Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 21-06-2012, n. 10285 Giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso ex art. 1170 cod. civ. e art. 703 cod. proc. civ., G.A. e Ge.An. esperivano azione di manutenzione din-nanzi al Tribunale di Catania, sezione distaccata di Bronte, sostenendo che il Comune di Bronte aveva posto in essere azioni di disturbo e di molestia del possesso del terreno di loro proprietà e della stradella privata ad esso adiacente, sito in (OMISSIS), in particolare notificando, al solo G., un provvedimento qualificato come "determinazione n. 111 dell’8.06.00" a firma del "dirigente del 5^ settore Geom. D. A.", avente per oggetto "rimozione di recinzione e sgombero suolo stradale abusivamente occupato in Contrada (OMISSIS)", con il quale si affermava che "le opere di recinzione così come effettuate, impediscono la libera circolazione dei mezzi agricoli utilizzati da altri cittadini per il raggiungimento delle loro proprietà situate a monte".

I ricorrenti, sul presupposto che il Comune avesse agito sine titulo e che avesse posto in essere azioni di disturbo e di molestia chiedevano al giudice ordinario la tutela del proprio possesso.

Il Comune di Bronte si costituiva ed eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e comunque la carenza dei presupposti della esperita azione di manutenzione.

L’adito Tribunale dichiarava inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione del giudice ordinario.

I ricorrenti proponevano allora appello, assumendo che il provvedimento avesse valore di sentenza, chiedendone la riforma con affermazione della giurisdizione del giudice ordinario e con rimessione al Tribunale competente ai sensi dell’art. 353 cod. proc. civ..

Nella resistenza del Comune, la Corte d’appello di Catania, con sentenza resa pubblica mediante deposito il 19 maggio 2005, rigettava il gravame.

Premesso che correttamente era stato proposto appello, posto che il Tribunale aveva concluso il procedimento possessorio negando la giurisdizione, provvedendo sulle spese e senza fissare l’udienza di prosecuzione per il merito, la Corte d’appello di Catania ha ritenuto incontroverso che gli appellanti, proprietari di un terreno in (OMISSIS), avessero eseguito opere di recinzione del proprio terreno invadendo parte della sede stradale e che a seguito di ciò il Comune di Bronte, qualificando la strada come "comunale", notificò al G. la determinazione dirigenziale n. 111 in data 8 giugno 2000, con la quale, premesso che "le opere di recinzione così come effettuate, impediscono la libera circolazione dei mezzi agricoli utilizzati da altri cittadini per il raggiungimento delle loro proprietà situate a monte", veniva intimata la demolizione delle opere di recinzione, il rilascio della sede stradale accorpata alla proprietà dei G. e il ripristino della pavimentazione stradale.

La Corte d’appello, quindi, ha rilevato che il provvedimento non risultava essere stato impugnato dinnanzi ai giudice amministrativo, avendo gli appellanti preferito chiedere al Tribunale ordinario, in via di urgenza, di "sospendere o eliminare gli effetti del provvedimento notificato al ricorrente in data 13/06/2000".

Prendendo in esame il motivo di gravame con il quale gli appellanti sostenevano la giurisdizione del giudice ordinario per avere il Comune agito sine titulo, la Corte d’appello ha rilevato che, nella specie, l’azione possessoria non era stata esperita avverso un comportamento meramente materiale dell’amministrazione, ma avverso la citata determinazione n. 111 in data 8 giugno 2000, che costituiva un provvedimento amministrativo, esaurientemente motivato, in cui erano state esposte le ragioni della sua adozione e gli scopi da perseguire (la tutela della strada ritenuta pubblica); e cioè un provvedimento amministrativo avverso il quale era configurabile la sola tutela dinnanzi al giudice amministrativo.

Per la cassazione di questa sentenza G.A. e Ge.An. hanno proposto ricorso sulla base di cinque motivi, illustrati da memoria; ha resistito, con controricorso, il Comune di Bronte.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 1, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 703 cod. proc. civ., artt. 1168 e 1170 cod. civ. e della L. n. 2248 del 1865, art. 4, All. E, sostenendo che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che l’azione possessoria fosse stata proposta avverso "l’emanazione di un atto amministrativo anzichè avverso un comportamento meramente materiale".

