Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-11-2011) 02-12-2011, n. 44881 Applicazione della pena

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. R.R. ha proposto ricorso per cassazione – per violazione dell’art. 129 c.p.p. sotto il profilo dell’errata qualificazione giuridica del fatto addebitatole al capo a) dell’imputazione (ricettazione) – avverso la sentenza pronunciata in data 25/03/2011 con la quale il g.m. del Tribunale di Chivasso le aveva applicato la pena concordata con il P.M. 2. La censura è manifestamente infondata per le seguenti ragioni:

– costituisce giurisprudenza consolidata di questa Corte, dalla quale non vi è motivo di discostarsi, che, una volta intervenuto fra le parti l’accordo e questo sia stato ratificato dal giudice (come appunto, nel caso di specie), il medesimo non possa essere più retratto da alcuna delle parti al fine di prospettare censure con riferimento ad eventuali nullità verificatesi nella fase procedimentale, alla sussistenza e alla soggettiva attribuzione del fatto, alla applicazione e comparazione delle circostanze, all’entità e modalità di applicazione della pena, nonchè alla qualificazione giuridica del fatto;

– è vero che opera pur sempre l’obbligo della motivazione ex art. 125 c.p.p. e art. 111 Cost. e l’imputato è legittimato all’impugnazione anche in caso di accordo ratificato dal giudice, allorchè segnali l’esistenza di vizi della decisione relativi al suo proscioglimento ex art. 129 c.p.p.. Peraltro, sul punto, questa Corte ha reiterataraente affermato che, in funzione della particolarità del rito e della centralità dell’atto negoziale che lo caratterizza, occorre una specifica indicazione di tutti gli elementi strutturali della motivazione "soltanto nel caso in cui dagli atti o della deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente in caso contrario, una motivazione consistente nella enunciazione anche implicita che è stata compiuta la verifica richiesta della legge e che non ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento ex art. 129 c.p.p.": Cass. S.U. 27.3.92 – Di Benedetto; S.U. 27.9.95 n. 18 – Serafino; Cass. 5240/2009;

– sulla base di tali principi deve ritenersi che il g.u.p. ha operato il doveroso controllo sull’insussistenza delle condizioni ex art. 129 c.p.p., rilevando che dagli atti, analiticamente indicati, non risultavano elementi evidenti che potessero portare ad una pronuncia di proscioglimento, ai fatti era stata data la corretta qualificazione giuridica e la pena era congrua;

– tanto basta per ritenere adempiuto all’obbligo di motivazione richiesto sul punto.

3. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.500,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500.00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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