Cass. civ. Sez. III, Sent., 21-06-2012, n. 10305 Mora ed altri inadempimenti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato in data 22.5.2003 il Fallimento n. (OMISSIS) Victor Srl intimava sfratto alla Banca Toscana Spa, conduttrice dell’immobile sito in (OMISSIS), di proprietà della Victor Srl in bonis, per l’asserita morosità dei canoni di locazione dal novembre 2001 al dicembre 2003 pari ad Euro 173.629,93 con contestuale citazione per la convalida e la richiesta di ingiunzione di pagamento per i canoni scaduti.

Costituitosi il contraddittorio, la banca intimata s’opponeva alla convalida, sostenendo di essere creditrice della Victor per una serie di rapporti bancari, dalla stessa intrattenuti con una sua agenzia,per il cui saldo di Euro 1.249.817,76 era sorto un procedimento. Aggiungeva che in data 6.12.2001 aveva comunicato alla locatrice di volere compensare i canoni di locazione con i relativi debiti e che successivamente alla dichiarazione di fallimento della locatrice, s’era insinuata, per la residua somma dell’esposizione debitoria nel passivo della società fallita, previa comunicazione al curatore di volersi avvalere della compensazione per i canoni di locazione, ai sensi dell’art. 1241 c.c. e dell’art. 56, L. Fall..

Successivamente, era intervenuta volontariamente nella fase sommaria la Compagnia Italiana d’Investimenti, divenuta, poi Magiste Real State S.p.a, che aveva fatto presente di essere risultata aggiudicataria dell’immobile in oggetto e di conseguenza aveva chiesto il pagamento dei canoni di locazione, previo accertamento della persistente morosità con decorrenza dal 7 marzo 2002, data della dichiarazione di fallimento della Victor S.r.l. – Mutato il rito in quello speciale locativo ai sensi degli artt. 426 e 667 c.p.c., in esito al giudizio, il Tribunale adito respingeva la domanda proposta dal Fallimento Victor, dichiarava inammissibile la domanda proposta dall’intervenuta Magiste Real. Avverso tale decisione proponeva appello il Fallimento precisando d’avere notificato il ricorso alla Magiste Real State S.p.A ai soli fini della denuntiatio litis, non intendendo proporre alcuna domanda contro la stessa. In esito al giudizio, la Corte di appello di Roma con sentenza depositata il 27 marzo 2007 accoglieva per quanto di ragione l’impugnazione e condannava la Banca Toscana a pagare al Fallimento i canoni di locazione maturati per l’importo di Euro 173.629,93 oltre interessi di legge dalle singole scadenze. Avverso tale sentenza, la soccombente proponeva ricorso per cassazione articolato in quattro motivi, illustrato da memoria. Resiste con controricorso il Fallimento Victor SRL.

Motivi della decisione

Con la prima doglianza, deducendo la violazione e la falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di Appello "fonda la sua decisione su argomentazioni nuove mai proposte precedentemente dalla Curatela e come tali inammissibili". E ciò, in quanto solo in appello il Fallimento avrebbe dedotto l’inesistenza del maggior credito vantato dalla Banca mentre in primo grado si era limitato a contestarne la compensabilità ex art. 56, L. Fall., implicitamente riconoscendolo. Del resto, la Banca in appello aveva prontamente eccepito la novità dell’eccezione formulata dal Fallimento ma l’eccezione era stata inopinatamente disattesa dalla Corte di merito.

La doglianza, inammissibile per difetto di autosufficienza nella parte in cui la ricorrente ha omesso di riportare in ricorso i passi della comparsa di costituzione, depositata nel giudizio di secondo grado, in cui avrebbe sollevato l’eccezione di novità della questione, risulta altresì infondata, alla luce del rilievo che, contrariamente all’assunto della ricorrente, come risulta dalla sentenza impugnata, la Curatela non aveva affatto riconosciuto, sia pure implicitamente, il credito vantato dall’istituto bancario. Ed invero, "il fallimento – così scrivono i giudici di seconde cure – ha subito contestato la sussistenza del credito affermato dalla banca, come si evince dall’esame dei singoli verbali d’udienza, delle memorie e delle comparse in atti. Nè può ritenersi che nella specie si tratti di contestazione generica, in quanto il fallimento in prime cure ha subito contestato la documentazione prodotta in semplice copia ed inoltre ha provocato in sede fallimentare l’esclusione del credito di cui alla domanda di ammissione al passivo della banca, provocando il giudizio di opposizione che ancora pende tra le parti" (cfr. pagg. 8 e 9 della sentenza impugnata).