Premesso che la giurisdizione si determina sulla base della domanda e dal cosiddetto petitum sostanziale, il quale si identifica anche e soprattutto con la causa petendi, i ricorrenti deducono che l’azione possessoria era stata proposta perchè il Comune di Bronte aveva molestato il loro possesso ponendo in essere attività materiali, compiute sine titulo, prima ancora di qualsivoglia successivo provvedimento. In particolare, i Vigili urbani di Bronte, nel mentre erano in corso i lavori di recinzione, avevano posto in essere "condotte ostruzionistiche – rectius attività materiali idonee ad invadere la sfera giuridica e patrimoniale dei ricorrenti – dirette a impedire agli esponenti il legittimo esercizio dei propri diritti soggettivi ed il godimento di beni di loro legittima proprietà", "in difetto di qualsivoglia provvedimento autoritativo/ablativo idoneo a "sottrarre al privato la proprietà o la disponibilità del bene ovvero diretto a mutarne il modo di godimento"" e ciò sulla base dell’affermato, ma non provato, carattere pubblico della stradella sulla quale insisteva la recinzione.

I ricorrenti sostengono quindi che, a fronte delle loro rimostranze relativamente a tale condotta dei Vigili, il Comune aveva risposto con la determinazione citata, ma senza giustificare in alcun modo il denunciato abuso.

La individuazione del petitum e della causa petendi era dunque agevole sulla base di quanto dedotto nel ricorso ex art. 1170 cod. civ., nel quale si chiedeva "previo accertamento e declaratoria dell’avvenuta molestia "nel legittimo possesso e godimento del terreno da sempre goduto in (OMISSIS) e della stradella privata", di ordinare al Comune di Bronte, in persona del sindaco pro tempore, "la cessazione della illecita turbativa del possesso pacificamente esercitato e goduto dai ricorrenti da tempo, emettendo ogni provvedimento utile al fine". Oggetto del giudizio possessorio non era dunque la impugnativa di un provvedimento amministrativo, ma la richiesta di cessazione della turbativa o molestia.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 703 cod. proc. civ., artt. 1168 e 1170 cod. civ. e della L. n. 2248 del 1865, art. 4, All. E, sostenendo che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che l’azione da essi proposta fosse rivolta avverso l’emanazione di un atto amministrativo anzichè avverso un comportamento meramente materiale, con conseguente applicabilità del citato art. 4. Al contrario, l’azione denunciava le condotte ostruzionistiche dei vigili urbani, che integravano vere e proprie molestie del possesso poste in essere sine titulo, in difetto cioè di un qualsivoglia provvedimento autoritativo/ablativo idoneo a sottrarre al privato la proprietà o la disponibilità del bene ovvero diretto a mutarne il modo di godimento. La Corte d’appello non avrebbe quindi tenuto conto della esatta portata della domanda proposta, giacchè nel ricorso possessorio non vi era alcuna richiesta direttamente riferita al provvedimento amministrativo (determinazione 8 giugno 2000); la medesima Corte non avrebbe poi fatto corretta applicazione del principio secondo cui l’esperibilità dell’azione possessoria nei confronti della P.A. va riconosciuta allorquando quest’ultima abbia agito iure privatorum, ovvero in base a provvedimenti adottati in difetto del relativo potere o per scopi differenti dalle finalità istituzionali.

In ogni caso, osservano i ricorrenti, quand’anche si volesse ritenere la condotta dei Vigili urbani attuativa della determinazione emessa dal Comune di Bronte in data 8 giugno 2000, ugualmente la stessa condotta integrerebbe la molestia del possesso, non configurando il citato provvedimento esercizio di potestà ablatoria, risultando quindi del tutto inidoneo a limitare il possesso dei privati.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano vizio di omessa motivazione per omessa e/o erronea valutazione delle prove e per omesso esame di documenti, sostenendo che, qualora la Corte d’appello avesse esaminato compiutamente il materiale probatorio acquisito agli atti, avrebbe certamente appurato che la strada asseritamente comunale era a tutti gli effetti privata e che, quindi, il Comune aveva agito sine titulo, non potendo ingerirsi in attività private in assenza di un qualsiasi potere giuridico ad esso conferito dalla legge. In particolare, la Corte d’appello avrebbe potuto accertare la natura privata della stradella e del muro di recinzione, peraltro già esistente, e l’assenza di prova dell’assunto del comune circa la asserita natura pubblica della stessa stradella, non essendo stato dimostrato che questa soddisfacesse le esigenze di un numero indeterminato di utenti.

4. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano mancanza, insufficienza e carenza di motivazione in relazione alla L. n. 2248 del 1865, art. 4, All. E, sostenendo che la Corte d’appello non avrebbe esplicitato le ragioni che la hanno indotta a ritenere la determinazione n. 111 in data 8 giugno 2000 un atto pubblico imperativo, con carattere ablativo; tale determinazione, del resto, era successiva alle turbative e molestie denunciate, compiute sulla base di mere enunciazioni verbali non supportate da idoneo provvedimento ablativo.

5. Con il quinto mezzo, i ricorrenti denunciano "nullità della sentenza e/o comunque del procedimento e comunque violazione di norme di diritto e comunque mancanza di motivazione su un punto decisivo della controversia. Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 in relazione alla L. 30 gennaio 2004, n. 12, art. 43-bis, parte seconda (recte: 1941)".

La censura si riferisce al rilievo che l’ordinanza de Tribunale, con la quale era stato dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinano, era stata pronunciata da un giudice onorario, in violazione del citato art. 43-bis, che non avrebbe potuto in alcun modo pronunciarsi in materia cautelare.

6. I primi quattro motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

6.1. Occorre premettere che questa Corte ha avuto modo di affermare che, "con riguardo alle azioni possessorie nei confronti della pubblica amministrazione, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario ogni qual volta, in relazione al petitum sostanziale della sottostante pretesa di merito, la domanda risulti diretta a tutelare una posizione di diritto soggettivo, ovvero sia rivolta contro un comportamento di fatto della P.A. il quale, ancorchè diretto al perseguimento di finalità di ordine generale, non sia attuato in esecuzione di poteri pubblici o di provvedimenti amministrativi (nella specie è stata affermata la giurisdizione del giudice ordinario con riferimento all’azione di manutenzione promossa dai proprietari di una strada interpoderale nei confronti del Comune che, assumendo trattarsi di strada vicinale gravata da uso pubblico, aveva provveduto a rimuovere una sbarra apposta al suo inizio)". (Cass., S.U., n. 9206 del 1994).

Le azioni possessorie sono, quindi, "esperibili davanti al giudice ordinario nei confronti della P.A. (e di chi agisca per conto di essa) quando il comportamento della medesima non si ricolleghi ad un formale provvedimento amministrativo, emesso nell’ambito e nell’esercizio di poteri autoritativi e discrezionali ad essa spettanti, ma si concreti e si risolva in una mera attività materiale, non sorretta da atti o provvedimenti amministrativi formali; ove risulti, invece, sulla base del criterio del petitum sostanziale, che oggetto della tutela invocata non è una situazione possessoria, ma il controllo di legittimità dell’esercizio del potere, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, competente essendo il giudice amministrativo (nella specie, le S.U. hanno affermato la giurisdizione dell’A.G.O. in relazione ad un giudizio possessorio promosso da un privato nei confronti di un Comune che – avendo deliberato l’esecuzione di lavori di ristrutturazione di un immobile oggetto del proprio patrimonio disponibile, senza in alcun modo indicare, nei propri provvedimenti, la necessità di occupare beni appartenenti a privati – aveva abusivamente invaso una strada privata, rimuovendo il cancello d’ingresso ed elevando un muro in violazione delle distanze legali)".

(Cass. S.U., n. 23561 del 2008).

