Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-11-2011) 02-12-2011, n. 44866 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza in data 8/02/2011, la Corte di Appello di Catania, decidendo in sede di rinvio, confermava la sentenza con la quale in data 25/10/2006, il tribunale di Catania, sezione distaccata di Adrano, aveva ritenuto A.G. responsabile del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 (detenzione per uso non esclusivamente personale e cessione di eroina).

2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. Sostiene il ricorrente che il quantitativo di droga sequestratogli avrebbe dovuto essere considerato rientrante nel comma quinto del citato articolo per evitare che si verifichi una irragionevole disparità di trattamento fra la detenzione di cocaina ed eroina, posto che, secondo "la tabella di cui al D.M. 11 aprile 2006, nell’un caso (cocaina) la quantità minima è pari a mg. 150, nell’altro (eroina) si scende sino a mg 25. Ciò praticamente, equivale a dire che con un grammo di principio attivo possono ricavarsi in caso di eroina 40 dosi, di cocaina 6,6 dosi". La Corte territoriale, infine, non si sarebbe attenuta ai parametri indicati da questa Corte per stabilire se si tratti dell’ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 o comma 5. 3. Il ricorso, nei termini in cui è stato dedotto, è manifestamente infondato.

Quanto all’irragionevolezza stabilita nel D.M. 11 aprile 2006, è appena il caso di rilevare che il ricorrente assimila due sostanze stupefacenti completamente diverse, sicchè non è chiaro perchè in entrambe avrebbe dovuto essere considerata la stessa quantità minima.

Quanto al fatto che la Corte non si sarebbe attenuta ai criteri indicati dalla giurisprudenza di questa Corte, il ricorrente non si è minimamente peritato di illustrare come e perchè la Corte territoriale non vi si sarebbe adeguata: il che rende il ricorso generico ed aspecifico.

4. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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