Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-11-2011) 02-12-2011, n. 44882

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza n 8363, pronunciata in data 21/1/2011, la sesta sezione penale di questa Corte rigettava i ricorsi proposti da S. W. e Z.Z. – imputati, in concorso, dell’art. 337 c.p. – avverso la sentenza del 30/11/2009 della Corte di Appello di Roma.

2. Avverso la suddetta sentenza, entrambi i condannati, a mezzo del comune difensore, con un unico ricorso, hanno proposto ricorso per cassazione ex art. 625 bis c.p.p. deducendo quanto segue: la Corte di Cassazione, nell’impugnata sentenza, aveva rigettato i ricorsi, affermando che "la valutazione offerta dai giudici di merito di primo e secondo grado è immune dai vizi denunciati, posto che esattamente si è escluso che le operazioni di sfratto del locale fossero concluse, non essendo sufficiente a tanto la sola iniziale operazione di sostituzione della serratura di ingresso, occorrendo, invece, che si effettuasse la formale immissione in possesso dell’avente diritto, operazione che, appunto, era ancora in corso, all’atto dell’intervento contro i verbalizzanti da parte degli imputati ricorrenti. E che costoro fossero consapevoli e coscienti della vicenda, lo conferma quanto logicamente segnalato nell’impugnata sentenza a motivata esclusione dell’asserita buona fede. Se pacifica sembra essere in termini di oggettività della condotta violenta quella della donna è altrettanto a dirsi per quella che dell’uomo che, come puntualizzano i giudici di merito, ha, in ogni caso, dato man forte alla moglie con il partecipare almeno alla fase iniziale dell’azione, poi rassegnandosi agli sviluppi della situazione".

Sennonchè, ad avviso dei ricorrenti, sarebbe di tutta evidenza "che la pronuncia della Suprema Corte sia stata condizionata dall’errore presente nella parte motiva, sostanziatosi nell’affermare che l’operazione di sfratto del locale non si fosse conclusa con l’operazione di sostituzione della serratura di ingresso. Non v’è dubbio che si tratti di errore di fatto e non di diritto" e ciò perchè, nella fattispecie, "nella fattispecie, è palese che la serratura del locale oggetto di sfratto fosse stata già sostituta, perchè è la stessa sentenza della Suprema Corte a confermarlo. Di conseguenza, le chiavi del locale erano state sostituite e l’inquilino/detentore era già stato spogliato del possesso del bene.

L’atto, quindi, era concluso". Di conseguenza, poichè la procedura di sfratto si era conclusa (con la sostituzione della serratura e l’immissione nel possesso della parte istante) la condotta posta in essere dai sigg.ri W.S. e Z.Z. era stata successiva rispetto alla fase del procedimento e, quindi, non era possibile ascrivere ai medesimi la fattispecie tipizzata all’art. 337 c.p. non essendo ipotizzabile una condotta idonea ad opporsi all’atto che il p.u. stava compiendo.

Con memoria depositata nei termini, i ricorrenti hanno ribadito le proprie ragioni illustrando ulteriormente il motivo di ricorso.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente infondato per le ragioni di seguito indicate.

2. In punto di diritto, va osservato che, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall’art. 625 bis c.p.p., consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso. Di conseguenza: 1) qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio; 2) sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonchè gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie: ex plurimis SS.UU. 16103/2002 Rv. 221280 – Cass. 6770/2008 Rv. 239037. 3. Nel caso di specie, come risulta dal contenuto del ricorso, il ricorrente non si duole di alcun errore di fatto (nel senso appena specificato), ma di un pretesa errata valutazione degli elementi fattuali in cui sarebbe incappata questa Corte la quale, nel prendere espressamente in esame il motivo dedotto dai ricorrenti lo aveva disatteso con la motivazione supra riportata in parte narrativa. Di conseguenza, poichè questa Corte ha espressamente preso in esame il motivo di ricorso, non è ipotizzabile alcun errore di fatto in quanto, a ben vedere, i ricorrenti non fanno altro che riproporre, negli stessi termini, la medesima questione di fatto (e di diritto) che era stata presa in esame e disattesa in tutti e tre i gradi di giudizio. 4. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00 ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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