla sussistenza del dolo del tentato omicidio, dunque, la Corte territoriale, così come il giudice di primo grado, ha fatto corretta applicazione dei criteri ermeneutici indicati ripetutamente dalla Corte di legittimità, traendo la prova della sussistenza del dolo omicidiario da elementi esterni e, In particolare, da quegli elementi della condotta degli imputati che, per la loro non equivoca potenzialità semantica, sono i più idonei ad esprimere il fine perseguito dall’agente.

Come è noto, infatti, per l’accertamento della sussistenza dell’animus necandi nel tentato omicidio assume valore determinante l’idoneità dell’azione, che va apprezzata in concreto senza essere condizionata dagli effetti realmente raggiunti, con un giudizio prognostico formulato ex post con riferimento alla situazione che si presentava all’imputato al momento dell’azione, in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso particolare.

Nè, invero – contrariamente a quanto assume – la Corte ha fatto ricorso al dolo "eventuale", avendo, al contrario, affermato la sussistenza di circostanze univoche e convergenti per ritenere il dolo alternativo che – diversamente da quello eventuale ipotizzato dalla difesa – sussiste quando l’agente si rappresenta e vuole indifferentemente l’uno o l’altro degli eventi causalmente ricollegabili alla sua condotta cosciente e volontaria.

Nessun pregio – sotto il profilo del travisamento della prova – può avere l’argomento in ordine al dubbio sul numero dei colpi inferti dal ricorrente con il pugnale, tenuto conto che nella sentenza impugnata viene fatta una dettagliata descrizione delle lesioni patite dalla vittima e delle conseguenti patologie facendo riferimento ad atti diversi da quello indicato ed allegato dal ricorrente il quale, peraltro, contiene una descrizione molto sintetica di quanto constatato dal sanitario del pronto soccorso al momento dell’ingresso del paziente.

Il ricorso deve, quindi, essere dichiarato inammissibile.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte cost., sent. n. 186 del 2000) al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro mille alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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