Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 22-06-2012, n. 10436 Licenziamento per causa di malattia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 21 novembre 2009, la Corte d’Appello di Roma respingeva il gravame svolto da C.M. contro la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda volta ad ottenere la nullità/illegittimità del licenziamento intimato da Poste italiane s.p.a. per superamento del periodo di comporto, la reintegrazione in mansioni compatibili con lo stato di salute o, in sostituzione, la corresponsione di un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con condanna al risarcimento del danno; la dichiarazione di illegittimità della sanzione disciplinare per assenza alla visita domiciliare di controllo; il diritto a percepire i ratei di tredicesima e quattordicesima mensilità relativi all’anno 2000 ed a percepire l’indennità sostitutiva delle ferie non godute dal 1996.

2. La Corte territoriale puntualizzava che:

– C. è stato licenziato, con lettera data 14 marzo 2000, per superamento del periodo di comporto perchè assente dal servizio, nell’arco di quattro anni (dal 9.10.1996 al 14.3.2000), per un totale di 1.191 giorni;

– il limite di conservazione del posto di lavoro era fissato, a norma dell’art. 18, comma 2 c.c.n.l. del 1994, in 24 mesi di assenza entro l’arco temporale di 48 mesi consecutivi, non computati i periodi di assenza dovuti ad infortuni sul posto di lavoro o a malattia professionale;

– il dipendente contestava che in due occasioni (28.8.1998 e 27.11.1998) non gli era stato consentito, dal datore di lavoro, riprendere servizio e che il giudice di primo grado, che non aveva accolto l’istanza volta a dimostrare la messa a disposizione delle energie lavorative, lo aveva ritenuto assente in periodi non corrispondenti ad alcuna data, per cui il periodo di comporto non poteva ritenersi superato essendo stato assente 230 giorni per infortunio e 290 per malattia, non potendo così ritenersi superato il periodo di comporto.

3. La Corte territoriale riteneva, a sostegno del decisum, per quanto qui rileva:

– la società, fin dalla memoria di costituzione, aveva depositato certificazione medica inviata dal dipendente, e mai contestata, attestante il superamento del limite di 730 giorni nell’arco temporale indicato dalla contrattazione collettiva, detraendo i 190 giorni di assenza per infortunio, sicchè il dipendente era risultato assente per complessivi 1.001 giorni;

– la prova della messa a disposizione delle energie lavorative correttamente non era stata ammessa dal primo giudice giacchè i giorni di assenza erano stati calcolati sulla base dei giorni di prognosi di cui alla certificazione medica in atti, inviata dal lavoratore, impedito, se non dallo stato di malattia, dal riprendere servizio;

– del tutto nuova doveva ritenersi la deduzione del lavoratore secondo cui la presentazione in servizio avrebbe determinato il decorso di un nuovo periodo di comporto, atteso il tenore della disposizione contrattuale collettiva relativa al computo del periodo di comporto in caso di pluralità di eventi morbosi ed all’irrilevanza della durata dei singoli intervalli;

– l’episodio riferito all’attività lavorativa svolta dal dipendente, per qualche ora, in data 27.1.1998 finchè non veniva allontanato dalla sede di lavoro, si riferiva ad una giornata comunque coperta da certificazione medica;

– anche dopo la trasmissione, da parte della società, del verbale di visita medica che lo riteneva idoneo al servizio fin dal 25.2.2000, il dipendente continuava ad assentarsi dal lavoro sulla base di altra certificazione medica, datata 27.2.2000, per ulteriori 30 giorni;

– infine, dovevano ritenersi rinunciate le domande non espressamente riproposte in sede di gravame (relative alla sanzione disciplinare e alle indennità asseritamente non corrisposte).

4. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, C. ha proposto ricorso per cassazione fondato su un articolato motivo, Poste si è costituita con controricorso.

Motivi della decisione

5. Con articolato motivo è denunciata violazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 della L. n. 604 del 1966, degli artt. 112, 113, 115, 116, 329, 345, 437 c.p.c.; artt. 1326 e ss., artt. 2109, 2110, 1256, 1464, 2697 c.c. e omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia. Assume il ricorrente che la statuizione della corte territoriale in ordine al superamento del periodo di comporto non corrisponderebbe alla documentazione in atti e non sarebbe stata svolta adeguata istruttoria nei gradi di merito ai fini della corretta qualificazione dell’assenza.

6. Il motivo non è meritevole di accoglimento.

7. Osserva il Collegio che la doglianza, in parte incentrata su vizi di violenza di legge e della disciplina pattizia, non investe, a pena di inammissibilità, questioni che hanno già formato oggetto del thema decidendum nel giudizio di gravame per essere state devolute, in quella sede, con i motivi di gravame, essendo consentito dedurre nuove tesi giuridiche e nuovi profili di difesa solo quando si fondino su elementi di fatto già dedotti dinanzi al giudice di merito e per i quali non sia perciò necessario procedere ad un nuovo accertamento.

8. Invero, la devoluzione al Giudice di legittimità di questioni non devolute alla Corte di merito comporta che i motivi, per i quali si richiede la cassazione della sentenza impugnata, difettano dei caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata e al capo di pronunzia censurato.

9. Peraltro, la deduzione è all’evidenza inammissibile perchè la censura dedotta risulta così priva della specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, non risultando in tal modo consentito alla Corte di legittimità di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione.

10. Il motivo è, peraltro, inammissibile perchè, in violazione dell’autosufficienza del ricorso, si duole dell’erronea valutazione della documentazione in atti da parte della corte territoriale, senza aver minimamente assolto agli oneri prescritti dall’art. 366, n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4.

11. Invero, secondo la giurisprudenza, anche a Sezioni Unite, di questa Corte, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., n. 6, oltre a richiedere la "specifica" indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto; tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 28547/2008; Cass., n. 20535/2009).

12. La giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte ha ulteriormente ritenuto che la previsione di cui al ricordato art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, deve ritenersi soddisfatta, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale siano contenuti gli atti e i documenti su cui il ricorso si fonda, ferma in ogni caso l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi (cfr., Cass., SU, n. 22726/2011).

13. Il ricorrente non ha adempiuto a tali oneri, non avendo in alcun modo fornito, nel ricorso, la specifica indicazione dei dati necessari al reperimento della documentazione su cui si fonda il motivo (certificazione medica concernente l’infortunio occorso sul luogo di lavoro; visita collegiale presso l’ASL Roma C; idoneità alla ripresa del servizio a decorrere dal 25.2.2000), nè allegato la contrattazione collettiva invocata o indicato ove prodotta nelle fasi di merito, e ne discende, pertanto, l’inammissibilità del motivo.

14. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 40,00 per esborsi, oltre Euro 2.500,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2012

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