Passando all’esame della seconda doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione di legge (art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c.) nonchè sotto il profilo della motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria, va osservato che la censura si fonda sulla considerazione che la Corte di Appello avrebbe sbagliato quando ha ritenuto non raggiunta la prova del maggior credito vantato dalla Banca nei confronti del Fallimento. Al contrario, "gli allegati dal n. 3 al 9 – così scrive la ricorrente – offrono … inequivocabile contezza dell’esistenza di una posizione a contenzioso recante n. 146043,94 aperta presso la Banca Toscana ed intestata alla Victor Spa, a parziale deconto della quale venivano, di volta in volta, scontati per compensazione i canoni di affitto dovuti al netto dell’imposta Iva che l’Istituto provvedeva diligentemente a versare a fronte delle fatture emesse dal locatore".

La doglianza è inammissibile per un triplice ordine di considerazioni. In primo luogo, occorre considerare che la ricorrente non ha osservato l’onere della specifica indicazione ai sensi dell’art. 366, n. 6, previsto dalla norma a pena di inammissibilità del ricorso, avendo omesso di specificare nel ricorso stesso in quale sede processuale i documenti cui accenna sarebbero stati prodotti. Ed appena il caso di chiarire che indicare un documento significa, necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, dire dove è rintracciabile nel processo (cfr Cass. ord. 29279/08). Sul punto, le Sezioni Unite hanno ribadito che la specifica indicazione richiesta postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, che esso sia prodotto in sede di legittimità (Sez. Un. 28547/08, 23019/07).

In secondo luogo, deve rilevarsi che la ricorrente ha omesso di specificare, nel ricorso per cassazione, il contenuto degli atti indicati mediante la loro sintetica esposizione ovvero, all’occorrenza, di procedere alla loro integrale trascrizione, non essendo assolutamente sufficiente all’uopo il semplice richiamo ai documenti prodotti. Ed invero, il ricorrente che denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione al contenuto di un atto, non può limitarsi a specificare la singola norma di cui, appunto, si denunzia la violazione, ma deve assolvere l’onere di riportare – mediante l’integrale trascrizione – il contenuto dell’atto medesimo in quanto il ricorso per cassazione deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza impugnata ed a consentire l’apprezzamento da parte del giudice di legittimità della fondatezza di tali ragioni. Il controllo deve essere infatti svolto sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, mediante l’accesso a fonti esterne e l’esame diretto degli atti di causa, che resta precluso alla Corte di cassazione.

In terzo luogo, l’inammissibilità, discende dal rilievo che la deduzione del vizio motivazionale non risulta accompagnato dal necessario momento di sintesi, (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, oltre a richiedere sia l’indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si assuma l’omissione, la contraddittorietà o l’insufficienza della motivazione sia l’indicazione delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione (Cass. ord. n. 16002/2007, n. 4309/2008 e n. 4311/2008).

Restano da esaminare le ultime due doglianze, entrambe proposte sia sotto il profilo della violazione di legge sia sotto il profilo del vizio motivazionale, le quali prospettano ragioni di censura intimamente connesse tra loro, essendo entrambe fondate sulla mancata compensazione dei crediti vantati dalla Banca con quelli vantati dal Fallimento. Ed invero, con la terza censura la ricorrente si duole deducendo che la Corte territoriale avrebbe errato quando ha statuito che la data di dichiarazione di fallimento si pone come elemento di discriminazione fra i crediti della massa fallimentare e quelli preesistenti del fallito, con conseguente impossibilità di compensazione per mancanza di reciprocità tra i crediti, mentre con la quarta censura chiede – così, nel quesito di diritto – che la Corte di Cassazione affermi il principio secondo cui la mera contestazione sulla inapplicabilità della compensazione non comporta altresì contestazione in merito alla sussistenza del credito … con la conseguenza che "anche con riferimento ai crediti della Victor maturati precedentemente al fallimento nessun dubbio vi è in merito alla possibile compensazione degli stessi con il credito della banca, chiaramente liquido e certo per i motivi di cui sopra …".