In sostanza, perchè le azioni possessorie siano esperibili nei confronti della P.A., è necessario che il comportamento di quest’ultima non si estrinsechi in atti o provvedimenti emessi nell’ambito e nell’esercizio dei poteri ad essa spettanti e aventi contenuto, in senso lato, ablativo, ossia idonei ad incidere sulla sfera giuridica del privato, ma si concreti in una mera attività materiale lesiva di beni dei quali questi assuma la proprietà o il possesso. (Nella specie, in relazione ad azione promossa da privato che, affermando la proprietà di un’area adiacente a strada pubblica, intendeva reagire contro l’attività del comune che, nel diverso presupposto che tale area fosse parte integrante della strada adiacente, aveva emesso ordinanza volta ad impedirne l’utilizzazione come parcheggio, la S.C. ha ritenuto l’ammissibilità dell’azione possessoria, rilevando che l’ordinanza comunale era da intendersi come semplice provvedimento di polizia del traffico emesso nel presupposto che l’area in questione fosse parte integrante della vicina strada comunale, onde tale provvedimento non poteva neanche astrattamente configurarsi come ablativo, ma, concretando turbative e molestie, giustificava l’interesse del privato a rivolgersi al giudice dei diritti al fine di eliminare ogni incertezza sulla reale situazione dominicale del bene)". (Cass., S.U., n. 460 del 2000).

6.2. Nel caso di specie, risulta evidente dalla lettura del ricorso possessorio che gli odierni ricorrenti, assumendo che il Comune di Bronte, e per esso i Vigili urbani, avesse posto in essere azioni di disturbo e di molestia del possesso da essi vantato su un terreno e su una adiacente stradella privata, di loro esclusiva proprietà, e dolendosi del fatto che il Comune, con determinazione in data 8 giugno 2000, sul presupposto che le opere di recinzione così come effettuate impedivano la libera circolazione dei mezzi agricoli usati da altri cittadini per il raggiungimento delle loro proprietà situate a monte, avesse disposto la rimozione della recinzione e lo sgombero del suolo stradale occupato in Contrada Arciprete, e cioè dell’area che essi ricorrenti ritenevano essere di loro proprietà, hanno sollecitato l’adozione dei provvedimenti immediati previsti dalla legge "anche diretti a sospendere o eliminare gli effetti del provvedimento notificato al ricorrente", e cioè proprio della determinazione in data 8 giugno 2000.

Orbene, non può essere revocato in dubbio che la citata determinazione, degli effetti della quale i ricorrenti hanno chiesto la sospensione o la eliminazione, costituisse un provvedimento amministrativo adottato dal Comune nell’esercizio delle proprie attribuzioni in materia di urbanistica e di circolazione stradale, con la conseguenza che, per effetto della adozione dello stesso, la posizione soggettiva vantata dai ricorrenti non poteva ritenersi suscettibile di tutela mediante la proposizione di un’azione possessoria nei confronti della P.A, In sostanza, lungi dal potersi ravvisare, nel caso di specie, una molestia o un disturbo di fatto, per effetto di una mera attività materiale o sine titulo del Comune e, per esso, dei suoi funzionari, nell’esercizio del possesso da parte dei ricorrenti dell’area destinata a stradella e che essi assumevano essere di loro proprietà ed esente finanche da servitù pubblica di transito, risulta del tutto evidente l’esercizio, da parte del Comune, di una potestà pubblicistica, concretizzatasi nell’adozione della richiamata determinazione e nella imposizione agli odierni ricorrenti di un ordine di rimozione della recinzione e di sgombero dell’area in questione. Nè può sostenersi, come preteso dai ricorrenti, che la determinazione dirigenziale costituisca un’attività priva di titolo; al contrario, trattasi di provvedimento amministrativo adottato nell’ambito delle competenze comunali, che potrà essere o no legittimo, ma che certamente non può essere degradato a mera attività materiale, avverso la quale sia esperibile una tutela possessoria.

Correttamente, dunque, la Corte d’appello ha confermato la statuizione del Tribunale, di difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria.

7. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile, atteso che con esso i ricorrenti prospettano una questione che, dalla sentenza impugnata, non risulta essere stata devoluta alla cognizione del giudice di appello; nè, in proposito, i ricorrenti stessi denunciano una omessa pronuncia, limitando le proprie censure alla denunciata violazione delle norme in tema di competenza dei giudici onorari di tribunale.

8. In conclusione, dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte di cassazione, pronunciando a Sezioni Unite, dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo; rigetta il ricorso;

condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 3.500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte suprema di cassazione, il 13 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2012

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