A riguardo, va osservato in primo luogo che l’esame di entrambe le doglianze appare superfluo alla luce del rigetto del secondo motivo di impugnazione con cui la ricorrente aveva censurato la sentenza di appello nella parte in cui ha ritenuto non raggiunta la prova del maggior credito vantato dalla Banca nei confronti del Fallimento. Ed invero merita di essere condiviso l’assunto della Corte di appello quando, sulla premessa che la Banca non avesse fornito la necessaria prova (in particolare nè documenti nè estratti conto), comprovante l’asserita esistenza del suo credito, esistenza peraltro contestata dal Fallimento, ha concluso il suo percorso argomentativo scrivendo testualmente "le argomentazioni sopra esposte basterebbero per l’accoglimento in toto del gravame (proposto dall’appellante Fallimento) in quanto comportano il venir meno del presupposto della compensabilità dei due crediti" (cfr pag. 9 della sentenza impugnata).

Ma vi è di più. Ed invero, l’inammissibilità delle due censure deriva altresì dal rilievo che entrambi i quesiti di diritto, prescritti dall’art. 366 bis c.p.c., che accompagnano le doglianze,non sono stati formulati correttamente. A riguardo, è opportuno premettere che la terza doglianza, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione di legge (art. 56, L. Fall. e artt. 1243 e 1246 c.c.) nonchè sotto il profilo della motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria è stata conclusa con la richiesta rivolta a questa Corte di Cassazione di esaminare ed affermare il principio secondo cui "la disposizione contenuta nell’art. 56, L. Fall. rappresenta una deroga alla par condicio creditorum a favore di soggetti che si trovino nella condizione di essere al contempo creditori e debitori del fallito, non rilevando il momento in cui l’effetto compensativo si produce e ferma restando la mera esigenza dell’anteriorità del fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni opposte, con la conseguente compensabilita dei crediti vantati dall’Istituto per l’esposizione del c/c n. (OMISSIS) chiuso il (OMISSIS), mai contestata nè dalla Victor in bonis nè dalla successiva Curatela, con quanto vantato dal Fallimento per il contratto di locazione sorto in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento e divenuto esigibile in parte del fallimento ed in parte successivamente. E che pertanto, nel caso di specie, erroneo è l’assunto secondo cui mancherebbe corrispondenza tra i soggetti e quindi reciprocità delle rispettive obbligazioni e crediti con la conseguente legittima compensabilità legale e/o giudiziale dei crediti della banca con quelli della Victor sia anteriori che successivi al fallimento".

Quanto all’ultima doglianza, articolata sotto il duplice profilo della contraddittoria motivazione e della violazione e falsa applicazione degli artt. 1243 e 1246 c.c., la stessa è conclusa dalla richiesta rivolta a questa Corte di esaminare ed affermare il principio secondo cui "ai sensi e per gli effetti dell’art. 1243 c.c. e ss la mera contestazione sulla inapplicabilità della compensazione non comporta altresì contestazione in merito alla sussistenza del credito ed anzi, essendo l’esistenza del predetto credito un prius logico rispetto alla suindicata contestazione, la stessa ne conferma l’esistenza. Pertanto, anche con riferimento ai crediti della Victor maturati precedentemente al fallimento nessun dubbio v’è in merito alla possibile compensazione degli stessi con il credito della banca, chiaramente liquido e certo per i motivi di cui sopra e comunque con il passaggio a sofferenza della posizione ovvero, al più tardi, alla data della sentenza dichiarativa di fallimento nonchè esigibile in quanta già scaduto".

Ora, a parte il fatto che, in entrambe le censure, il vizio motivazionale dedotto non è accompagnato da alcun momento di sintesi, si deve aggiungere che costituisce orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui, in caso di deduzione di violazione di legge, l’ammissibilità del motivo di impugnazione è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta ed autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisce necessariamente il segno della decisione (Sez. Un. 28054/08) e che deve escludersi che il quesito possa essere integrato dalla Corte attraverso un’interpretazione della motivazione (Cass. 14986/09).

Nel caso di specie, il quesito formulato non presenta i requisiti indicati, non consistendo affatto in un interrogativo che contenga, sia pure sintetizzandola, l’esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito;

nonchè la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; nonchè, ed infine, la diversa regola di diritto che, ad avviso della ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie, in modo da circoscrivere l’oggetto della pronuncia nei limiti di un accoglimento o di rigetto del quesito stesso (cfr Sez. Un. n. 23732/07, n. 20360 e n. 36/07).

Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2012

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